Cari lettori, segue una storia accaduta a mio zio, rav Moshe Greenberg, che oggi risiede a Bené Berak. Verso la fine degli anni ’40 tentò la fuga dall’Unione Sovietica ma venne arrestato e mandato in un campo di lavoro forzato in Siberia per 25 anni. Ringraziando il Sign-re venne liberato nel ’53 dopo sette anni, con la morte di Stalin. Solo nel ’67 giunse in Israele.
Durante la giornata di Kippur del 1951, rav Moshe Greenberg riuscì a pregare recitando tutta la liturgia del giorno, con l’eccezione del Kol Nidré (Kol Nedarìm), considerata una delle preghiere più solenni.
Aveva vent’anni ed era imprigionato in un campo di lavoro forzato sovietico, separato dai suoi genitori e dalle due sorelle. Il fratello si trovava in un altro campo per una “trasgressione” simile.
Vi erano circa mille uomini nel campo, tutti occupati nel lavoro di costruzione di un’impianto di energia elettrica. Una ventina dei prigionieri erano ebrei.
Quando si avvicinò il termine dell’estate i prigionieri ebrei si potevano concedere solamente di sognare l’osservanza dei Giorni Solenni. Sapevano che non ci sarebbe stato lo Shofàr, il Séfer Torà e le tallitòt, ma speravano di trovare un machzòr (libro di preghiera delle feste).
Mio padre si accorse della presenza di un uomo “da fuori”, un ingegnere civile che lavorava nelll’impianto e sospettò che questa persona fosse ebrea.
Quando si presentò l’opportunità rav Moshe si avvicinò e gli sussurò nell’orecchio in Yiddish “Kenstu mir efsher helfen?” (Forse mi potresti aiutare?).
All’epoca la maggior parte degli ebrei della Russia parlava il Yiddish. Rav Moshe vide nei suoi occhi che aveva compreso la domanda. “Mi potresti organizzare un machzòr per gli ebrei qui presenti?”. L’ingegnere esitò a rispondere. Una “transazione” di questo tipo avrebbe potuto mettere in pericolo entrambi le loro vite. Nonostante ciò, l’ingegnere si impegnò ad aiutare i suoi correligionari.
Passarono vari giorni e rav Moshe gli chiese se ci fosse qualche novità.
“Notizie buone e cattive,” gli rispose l’ingegnere. Con molta difficoltà era riuscito ad individuare un machzòr ma era l’unico presente in tutta la zona e apparteneva al padre della sua ragazza. L’uomo si rifiutò nella maniera più assoluta di separarsi da questo machzòr proprio nel giorno di Kippur.
Rav Moshe non si arrese e fece una proposta. Forse, suggerì, ce lo potrebbe imprestare adesso e glielo restituiremo prima di Rosh Hashanà.
L’ingegnere acconsentì e riuscì a contrabbandare il machzòr all’interno del campo di lavoro.
Rav Moshe si costruì una grande cassa di legno nella quale entrava in ogni momento libero. Lì, nascosto da tutti copiò l’intero machzòr su un quaderno, parola per parola, riga per riga, pagina per pagina. Dopo un mese aveva copiato l’intero machzòr. Mancava però una sola pagina, quella della Tefillà che apre il giorno di Kippur, il Kol Nidré…
il Rav restituì il libro quando arrivò l’autunno. I prigionieri vennero a sapere le date esatte delle festività ebraiche attraverso le lettere giunte dai famigliari e durante Rosh Hashanà e Kippur riuscirono, con qualche manciate di sigarette, a convincere le guardiare di lasciarli in pace nella baracca, dove si svolsero le funzioni. Rav Moshe guidò le Tefillòt con il machzòr scritto a mano.
Dopo quasi sette anni di lavoro forzato rav Moshe con altri prigonieri politici fu liberato dopo la morte di Joseph Stalin. L’unico “souvenir” che gli rimase dal campo era il machzòr.
Si riunì con la propria famiglia a Mosca e poi incontrò e sposò la moglie Devora (Hazan) – oggi i loro 17 figli insegnano ebraismo in tutto il mondo.
A rav Moshe non piace ricordare quei momenti terribili (era stato anche torturato dai sovietici per svelare nomi di altri ebrei coinvolti in attività “contro-rivoluzianarie”. Ho sentito da un testimone che non ha parlato. NDR).
![]() Photo: Chabad Library |
Il machzor che Rav Moshe Greenberg copiò a mano nel campo di lavori forzati Omsk, Siberia nel 1951 |
Nella rara occasione che racconta una storia di quei giorni, si rammenta con lacrime che non ci fu mai una Tefillà più sentita e significativa di quella trascorsa nel campo di lavoro.
Nel 1973 rav Moshe presentò il machzòr come regalo al Rebbe di Lubavitch e si trova oggi nella biblioteca del movimento Lubavitch a New York.
Quest’anno quando abbiamo la possibilità di dire tutta la Tefillà, facciamolo anche per coloro che non avevano o che non hanno questa possibilità.
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