“La mia casa è il mio regno” non è solo un vecchio proverbio inglese, ma una semplice, antica verità. È nella sua casa, che l'uomo vive veramente, è lì che si manifesta la sua vera personalità.

L’Ebraismo, che è una lezione di vita, (Toràt Chaim), non è una fede confinata nell'ambito della Sinagoga. “Tutta la terra è piena della Sua gloria” ( Isaia 6:3). Non solo le Sinagoghe, o altri luoghi di preghiera, ma la casa dell'uomo è il santuario dell'ebreo. “Quanto sono belle le tue tende, o Giacobbe, le tue dimore, o Israèl!” dovette ammettere Bil'àm, il non ebreo.

La Mezuzà, quel piccolo rotoletto che viene fissato allo stipite di ogni casa ebraica e di ogni sua stanza, simbolizza la santità del focolare ebraico. Ricorda solennemente a chi entra e a chi esce che è una casa ebraica, che segue gli ideali enunciati nei passi delle Sacre Scritture riportati nella Mezuzà. Simbolizza pure la protezione Divina sulla casa e sui suoi abitanti. Già all'entrata, essa ricorda alla famiglia ed ai visitatori: questa casa è un santuario dedicato all'Onnipotente.

Che cosa contiene la Mezuzà? Contiene due passi biblici dov'è fatta menzione del precetto Divino: Shemà e Ve-hayà, (Deut. 6:4-9, Deut. 11: 13-2 1).

Nello Shemà viene proclamata l'unità di un D-o unico, ed il nostro sacro, eterno dovere di servire Lui, Lui solo e di esserGli sempre fedeli.

Ve-hayà esprime la promessa Divina che la nostra osservanza dei precetti Divini verrà ricompensata, ed ammonisce sulle conseguenze delle nostre trasgressioní.

Come detto, questi due passi contengono il precetto mitzvà: “E le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle porte della tua città”.

In questo modo, già lo stipite della casa ebraica attesta che si entra in un luogo ove l'unità di D-o viene proclamata in ogni fase della vita quotidiana che si svolge fra le sue pareti.

E non è solo “sullo stipite della tua casa” che deve venire affissa la Mezuzà. Certo, è la tua casa, la casa dell'ebreo, della famiglia ebraica, in primo luogo; ma il giudaismo non riguarda solo la vita dell'indíviduo; non è una questione privata. La Mezuzà non viene affissa solo sulle porte delle case private, ma anche “sulle porte della tua città”. L'affissione della Mezuzà all'entrata dei luoghi pubblici, perfino sulle porte della città (ove ce ne siano) simbolizza la sovranità dei Comandamenti Divini, come dice lo Shemà, anche sulla vita sociale e comunitaria ebraica, in tutti i suoi aspetti.

D'altra parte, se, per esempio, alle porte della città fosse già stata affissa la Mezuzà, ciò non esenterebbe dal dovere di affiggerla in ogni singola casa nell'ambito di quella città. La Comunità ebraica è sana ed integra solo se composta da persone e famiglie spiritualmente sane ed integre.

I precetti Divini non hanno bisogno di essere spiegati razionalmente. Il fatto che sono precetti Divini è di per se stesso la loro giustificazione. Tuttavia, ogni spiegazione o ricerca basata su questa convinzione fondamentale, che non sia diretta a trovare una raison d'étre ai Comandamenti, ma a studiarli e comprenderli, è non solo permessa, ma altamente raccomandabíle anzi, è a sua volta un precetto Divino.

È proprio in questo spirito che viene qui menzionato il significato simbolico della Mezuzà, ed è pure in questo spirito che citiamo alcuni brevi passi di scritti di maestri e pensatori ebrei su questo argomento:

Prima di tutto vorremmo citare le parole di un proselito, che fu un'eminente personalità ai tempi dell'antico Impero Romano - il famoso Onkelos, figlio di Kalonymos. Divenuto proselito - dice il Talmùd egli suscitò l'ira dell'Imperatore romano, il quale, volendo fargli cambiare idea, delegò presso di lui un grup po di romani incaricati di convincerlo. Quando questi cominciarono a discutere con lui, rimasero, essi, convinti che era lui che stava nel vero, sicché loro pure divennero proseliti. Dopo di che l'imperatore mandò da lui una compagnia di soldati che avevano l'ordine di non mettersi a discutere con Onkelos, ma semplicemente di prenderlo e portarlo al cospetto dell'Imperatore. Nel lasciare la casa, egli mise una mano sulla Mezuzà e sorrise. Chiestagli una spiegazione, disse: « È un uso di questo mondo, che il Re stia nel suo palazzo e che fuori i servi gli facciano la guardia. Invece il nostro Re, il Re dell'Universo, mentre i Suoi servi stanno in casa, Lui veglia su di loro ». Queste parole fecero un'impressione così grande sui soldati, che pure loro divennero proseliti ('Avodà Zarà, II).

Il concetto di considerare la Mezuzà come un custode è spiegato molto ampiamente da uno dei nostri più grandi filosofi moralisti medievali, Rabbenu Bahya, il quale scrive in uno dei suoi saggi: «...La Torà ci ha dato il comandamento di affiggere la Mezuzà agli stipiti delle porte, per ricordare quando entriamo in casa che D-o veglia su di noi e non cessa mai di vegliare su di noi nemmeno per un istante... per radicare nei nostri cuori la fede nell'Onnipotente, il Guardiano d'Israele... Chi compra una Mezuzà e la affigge sulla porta d'entrata della sua casa, attesta in questo modo che crede nell'Unità di D-o, ecc., come sta scritto nel testo della Mezuzà.

Potremmo continuare per un po' citando innumerevoli detti e commenti che i nostri Maestri ci hanno tramandato attraverso i secoli a proposito della Mezuzà e del suo significato. Se ne potrebbero riempire volumi interi. Vorremmo invece fare ancora tre sole citazioni di data più recente:

Rabbì Samson Raphael Hirsch della città di Francoforte, in Germania, scrive nel suo famoso « Horèv » (Cap. 40): « affiggere lo " Shemà " e il " Ve-hayà " all'entrata di ogni abitazione, facendo sì che in ogni luogo ove si svolge l'attività umana, ci sia la presenza del Signore ed il Signore vi venga santificato, in modo che la vostra vita intera, tutte le vostre opere siano rivolte al Signore - questo è il comandamento della Mezuzà ».

Il Dr. Alfonso Pacifici, un ebreo italiano contemporaneo, pensatore e scrittore, dice («Israèl», Firenze, Tevèt 5690 - Gennaio 1930):

«Altre nazioni hanno pure scritto varie leggi e slogan sulle loro case, sui monumenti, ma tutto è andato perduto con le loro case ed i loro monumenti. Erano tanto orgogliosi da scriverli in caratteri cubitali sulle pietre più dure, e scolpirli nel bronzo, su costruzioni monumentali. Essi credevano, così, di poter durare attraverso i secoli! Sono passati i secoli, ed hanno portato invece la decadenza e l'oblio. Caddero le pietre, la terra le copri, guerre, incendi le distrussero, o furono semplicemente dimenticate. I popoli se ne andarono o vennero deportati in paesi lontani, le guerre, le epidemie, li costrinsero a lasciare i loro paesi. Cadde il silenzio sui Fori famosi di un tempo, li coprì l'erba, e poi la sabbia ricoprì tutto. Le iscrizioni furono cancellate dal tempo... Più tardi, dopo la lunga notte dei secoli, vennero gli uomini, desiderosi di conoscere il passato; e dopo ricerche affannose e scavi, scoprirono frammenti di vecchie iscrizioni, cercarono di decifrarle, a volte senza riuscirci, a volte li aiutò l'immaginazione... finchè ricomposero il testo di quelle leggi che non erano tuttavia servite a preservare quei popoli dalla morte.

«E attraverso tutti questi secoli, nacquero i figli dei figli d'Israele, dapprima come cittadini della loro terra, poi dispersi in tutti i paesi del mondo, la maggior parte perseguitati, oppressi per il loro attaccamento alla legge di D-o. Ed i padri, quando i loro figli raggiunsero i tredici anni, insegnarono loro a mettere sul braccio i Tefillìn. E questi figli divennero uomini, trovarono la compagna della loro vita, e quando costituirono un focolare domestico, per insegnare la parola Divina, essi scrissero sulla Mezuzà questo precetto Divino, e prima di ogni altra cosa, la affissero sugli stipiti delle porte della loro nuova casa. Così, la legge Divina si mantenne viva per il popolo ebraico, e rimase intatta nella sua verità e superiore a tutte le altre leggi di tutti i tempi.

«Non sulla pietra, non sul bronzo venne scritto questo comandamento, ma sull'umile pergamena, appesa allo stipite. Avrebbe potuto cadere la porta con la casa, ma la Mezuzà sarebbe rimasta intatta, e tutti quelli che ne conoscevano il valore, avrebbero desiderato ardentemente di averla sempre con sè, e di affiggerla nella nuova casa - chissà dove, chissà quando ciò sarebbe stato possibile - che l'Onnipotente avrebbe loro concesso come luogo di riposo.

«Oggi, questa tradizione si è interrotta per molti, molti figli d'Israele che non sono più capaci di riconoscere il contenuto Divino di questa idea, ed incorrono pure nell'errore di considerare la Mezuzà una superstizione dei tempi passati, e non vedono in essa l'adempimento del supremo comandamento Divino, che - come tale e solo come tale - ha potuto sopravvivere attraverso i secoli più di ogni grandioso monumento».

C'è forse bisogno di aggiungere qualcosa alle parole di questo pensatore ebreo italiano? Non danno esse una risposta a tutti i vari tipi di ebrei «moderni» che pretendono di «essere nel giusto»?

D'altro canto, nel tempo in cui viviamo, è più che mai pertinente sottolineare che non c'è idea, per quanto grande, che possa sopravvivere, a cui si possa attribuire una certa importanza, se non è accompagnata da fatti, da atti tangibili, nella vita di ogni giorno. E non c'è casa degna di essere chiamata ebraica se questo rotolo un precetto Divino - non lo attesta, proprio alla sua entrata.

Infatti, ogni ebreo dovrebbe essere orgoglioso di attestare - con l'affissione della Mezuzà allo stipite della sua casa - la sua fedeltà agli ideali in essa enunciati, la sua appartenenza a un popolo la cui missione è proclamata in quel piccolo rotolo di pergamena.

Tuttavia, così come le decisioni d'ordine teorico perdono il loro significato se non sono accompagnate da azioni concrete, per quanto riguarda la Torà, è volere dell'Onnipotente che le Mitzvòt siano da noi realizzate nella vita quotidiana - ma queste azioni concrete non hanno alcun valore se non vengono latte nel giusto modo, come prescritto dalla Torà. Il precetto Divino che ci ordina di affiggere la Mezuzà sulla porta della nostra casa, vuole che ciò sia fatto in un determinato modo. La Mezuzà dev'essere scritta solo come prescritto dalla legge - non in un modo qualsiasi e non da chiunque, oppure stam pata. La Mezuzà che non corrisponde a questi requisiti è pessula - inadatta all'uso, ed usare una simile Mezuzà è molto peggio che non usarne alcuna. L'uso di una Mezuzà pessula vuol dire ingannare se stesso, ingannare i propri vicini, e potrebbe perfino essere un vano tentativo d'ingannare l'Onnipotente...

Non crediamo che esistano veramente ebrei, i quali si vergognano di esserlo, e che si vergognano quindi di dare alla loro casa un'identità ebraica, affiggendo la Mezuzà allo stipite della loro casa, particolarmente in questo paese libero.

In ogni caso, non c'è dubbio che maggior vergogna dovrebbe sentire chi, conoscendo il vero significato del testo scritto sulla Mezuzà, e riflettendo sulla portata di questo Comandamento Divino - non avesse affisso la Mezuzà allo stipite della sua casa.

Ma sarebbe vergogna ancor maggiore burlarsi di questo precetto Divino con l'affissione di una Mezuzà pessula. E perchè poi? Solo per un po' di pigrizia o di trascuratezza, o perchè si crede (senza alcun fondamento) di poter risparmiare così qualche lira?!

Indubbiamente la Mezuzà ma solo quella Keshera è degna di miglior considerazione. Poichè, per citare di nuovo Rabbì S. R. Hirsch (Horèv, Cap. 40), « lo 'Shemà c'insegna il significato della nostra vita familiare, e fa sì che la nostra casa sia un luogo ove il Signore viene santificato, e la nostra vita intera sia permeata di venerazione per l'Onnipotente.

« 'Ve-hayà' c'insegna a vedere nel Signore Colui che determina il nostro destino, in tutte le fasi della nostra vita, a comprendere che lo scrupoloso adempimento dei nostri doveri è la chiave per raggiungere la felicità, e a considerare le vicende che ci rendono felici o infelici, come cose mutevoli ed appartenenti al mondo esteriore mentre i nostri doveri rimangono gli stessi».

Per concludere queste citazioni, non si potrebbero trovare parole più appropriate di quelle del grande leader della nostra generazione, il defunto Lubavitcher Rebbe, Rabbì Joseph Yitzchok Schneersohn di santa memoria:

« Come nell'adempiere al precetto della Mezuzà, cioè nel trascrivere i due capitoli dello 'Shemà' e nell'affliggerli allo stipite della nostra casa, per proclamare che la nostra dimora e tutto quanto vi è in essa, sono ricettacolo dello Spirito Divino - nello stesso modo, tutti gli altri Comandamenti Divini fanno di ogni cosa ricettacolo della Divinità » (da «Ve-attà be-Rahamekha ha-rabìm», Shabbàt Hanukà 5698).

Quando la nostra casa è retta da questi principi, essa non sarà solo «il nostro regno», ma una roccaforte, un «ricettacolo» per la legge dell'Onnipotente.

Pubblicato daMerkos L'Inyonei Chinuch