Ho sentito questa storia da un uomo che oggi ha più di sessant’anni e che abita a Los Angeles, in California.
All’età di 18 anni, sono stato arruolato nell’esercito statunitense, a quel tempo impegnato nella guerra in Vietnam. Ci avevano addestrati per alcuni mesi e poi ci diedero due settimane di riposo prima di imbarcarci per il sud-est asiatico.
Mentre mi riposavo a casa, i miei genitori decisero: “Visto che abitiamo a Crown Heights, nonostante non siamo dei chassidim di Lubavitch sarebbe magari opportuno avere una yechidùt, un incontro privato con il Rebbe, affinché ti dia una benedizione per farti ritornare sano e salvo”.
Durante l’incontro, il Rebbe si girò verso di me e mi disse: “Voglio darle dei tefillìn da portare con lei dall’altra parte dell’oceano”. Ero sorpreso e risposi: “Rebbe! Sono un ebreo praticante! Metto i tefillìn ogni giorno! Ho già un paio di tefillin!”.
Il Rebbe divenne molto serio: “Ha sentito cosa ho detto? Voglio darle dei tefillìn da portare con lei!” I miei genitori tremavano per quanto il Rebbe parlava a voce alta e con un tono che non ammetteva replica. E il Rebbe aggiunse: “Tornerà a casa sano e salvo!”.
Alcuni giorni dopo fui convocato dalla segreteria del Rebbe per ritirare un pacco. Quando mi presentai, mi diedero i tefillìn che il Rebbe desiderava darmi.
Le mie vacanze terminarono. Lasciai i miei tefillìn a casa e portai quelli che mi aveva offerto il Rebbe. Il mio battaglione doveva prendere l’aereo per il Vietnam, ma poco prima dell’imbarco, un generale si avvicinò al nostro comandante e spiegò che doveva assolutamente salire sul nostro aereo. I posti erano già stati tutti assegnati e allora il generale comandò che uno dei soldati gli cedesse il posto. Stavo proprio vicino a loro e così ascoltai tutta la conversazione.
Il generale puntò il dito verso di me: “ Lei prenderà il prossimo aereo ed io prenderò il suo posto!”
Tornai alla base aspettando la partenza successiva, dieci giorni dopo.
Quando arrivai in Vietnam, cercai subito il mio battaglione. Dopo tutto avevo trascorso 6 mesi di addestramento con i miei compagni, ed eravamo molto uniti, come fratelli. Chiesi in modo rispettoso ad un comandante il modo per ritrovare il mio battaglione, spiegando che ero arrivato dieci giorni dopo e che un generale aveva preso il mio posto. Il comandante mi scrutò dall’alto verso il basso: “Non sei al corrente? Questo aereo è scomparso nell’oceano. Nessuno è sopravvissuto! I tuoi compagni non sono mai arrivati!”
Impiegai un po’ di tempo per rendermi conto di ciò che questo rappresentava: tutti i miei compagni erano morti e non sarebbero mai tornati! Mi ripresi e mi ricordai improvvisamente ciò che avevo imparato alla scuola ebraica: la Torà spiega che tutto ciò che ha fatto Moshé Rabbenu è eterno. Non sarà mai perso o distrutto. E’ per questa ragione che gli utensili del Santuario, quelli che Moshé aveva aiutato a costruire nel deserto, esistono ancora adesso, nonostante siano sotterrati e nascosti nei sotterranei scavati sotto il santo Tempio di Gerusalemme.
Adesso capivo perché il Rebbe aveva insistito affinché io portassi con me i suoi tefillìn. I suoi tefillìn non avrebbero mai potuto essere distrutti o persi. E se i suoi tefillìn non potevano andare persi, allora nemmeno io con loro!
Come vede, concluse quest’uomo, sono sopravvissuto a questa guerra e i tefillìn del Rebbe mi hanno accompagnato in tutti i luoghi in cui mi sono trovato…
Rav Leibel Groner, tratto da Lechaim
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