16 Luglio 1969, una data storica: partì la prima missione sulla luna. I giorni che seguirono il lancio dell’Apollo 11 furono contrassegnati da molta emozione e suspense, ma anche da non poca confusione nel mondo ortodosso, ebraico e non. I cieli potevano essere raggiunti così facilmente? Si stavano valicando i confini umani? Come poteva D-o permettere tutto questo?

Nel mondo ebraico, alcuni Rabbini si arrampicarono sui vetri per trovare spiegazioni plausibili; alcuni sostenevano che erano necessari dei cambiamenti ideologici che collimassero con gli eventi, altri si limitavano a negare che fosse possibile raggiungere la luna. Lo Shabbat pomeriggio del 19 Luglio 1969, il Rebbe di Lubavitch convocò un raduno con lo scopo, specificò, di approfondire anche la questione della missione sulla luna. In effetti, già nel 1962 il giornalista israeliano Shlomo Nakdimon pubblicò un’intervista che fece al Rebbe sull’argomento ed il Rebbe disse in quell’occasione che era assolutamente possibile per l’uomo raggiungere la luna. Nakdimon gli chiese allora quale sia il punto di vista della Torà sugli esperimenti spaziali e il Rebbe rispose quanto segue:

“La scoperta dell’atomo, le sue particelle e le leggi che lo governano sono più cruciali nell’ottica ebraica della ‘conquista dello spazio’. Essa rappresenta un progresso scientifico e tecnologico, mentre la scoperta dell’atomo investe le fondamenta stesse della scienza. Con essa si è dimostrato che le affermazioni della scienza non sono verità inequivocabili; la scienza ha veramente bisogno di essere valutata con altri parametri.”

Alla domanda se la Torà proibisca o meno l’esplorazione dello spazio, il Rebbe rispose che la Torà non si oppone a continuare la ricerca spaziale.

Sette anni dopo, quando il sogno della NASA divenne realtà, il Rebbe sembrò essere l’unico a compiacersene: c’è sempre qualcosa da imparare, ogni evento porta con sé un insegnamento. Durante il discorso di quello Shabbat pomeriggio, il tono del Rebbe era sorpreso: la confusione che regnava attorno alla missione spaziale non doveva in nessun modo far perdere il senso di equilibrio agli ebrei. Non c’era nulla di cui preoccuparsi o da cui sentirsi intimiditi – fu il suo messaggio.

Un Rabbino aveva proposto di cambiare la Birkat Halevanà – la benedizione sulla luna che si recita con la luna piena – che contiene le seguenti parole: “Come salto verso di te ma non posso toccarti (riferito alla luna – n.d.r.), così possano i miei nemici essere incapaci di toccarmi e farmi del male”. Aveva ancora un senso questa frase o era ormai “superata”? Il Rebbe disse che il primo passo dell’uomo sulla luna non aveva nulla a che fare con queste parole, poiché esse si riferiscono all’impossibilità per l’uomo che in quel momento sta con i piedi appoggiati sulla terra di spiccare un salto fino alla luna e toccarla, ma questo non esclude assolutamente la possibilità che la luna sia raggiungibile con altri mezzi. Questi progressi tecnologici non scuotono né contraddicono nessun fondamento della Torà. Secondo il Rebbe, anche il quesito se ci sia vita su altri pianeti è stato discusso duemila anni fa nel Talmud.

C’è sempre però una lezione da imparare da ogni accadimento, e così il Rebbe nel suo discorso toccò tre aree d’interesse.

La prima riguardava il grande lavoro di squadra necessario per permettere la riuscita della missione spaziale, un gioco di squadra in cui ognuno era responsabile per l’altro. In effetti, Neil Armstrong stesso affermò che la missione sulla luna rappresentava il punto d’arrivo del lavoro di 300.000 o 400.000 persone nell’arco di dieci anni circa.

Il secondo punto verteva sull’importanza di ogni singolo dettaglio. Premere un pulsante sbagliato sui quasi 400 installati nel quadro dei comandi completo avrebbe avuto effetti devastanti.

Con il terzo punto il Rebbe precedette Armstrong di un giorno nella sua famosa frase “Un piccolo passo per l’uomo, un grande passo per l’umanità”. Il Rebbe infatti sottolineò come un uomo, un essere finito e limitato, abbia potuto creare qualcosa di molto più grande di se stesso: “Un piccolo uomo finito ha creato un’apparecchiatura gigantesca e quasi infinita”.

L’elemento più importante che il Rebbe tenne a sottolineare era la consapevolezza che tutto questo non serviva a gonfiare l’ego dell’uomo ma a portarlo ad ammirare l’affascinante creazione di D-o ed egli disse che gli astronauti fecero proprio questo: mentre venivano lanciati nello spazio citarono versi tratti dal Libro dei Salmi che inneggiano alla grandezza di D-o vista dalle Sue creature tremanti.

La sera dopo il discorso del Rebbe, il 20 Luglio, Armstrong fece il primo passo sulla luna.

Quando l’uomo sarà in grado di raggiungere altre galassie, ci saranno sicuramente nuovi insegnamenti da trarre, con un elemento in comune: “Non c’è nulla di nuovo sotto il sole”.

Di Yosef Zaklos, per gentile concessione di Chabad.org