Era la sera prima di Yom Kippur: uno dei chassidim di Rav Elimelech di Lizensk gli chiese il permesso di vedere come faceva le kaparòt. “Come faccio le kaparòt?” disse Rav Elimelech. “Come le fai tu?” “Io sono un ebreo comune, faccio come fan tutti. Tengo il gallo in una mano, il libro di preghiere in un’altra e dico il testo “Questo è il mio scambio, questo è il mio sostituto, questa è la mia espiazione…” “Anch’io faccio così” disse Rav Elimelech. “Prendo un gallo in una mano, il libro delle preghiere in un’altra e dico il testo...”

Tuttavia il chassid persistette, certo che le kaparòt del suo Rebbe non erano un evento comune. Erano vent’anni che veniva a Lizensk per pregare con lui di Yom Kippur e aveva sempre desiderato osseravarlo durante questo momento solenne. “Se davvero vuoi vedere un kaparòt straordinario?” disse Rav Elimelech, “vai ad osservare come Moshe il taverniere fa le kaparòt, lì vedrai qualcosa di straordinario, ben oltre le mie kaparòt comuni”.

Il chassid andò alla taverna che si trovava a qualche chilometro di distanza da Lizensk e chiese di poter starci per la notte. “Mi dispiace” disse Moshe, “come vedi questa è una piccola impresa e non abbiamo camere da affittare. C’è una locanda in fondo alla strada.”

“Per favore” implorò il chassid, “è tutto il giorno che viaggio e vorrei riposarmi, non ho bisogno di una stanza, mi siederò su una sedia per qualche ora e poi me ne andrò per la mia strada.” “Va bene” disse Moshe, “Tra poco chiudo e potrai riposare”.
Dopo aver mandato via gli ultimi contadini ubriachi, Moshe mise da parte le sedie e i tavoli, trasformando la stanza nel suo soggiorno. Erano già passate le mezzanotte e l’ora delle kaparòt si stava avvicinando. Il chassid si avvolse nella sua coperta e finse di dormire, osservando silenziosamente.

Prima dell’alba Moshe si alzò dal suo letto, lavò le sue mani e disse le benedizioni del mattino. “È l’ora delle kaparòt” disse alla moglie. “Per piacere Yentel, potresti portarmi il quaderno?"

Moshe iniziò a leggere il quaderno che era un diario delle sue malefette e dei peccati commessi durante l’anno. I suoi peccati erano leggeri, un pettegolezzo, una sveglia tarda per la preghiera, una mancanza di dare un soldo in tzedaka…ec. Poi chiese alla moglie di portargli un secondo quaderno.Anche esso era un diario di tutte le sfortune e i problemi che gli erano capitati durante l’anno. In questo giorno Moshe era stato preso a botte da una banda di zoticoni, in quell’altro giorno suo figlio si era ammalato, la mucca morì e non c’era latte per mesi e così via.

Quando fini di leggere il secondo quaderno il taverniere alzò gli occhi al cielo e disse: “Come vedi caro Padre, ho peccato nei Tuoi confronti. L’anno scorso mi sono pentito e ho promesso di adempiere ai Tuoi comandamenti, ma ho dato retta alla mia inclinazione malvagia diverse volte. L’anno scorso ho anche pregato e Ti ho implorato di darmi un anno di salute e prosperità, ho avuto fiducia in Te che sarebbe andata in questo modo.

Caro Padre, oggi è la vigilia di Yom Kippur, ognuno di noi chiederà scusa al suo prossimo e metterà una pietra sul passato. I miei problemi sono un’espiazione per i miei peccati. Per quanto riguarda noi due, diciamo che siamo pari: chiudo entrambi i quaderni. Tu non mi devi niente e io non Ti devo niente. E ripartiamo daccapo, va bene?

Moshe prese i due quaderni, li alzò e li girò tre volte attorno al suo capo dicendo il testo “Questo è il mio scambio, questo è il mio sostituto, questa è la mia espiazione…”

E poi li gettò nel fuoco.

Dai Maestri Chassidici. Adattato da Deborah Cohenca.