I discepoli del Baal Shem Tov erano ormai abituati ai viaggi improvvisi del loro Rabbi: “Si parte!”, esclamava, e i discepoli sapevano che avrebbero intrapreso un viaggio misterioso; nessuno osava mai chiedere la meta o lo scopo, ognuno prendeva i propri Talled e Tefilin e prendeva posto sulla carrozza che li avrebbe condotti in luoghi lontani e misteriosi. Nemmeno Alecsi, il cocchiere goy, si poneva troppe domande; dava un paio di frustate ai cavalli ma poi lasciava le redini ed i cavalli portavano la carrozza ed i suoi passeggeri nel posto voluto dal grande tzadik, il Baal Shem Tov.
A volte i discepoli riuscivano a scoprire cosa si nascondesse dietro al viaggio misterioso ma in un caso dovettero aspettare il racconto del loro Rabbi per vedere il mistero svelato.
Questo viaggio si svolse così. Dopo una lunga galoppata dei cavalli, la carrozza si fermò in una foresta. Il Baal Shem Tov scese dal carro e andò in un posto isolato, dove cominciò a rinchiudersi in se stesso. Dopo, andò dai discepoli e disse loro di versargli del vino; pronunciò quindi la berachà, dissero tutti “L’chaim” e si recarono poi tutti assieme ad un ruscello dove si lavarono le mani per recitare, lì in mezzo al bosco, la preghiera pomeridiana di minchà. Il Baal Shem Tov pregò con particolare devozione. Finita la preghiera tornarono alla carrozza e il Baal Shem Tov fece segno al cocchiere di tornare indietro al luogo di partenza, la città di Mezibuz.
Solo dopo che erano tornati a Mezibuz il Baal Shem Tov decise di svelare il mistero del viaggio.
“Molti anni fa”, cominciò a raccontare il Baal Shem Tov, “viveva un ebreo di nome Petachià. Quest’uomo, oltre ad essere onesto con tutti, era anche una persona timorosa di D-o. Egli possedeva una piccola bottega con cui manteneva sua moglie e sua figlia. Quando la sua unica figlia raggiunse l’età del matrimonio, si sposò con Pinchàs, un ragazzo che era un gran studioso di Torà.
Quando Petachià morì, lasciò in eredità a sua figlia e suo genero la bottega, con cui poterono continuarono a mantenersi. Tutto andò bene fino al giorno in cui il prete locale cominciò ad interessarsi del ragazzo studioso. Fece di tutto per instaurare un rapporto di amicizia con Pinchàs e ci riuscì, visto che col tempo il prete e Pinchàs divennero amici e si trovavano spesso a discutere assieme di religione.
Accadde che un giorno Pinchas si ammalò e il prete andò a trovarlo. “Vieni con me nel monastero sulla collina, lì c’è un'aria fresca che di sicuro ti guarirà!” disse il prete a Pinchàs. “Non preoccuparti per il cibo, farò in modo di farti avere la carne Kasher…”
Pinchàs si fece convincere e accettò l’invito, ma la "breve" visita al monastero finì per protrarsi per mesi. Ogni tanto andava a trovare la moglie, ma le sue visite si facevano sempre più rare, finché lasciò la sua casa, abbandonando sua moglie e i suoi figli….
Gli anni passarono. Pinchàs oramai aveva abbandonato completamente la Torà cancellando ogni minima traccia del suo ebraismo. Un giorno, mentre egli camminava nei giardini del monastero, sentì all’improvviso la voce di un pianto: era uno dei giardinieri del prete, un uomo anziano e gobbo. Quando Pinchàs gli si avvicinò per consolarlo, il giardiniere gli disse che era ebreo e che per motivi di forza maggiore dovette lasciare la sua comunità per andare a lavorare nei giardini del monastero.
“Ma perché piangi?” gli chiese Pinchàs. Il vecchio gli rispose disperato: “Oggi è Yom Kippùr! Il giorno più importante dell’anno per noi ebrei, ed io sono qui solo senza i miei fratelli, senza sinagoga….ma tu non potrai mai capire….”
Le parole del giardiniere aprirono una breccia nel cuore di Pinchàs. “Yom Kippùr…..Yom Kippùr” continuò a ripetere a bassa voce, fino a che la sua anima si risvegliò e decise di lasciare immediatamente il monastero per dirigersi verso casa sua e tornare alla Torà…
Anche il giardiniere decise di lasciare il monastero e tornare nella sua comunità; così s'incamminò ma mentre camminava nel bosco cadde e morì.
La sua anima salì al tribunale celeste e, come succede a tutte le anime, ogni azione che egli fece in questo mondo venne scrupolosamente esaminata e valutata.
Il giudizio finale però non era così ovvio: da un lato il giardiniere aveva trascorso tutta la sua vita senza Torà né mitzvòt; d’altro canto, nei suoi ultimi giorni egli aveva nientemeno che risvegliato un'anima persa - mica una cosa da niente!”
A questo punto Il Baal Shem Tov concluse la sua storia. “Quell’anima non ebbe pace per vari anni, non fu mandata né in Gan Eden* né in Ghehinom*. Il posto dove ci siamo fermati a pregare Minchà era il punto in cui quel giardiniere morì: le nostre preghiere e le nostre berachòt hanno fatto il Tikkùn (riparazione) di quell’anima e le hanno permesso di essere accolta nelle porte del Gan Eden.
* Gan Eden: lett. "il giardino dell'Eden". S'intende la dimora spirituale delle anime. Ghehinom: "purgatorio". S'intende il posto spirituale dove le anime vengono purificate dalle colpe causate dalle loro azioni nella vita terrena.
Solo dopo che erano tornati a Mezibuz il Baal Shem Tov decise di svelare il mistero del viaggio.
“Molti anni fa”, cominciò a raccontare il Baal Shem Tov, “viveva un ebreo di nome Petachià. Quest’uomo, oltre ad essere onesto con tutti, era anche una persona timorosa di D-o. Egli possedeva una piccola bottega con cui manteneva sua moglie e sua figlia. Quando la sua unica figlia raggiunse l’età del matrimonio, si sposò con Pinchàs, un ragazzo che era un gran studioso di Torà.
Quando Petachià morì, lasciò in eredità a sua figlia e suo genero la bottega, con cui poterono continuarono a mantenersi. Tutto andò bene fino al giorno in cui il prete locale cominciò ad interessarsi del ragazzo studioso. Fece di tutto per instaurare un rapporto di amicizia con Pinchàs e ci riuscì, visto che col tempo il prete e Pinchàs divennero amici e si trovavano spesso a discutere assieme di religione.
Accadde che un giorno Pinchas si ammalò e il prete andò a trovarlo. “Vieni con me nel monastero sulla collina, lì c’è un'aria fresca che di sicuro ti guarirà!” disse il prete a Pinchàs. “Non preoccuparti per il cibo, farò in modo di farti avere la carne Kasher…”
Pinchàs si fece convincere e accettò l’invito, ma la "breve" visita al monastero finì per protrarsi per mesi. Ogni tanto andava a trovare la moglie, ma le sue visite si facevano sempre più rare, finché lasciò la sua casa, abbandonando sua moglie e i suoi figli….
Gli anni passarono. Pinchàs oramai aveva abbandonato completamente la Torà cancellando ogni minima traccia del suo ebraismo. Un giorno, mentre egli camminava nei giardini del monastero, sentì all’improvviso la voce di un pianto: era uno dei giardinieri del prete, un uomo anziano e gobbo. Quando Pinchàs gli si avvicinò per consolarlo, il giardiniere gli disse che era ebreo e che per motivi di forza maggiore dovette lasciare la sua comunità per andare a lavorare nei giardini del monastero.
“Ma perché piangi?” gli chiese Pinchàs. Il vecchio gli rispose disperato: “Oggi è Yom Kippur! Il giorno più importante dell’anno per noi ebrei, ed io sono qui solo senza i miei fratelli, senza sinagoga….ma tu non potrai mai capire….”
Le parole del giardiniere aprirono una breccia nel cuore di Pinchàs. “Yom Kippur…..Yom Kippur” continuò a ripetere a bassa voce, fino a che la sua anima si risvegliò e decise di lasciare immediatamente il monastero per dirigersi verso casa sua e tornare alla Torà…
Anche il giardiniere decise di lasciare il monastero e tornare nella sua comunità; così s'incamminò ma mentre camminava nel bosco cadde e morì.
La sua anima salì al tribunale celeste e, come succede a tutte le anime, ogni azione che egli fece in questo mondo venne scrupolosamente esaminata e valutata.
Il giudizio finale però non era così ovvio: da un lato il giardiniere aveva trascorso tutta la sua vita senza Torà né mitzvòt; d’altro canto, nei suoi ultimi giorni egli aveva nientemeno che risvegliato un'anima persa - mica una cosa da niente!”
A questo punto Il Baal Shem Tov concluse la sua storia. “Quell’anima non ebbe pace per vari anni, non fu mandata né in Gan Eden* né in Ghehinom*. Il posto dove ci siamo fermati a pregare Minchà era il punto in cui quel giardiniere morì: le nostre preghiere e le nostre berachòt hanno fatto il Tikkùn (riparazione) di quell’anima e le hanno permesso di essere accolta nelle porte del Gan Eden.
* Gan Eden: lett. "il giardino dell'Eden". S'intende la dimora spirituale delle anime. Ghehinom: "purgatorio". S'intende il posto spirituale dove le anime vengono purificate dalle colpe causate dalle loro azioni nella vita terrena.
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