Accadde una vigilia di Kippùr che ràbbi Levì Yitzchàk di Berditchev ritardasse la recitazione del Kol Nidré. Il Rèbbe sembrava afflitto e i fedeli compresero dall’espressione del suo viso che c’era qualcosa che non andava come il dovuto: non poteva certo essere una condizione propizia per ottenere il perdono di tutti i peccati che pesavano sulla comunità. A un certo punto ràbbi Levì Yitzchàk scrutò i fedeli, poi disse: «Non vedo Bèrel, il sarto».
«Bèrel non c’è» qualcuno rispose.
«Allora vai a prenderlo, che cosa aspetti?», gli ordinò il rabbino. «Non possiamo incominciare il Kol Nidré senza di lui».
I fedeli sembrarono alquanto sorpresi in quanto Bèrel non era, ai loro occhi, un personaggio per cui valesse la pena ritardare il rito di un’intera comunità.
Quando finalmente il sarto arrivò al tempio, ràbbi Levì Yitzchàk gli domandò: «Perché non eri venuto in sinagoga, Bèrel?».
«Perché non voglio avere più nulla a che fare con D-o. Egli si è rivelato ingiusto nei miei confronti e, non avendo nessuna possibilità di fargli causa, non mi rimane che protestare attraverso il rifiuto. Perciò non sono venuto a pregare». Questa fu la risposta che Bèrel il sarto diede al suo Rèbbe quella sera di Kippùr.
«Raccontami dei tuoi rimproveri nei confronti di D-o» gli propose ràbbi Levì Yitzchàk; «chissà che non riesca a mettere le cose a posto per te».
«Benissimo» esclamò Bèrel. «Una quindicina di giorni fa, il poritz (l’amministratore del conte) mi fece chiamare per farsi cucire un cappotto di pelliccia. Mi recai immediatamente al castello, portando con me il cofanetto degli attrezzi. Arrivato là, egli non perse tempo e mi consegnò subito una quantità di pelli per il suo nuovo capo invernale. Terminato il lavoro senza sprechi, ero riuscito ad avanzare del materiale e le pelli risparmiate spettavano certamente a me, visto che l’amministratore non mi aveva chiesto di rendergliene conto.
Ho una figlia da sposare e metto da parte ogni centesimo. Così riposi il materiale avanzato nel cofanetto e me ne andai per la mia strada.
Dopo aver percorso vari chilometri a piedi, all’improvviso spuntò un cavaliere, mi sorpassò e si fermò davanti a me: «Bèrel» esclamò l’uomo, «il poritz vuole che torni subito da lui».
Mi feci prendere dal panico poiché immaginavo che l’amministratore avesse contato le pelli del suo cappotto e scoperto che non avevo utilizzato tutto il materiale. Per una cosa del genere avrebbe potuto benissimo chiudermi nella prigione sotterranea del castello! Comunque montai a cavallo e tornai indietro.
L’amministratore mi aspettava: «Bèrel, il cappotto è bello, ma non lo posso appendere: perché non mi hai cucito un gancio?! Non è giusto finire un lavoro in questo modo!».
Alzai lo sguardo verso il cielo ringraziando D-o per la mia salvezza, e mi misi ad attaccare uno splendido gancio che rimanesse saldo per lungo tempo. Rifinite per bene le cuciture, mi girai per riprendere il cofanetto ma ecco che non c’era più, era sparito! Mi resi immediatamente conto che quella poteva essere soltanto opera di D-o: Egli mi aveva certamente scambiato per un ladro perché avevo tenuto le pelli avanzate per me, ma non è giusto! Eppure, se l’amministratore non mi aveva chiesto di rendere conto dei materiali utilizzati, era sottinteso che le pelli risparmiate mi spettavano regolarmente e D-o aveva agito ingiustamente nel togliermele. Decisi allora che - se aveva proprio stabilito di maltrattarmi - io, dal canto mio, non avrei più continuato a rispettare la sua volontà.
Rientrato a casa mia, sedetti a tavola senza lavarmi le mani e senza dire la berachà. Quella notte non pregai, e nemmeno i giorni seguenti aprii il Siddùr. Giunto a Rosh Hashanà, non andai ad ascoltare il suono dello shofàr: se D-o riesce a essere così ingiusto nei miei confronti, non voglio più aver nulla a che vedere con Lui. È questo il motivo per cui non sono venuto in sinagoga per il Kol Nidré, Rèbbe: ora sapete tutto e comprenderete il mio stato d’animo».
Finito il racconto del sarto, ràbbi Levì Yitzchàk gli disse: «Ma Bèrel, siamo arrivati a Kippùr; il giorno del perdono. È possibile che tu non riesca a trovare un angolino nel tuo cuore in cui sei disposto a perdonare D-o? Perché non provi a pensare al peso dei peccati che Egli perdona a noi tutti in questo giorno?».
Ora Bèrel stava zitto, ci pensò per un po’ e infine rispose: «Benissimo. Per quanto mi riguarda, sarei anche pronto a perdonargli, ma ad una condizione: che perdoni senza eccezione tutti i nostri peccati».
A questo punto, il viso di ràbbi Levì Yitzchàk si illuminò e, visibilmente felice, alzò lo sguardo verso il cielo: «Re del mondo» esclamò, «hai udito? Bèrel dice di volerti perdonare, ma anche Tu dovresti porgerci una mano e perdonare i peccati di noi tutti: io, Levì Yitzchàk, figlio di Sarà Sòshi, rabbino di Berditchev, dichiaro che questa è una soluzione ragionevole. Tu che sei il nostro Re sarai perdonato da Bèrel, e tutte le trasgressioni che gli ebrei hanno commesso dall’ultimo Kippùr sino a stasera verranno da te condonate».
«E ora diciamo il Kol Nidré» concluse ràbbi Levì Yitzchàk rivolgendo all’assemblea il suo viso dai lineamenti distesi...
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