Come tutti gli ebrei sparsi nel mondo, anche Meir Friedman pregava in sinagoga il giorno di Kippùr del 1973, quando un camion del tzahal (l’esercito israeliano N. d. T.) si fermò davanti all’edificio e lo reclutò per la guerra che era appena scoppiata. Pochi minuti dopo, anziché concentrarsi nelle sue preghiere, si ritrovò in un carro armato che avanzava spedito verso il sud del paese – il campo di battaglia.
La guerra fu terribile. Numerosi soldati caddero sotto i tiri implacabili dell’esercito egiziano; l’inadeguatezza della preparazione delle truppe israeliane era lampante. I primi giorni di guerra furono vissuti come un incubo, senza alcuna nozione del tempo, con scarsi approvvigionamenti e senza mezzi di comunicazione. Il morale era a terra, ma la festività di Sukkòt si avvicinava e Meir Friedman cominciava ad agitarsi: come poteva procurarsi le Quattro Specie? Sicuramente la sua famiglia stava ribaltando tutto il paese per procurargliene uno, nonostante le circostanze.
Infatti, il secondo giorno di Sukkòt, ricevette le Quattro Specie che avrebbe tanto desiderato avere la vigilia della festa. Nel medesimo istante in cui poté finalmente tenerle in mano, recitò le benedizioni, con un fervore che non aveva mai conosciuto prima: “Benedetto sii Tu, D-o nostro… che ci hai fatto vivere, esistere e giungere a questo momento!” Adesso Meir capiva appieno il senso di queste parole!
Il suo reggimento attraversò il canale di Suez; i soldati si accamparono dinnanzi al villaggio di Ismailia ed erano continuamente esposti ai colpi dell’artiglieria nemica. Tra due esplosioni, Meir si ritrovò a pensare ai suoi genitori, probabilmente seduti attorno alla tavola nella Sukkà, una mitzvà che lui quell’anno non poteva compiere. Egli però era Lubàvitch, e non si lasciò pervadere dalla tristezza: bisognava agire per permettere agli altri soldati accanto a lui di compiere la mitzvà di Sukkòt. Si alzò di scatto, “armato” solo del suo Lulàv e del suo Etròg; i suoi compagni si erano già abituati a lui e al suo sorriso ed accettarono volentieri di recitare le benedizioni e di agitare le Quattro Specie. Furono in tanti ad asciugarsi furtivamente una lacrima mentre pronunciavano la benedizione di Shehecheyànu – che ci hai fatto vivere.
Meir decise che anche gli altri camerati, che si trovavano nel carro armato vicino, meritavano di uscire d’obbligo compiendo la mitzvà. Con passo sicuro, attraversò i duecento metri che lo separavano dall’altro tank ed esclamò “Chag Samèach! Buona Festa!”
Il comandante lo riprese aspramente: “Buona che cosa? Felice che cosa?” Meir sapeva che l’ufficiale proveniva da un kibbùtz laico ed era poco incline a ciò che riguardava l’ebraismo, ma insistette: “Oggi è Sukkòt! Sono riuscito a procurarmi un Lulàv e un Etròg! Venite assieme ai vostri uomini a dire le benedizioni sul mio carro armato”.
In altre circostanze, l’ufficiale l’avrebbe preso in giro e forse anche vagamente insultato ma, dopo tutto, in quel momento ed in quel luogo, erano fratelli d’armi ed era tenuto a rispondere in maniera più “amichevole”. “Dove pensi di essere, tu?! In sinagoga? Non vedi quello che ci succede intorno? E non restare lì! Stai mettendo la tua vita a repentaglio! Qui, non ci sono feste e non c’è niente di gioioso e felice. Non è proprio il momento!”
Meir sorrise, come suo solito, ed insistette: “Venite coi vostri uomini! Oggi è Sukkòt, non siate così negativo. Ci vorrà solo qualche minuto e sarà un’occasione per stare insieme!”
Alla fine, l’ufficiale si arrese ed accettò. Chiamò i suoi uomini e disse loro di seguirlo per celebrare la festività nel carro armato vicino. Nel momento stesso in cui prese in mano il Lulàv si udì una violenta esplosione. I soldati che si erano radunati attorno a Meir si voltarono immediatamente e non poterono credere ai loro occhi: una spessa colonna di fumo si alzava dal carro armato che avevano appena abbandonato ed altre esplosioni seguirono a raffica: erano esplose anche le munizioni che tenevano nel tank, e questo avrebbe voluto dire per loro essere letteralmente lacerati, D-o non voglia!
Il comandante fu il primo a reagire e a stringere Meir tra le sue braccia. “Grazie! Grazie per il tuo Lulàv! Ci ha salvato la vita!” Ancora sotto choc, si rivolse ai suoi uomini: “Avete capito, ragazzi? Ogni giorno di Sukkòt verremo a recitare la benedizione sul Lulàv di Meir, è il minimo che possiamo fare ed anche il modo migliore per ringraziare Colui che ci scorta sempre e ovunque!”