Tutto il popolo ebraico partecipò alla costruzione del Mishkàn, il Tabernacolo portatile del deserto; molti contribuirono con il proprio talento, guidati da due individui nominati direttamente da D-o: Betzalèl figlio di Chur, della tribù di Yehudà, e Aholiàv figlio di Achisamàch, della tribù di Dan.
Betzalèl
L’architetto-capo e il responsabile di tutto il progetto discendeva da una famiglia distinta: era bisnipote di Miriam, sorella di Moshè, che insieme alla madre rischiò la vita per salvare i neonati ebrei dal decreto di morte del faraone (Talmùd, Sotà 11b). Il nonno di Betzalèl e figlio di Miriam era Chur il quale, racconta il Midràsh, difese la verità scagliandosi contro coloro che volevano fabbricare il vitello d’oro nel deserto e venne ucciso (Midràsh, Shemòt Rabbà 11:10). Oltre ad avere una nobile ascendenza, non era nemmeno un artigiano qualunque; il suo talento era di ispirazione divina: egli infatti capì le istruzioni di D-o sulla costruzione del Mishkàn e della Menorà meglio dello stesso Moshè (che le sentì direttamente dal Sign-re e le riferì poi Betzalèl), tanto che Mosè disse all’artigiano: “Sei stato forse ‘betzèl E-l’(‘all’ombra di D-o’) visto che sai queste cose? Questo è proprio quello che D-o mi ha indicato!” (Talmùd, Berachòt 55a). Il commentatore Rambàn nota che l’abilità tecnica di Betzalèl era già di per sé un miracolo, poiché in Egitto gli ebrei non avevano accesso a nessun metallo prezioso come oro, argento o bronzo e il fatto che lui li sapesse lavorare non era affatto scontato né ovvio. D-o però voleva che Betzalèl fosse gradito e ben accettato anche dal popolo, che rispose “Se egli è considerato degno da D-o e da te (Moshè N.d.R.), è sicuramente considerato degno anche da noi” (ibid.).
Aholiàv
Il Midràsh non fornisce molti dettagli su Aholiàv; sappiamo solo che era della tribù di Dan e che per certi aspetti il suo talento equivaleva a quello di Betzalèl, ed è per questo che la Torà menziona il suo nome, mentre non menziona il nome di tanti altri artigiani che hanno pur lavorato per edificare il Tabernacolo. Secoli dopo, però, un altro discendente della tribù di Dan coprì un ruolo essenziale nella costruzione del Primo Tempio di Gerusalemme, e secondo il Talmùd ciò dimostra un talento innato di questa tribù.
Una Coppia Unica
Dan era figlio di Bilhà, una concubina di Yaakòv e quindi possedeva un’ascendenza decisamente meno importante ed aristocratica di quella della tribù di Yehudà, che è la casa reale di Israele; possiamo dire che Dan era una delle tribù di livello più “basso”. Eppure la Torà cita Betzalèl e Aholiàv insieme, per dimostrare che agli occhi di D-o erano allo stesso livello (Rashì su Esodo 35:34). Lo Zòhar spiega che Betzalèl rappresenta il lato destro kabalistico, simbolo di bontà e benevolenza, mentre Aholiàv rappresenta il lato sinistro, simbolo di severità e rigore. Insieme, potevano lavorare in sinergia non solo per costruire la struttura materiale del Mishkàn ma anche per attuarne il “progetto” spirituale. C’è un legame tra la costruzione del Mishkàn e le nostre preghiere quotidiane: il Talmùd Yerushalmi afferma che il numero (originario, prima che venisse aggiunta una benedizione) delle benedizioni della Amidà è 18, corrispondente al numero di volte in cui ricorre il comandamento di D-o relativo al Tabernacolo (la parola “tzivà” – “comandò”). In realtà, a ben contare, la parola ricorre diciannove volte, ma secondo il Talmùd la prima volta non conta perché fu detta prima di menzionare il nome di Aholiàv. In altre parole, senza Aholiàv – niente mitzvà. Il Rebbe di Lubàvitch ne ricava un’importante lezione: prima che una persona cominci a pregare, deve raggiungere uno stato in cui si sente legata a tutti gli altri ebrei, perfino all’ultima tribù. Solo quando Betzalèl e Aholiàv agiscono uniti, possiamo forgiare il nostro rapporto con D-o e comunicare con Lui.Di Mendy Kaminker, chabad.org
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