Qual è il valore dell’individuo? Da un lato, la società in cui viviamo sopravvaluta la gratificazione individuale. Nella realtà della vita, però, sempre più persone si sentono sminuite dall’ambiente che le circonda e si considerano insignificanti dinnanzi alle molteplici prove a cui la vita odierna ci sottopone.

La parola “pekudé”, il nome della nostra parashà, significa “contare”, e si riferisce al conteggio dell’oro, dell’argento e del bronzo offerti per la costruzione del Tabernacolo e all’inventario di tutti i suoi utensili.

Ogni conteggio implica un’interazione tra concetti opposti; implica l’esistenza di una molteplicità di elementi e quello che conta, alla fine, non è solo la somma ma anche ciascuna entità di cui essa è composta. Ogni elemento è importante in quanto parte di un tutto.

Da un lato il Tabernacolo dipende da ciascuno dei suoi elementi; se ne venisse a mancare anche uno solo, seppur minuscolo, questo renderebbe il Santuario incompleto e inadeguato come dimora per D-o. Allo stesso tempo, però, l’insieme forgiato dalla combinazione di questi elementi è molto più della loro semplice somma. Quando essi sono assemblati, le diverse componenti del Santuario sono investite di un’importanza che supera il loro valore individuale: proprio perché è una componente del Mishkàn, ciascun elemento ha in sé la rivelazione della Presenza Divina.

L’elemento catalizzatore

Allo stesso modo, ciascun ebreo deve essere consapevole che è molto più di un semplice individuo; egli possiede il potenziale per servire D-o come membro dell’intero Popolo d’Israèl, vettore della Presenza di D-o nel mondo. Come si arriva a realizzare questo potenziale? Da un lato, sviluppando le proprie attitudini e facendosi carico della responsabilità che ci è stata assegnata. Dall’altro, unendosi a coloro che sono impegnati nella stessa missione, diventando in questo modo parte di un’entità più grande. Questo concetto è espresso nelle parashot di Vayakhel e Pekudé, che spesso si leggono unite, nello stesso Shabbàt. La prima pone l’accento sulla fusione degli individui in una collettività spirituale; la seconda sottolinea il contributo personale di ciascuno. Una collettività è incompleta se non include ogni singolo individuo e non gli permette di esprimersi e crescere; parallelamente, ogni persona deve capire che solo unendosi ai suoi simili può sviluppare appieno il suo potenziale.

È possibile forgiare un tutto unificato a partire da unità divergenti solo quando ogni componente condivide un legame all’origine. La Chassidùt insegna che l’anima di ogni ebreo è una particella di D-o. Per questo motivo, malgrado le differenze tra le persone, esse sono legate da un comune denominatore. Anche nell’universo, ciascun corpuscolo è tenuto in esistenza dall’energia creata da D-o, e questo comune denominatore genera il potenziale di unità.

Mai fermarsi

Come abbiamo spiegato, il conteggio della parashà di Pekudé include il calcolo della somma dell’oro, dell’argento e del bronzo offerti per la costruzione del Tabernacolo e all’inventario di tutti i suoi utensili. Prima di tutto si procedette all’inventario di tutte le risorse disponibili, successivamente al calcolo nel quadro della loro utilizzazione. Questi stessi concetti si applicano anche al nostro servizio Divino. Prima di tutto, dobbiamo procedere a un inventario: dobbiamo sapere chi siamo e cosa possiamo fare. Successivamente, dobbiamo stabilire con quale efficacia mettere a frutto le nostre attitudini e quello che abbiamo compiuto grazie ad esse fino ad ora. Anche l’ordine con cui procediamo è importante: la consapevolezza dell’esistenza di un potenziale fornisce lo slancio e la forza per realizzarlo.

La parashà tocca altri due punti, oltre alla costruzione del Tabernacolo; riporta anche che la nuvola vi si posò sopra e la Gloria di D-o riempì il Mishkàn e che quando la nuvola si alzava, i figli d’Israele si mettevano in cammino. Ciò significa che il Santuario divenne effettivamente la dimora di D-o e che il servizio verso D-o richiede un continuo progresso.

L’insegnamento per noi è di tenere sempre a mente che lo scopo ultimo è la rivelazione della Presenza di D-o e che questo implica un cammino senza sosta; non ci è concesso “dormire sugli allori”.

Di Eli Touger, per concessione di fr.chabad.org