I nostri maestri ci dicono che D-o ha messo alla prova Abramo 10 volte per verificare la sua devozione a Lui. L'ultima e più grande di queste prove fu l'Akedà, il sacrificio di Isacco, con cui D-o comandò ad Abramo di portarGli suo figlio come offerta.

Ogni volta che noi ebrei imploriamo compassione da D-o, facciamo riferimento al merito eterno dell'Akedà. Il testo (Bereshit, 22:1-19) comprende la lettura della Torà per il secondo giorno di Rosh Hashanà ed è incluso nelle nostre preghiere quotidiane. Ciò mostra l'importanza fondamentale dell'Akedà nella nostra religione, come il supremo simbolo di sacrificio e devozione ebraica.

Ma sicuramente Abramo per amor di D-o mostrò un sacrificio di sé senza precedenti in tutte le dieci prove. Perché soltanto questa prova è così sottolineata? Perché le nostre preghiere non ricordano per esempio il coraggio di Abramo nei suoi primi anni di vita, nel farsi gettare in una fornace ardente per diffondere la fede in un unico D-o, quando avrebbe potuto salvarsi negando la sua fede? Sicuramente questo dimostrava vero amore di Abramo per D-o.

Inoltre il Midrash dice che D-o ricorse ad Abramo per sostenere questa prova dell'Akedà, perché altrimenti le nazioni del mondo - a cui Egli mostrava Abramo come fulgido esempio di devozione - avrebbero potuto affermare che le prove precedenti non erano di alcun valore. Così, non solo l'Akedà fu la più grande delle prove di Abramo, fu anche il punto di partenza (terreno di prova) per tutte le prove precedenti. Cosa la distinse da tutte le altre prove, cosicché solo la prova dell'Akedà poteva testimoniare del loro valore?

Desiderio di essere vicino a D-o
In saggi precedenti abbiamo discusso i due approcci che conducono alla fede in D-o: attraverso l'esame intellettuale o attraverso la rivelazione divina. Per l'amore di D-o. ci sono ugualmente due strade.

La prima è quella intellettuale. Chi medita sulla trascendenza di D-o, comprendendola intellettualmente al meglio delle sue abilità, deve concludere che Egli è grande oltre ogni descrizione ed è spinto da un ardente desiderio di diventare uno con D-o o almeno di essere vicino a Lui.

Questo è un processo naturale nella mente umana. L'intelletto esamina un concetto o oggetto per giudicare il suo valore per la persona. Poi sottopone la conclusione alle emozioni, che sentono una conseguente attrazione o repulsione.

Se l'intelletto (di qualcuno) deduce che egli ne può trarre in qualche modo beneficio, egli lo desidera automaticamente: un bambino vede un dolce, ne deduce che avrà piacere della sua dolcezza e non vede l'ora di averlo.

Similmente quando sfocia in una brama di avvicinasi a D-o, la meditazione in verità non è altro che una considerazione intellettuale di quanto questa relazione con D-o può portargli beneficio.

Può essere una valutazione molto semplice di come l'amore per D-o può portargli una grande ricompensa materiale. O può essere un amore più profondo, in cui l'orante non cerca ricompensa, materiale o anche spirituale: comprendendo la grandezza di D-o apprezza l'elevato valore di essere vicino a Lui, indipendentemente da altri benefici. Così forte può essere questo amore e brama, che non lo allontana neanche la minaccia di pericolo o di morte. Soltanto essere associato con il Divino, egli comprende, lo esalterà e lo renderà più perfetto.

Le due più diffuse religioni del mondo offrono molti esempi di ciò. Il Cristianesimo chiede ai suoi fedeli di amare D-o e servirlo, perché in Lui troveranno salvezza e beatitudine eterna. Questi credenti hanno ingrossato le fila degli eserciti dei crociati quando fu loro promesso che chiunque avesse dato la sua vita per liberare la Terrasanta dagli infedeli avrebbe conseguito una salvezza immediata. Anche l'Islam promette a coloro che servono Allah un paradiso eterno: vediamo fanatici leaders musulmani che allettano milioni per combattere una jihad con la promessa di immortalità per coloro che muoiono in battaglia.

Eppure questo martirio, ben diverso dall'esprimere una vera brama di unirsi al Creatore, non è in verità altro che autoconservazione. La convinzione religiosa del credente, basata com'è su altre considerazioni, materiali o spirituali, in questo caso e una relazione unilaterale: egli vuole essere vicino a D-o, ma a condizione di ottenerne qualcosa.

Per analogia, quando un uomo sposa una donna solo per la sua ricchezza, per tutti gli aspetti della vita ella non gioca alcuna parte. I1 suo futuro sposo l'ha cancellata dal quadro, sostituendola con la considerazione di quanto egli trarrà beneficio dal matrimonio.

Parimenti, quando è praticata soltanto per un guadagno personale, anche se è un miglioramento spirituale, la religione confina con l'idolatria. L'idolo è la persona stessa, perché non è considerato D-o in questa relazione, ma solo l'orante. I1 credente vuole essere vicino a D-o solo perché ciò gli porta dei benefici. La sua relazione mette in evidenza solo colui che ama, non Colui che è amato.

Molto superiore è l'amore che mette in evidenza solo l'Uno che è amato, senza considerare affatto colui che ama.

Questo amore è espresso nel versetto della Scrittura: "Una luce divina è l'anima dell'uomo" (Proverbi, 20:27). L'anima è paragonata alla fiamma di una lampada che naturalmente brucia sempre all’in su.

Ogni essere aspira ad avvicinarsi al suo principio
Il Chassidismo spiega che la natura di ogni essere creato è di tornare al suo principio. Lontano dal suo principio è indipendente, ma solo nel suo principio trova sicurezza. Un bambino si afferra all'abito della madre, un errabondo si sente a suo agio solo quando torna a casa. Similmente una pietra lanciata in alto ricade sempre a terra, perché è naturalmente richiamata al suo principio. Allo stesso modo il fuoco brucia verso l'alto in un costante desiderio di ritornare alla sua fonte celeste (come è spiegato nella Kabbalà).

E interessante; la fiamma cesserà di esistere quando ritornerà al suo principio. Nonostante l'istinto di autoconservazione di ogni essere creato, la fiamma aspira a tornare al suo principio, anche se perderà la sua identità indipendente, la sua propria esistenza consumata dall'intensità del suo principio.

Anche se ritornare al suo principio annullerà la sua esistenza, la fiamma non può resistere alla sua natura. La forza di attrazione di divenire tutt'uno con il suo principio non è allo scopo di diventare più alta o più perfetta, perché lì sarà totalmente consumata e cesserà di esistere. Eppure la fiamma non se ne cura. Oltre questa urgenza nulla conta. L'esistenza stessa della fiamma è, in confronto, insigificante. Tutto ciò che sente in questa attrazione è il suo principio, non la sua propria esistenza.

"Una luce divina è l'anima dell'uomo" ci dice che l'anima di un ebreo ha la stessa brama. Aspira naturalmente ad essere riunita con il suo principio, indipendentemente dalla sua sopravvivenza come entità distinta. È soltanto per devozione che desidera fortemente e si tende verso il cielo, e non può fare nulla per eliminare questa aspirazione.

La natura dell'anima ebraica
Questo spiega l'ineguagliabile sacrificio di sé, anche di semplici ebrei, nel corso dei secoli. Molti martiri ebrei conoscevano poco la Torà. Non sempre riconoscevano l'importanza di portare D-o nella loro vita quotidiana studiando la Torà e osservando i suoi precetti. Tuttavia non esitarono mai a sacrificare la propria vita per D-o e per la sua Torà. Che cosa fece loro sentire che essi non potevano stare ancora in vita se questo significava negare la verità di D-o?

Rabbi Shneur Zalman di Liadi, fondatore del Chassidismo Chabad, risponde che tale era la natura della loro anima ebraica, di essere attirata naturalmente ed istintivamente al suo principio. È un'aspirazione soprarazionale che rende impossibile ad un ebreo negare volontariamente il Creatore e la sua affinità con Lui.

Questi semplici ebrei rinunciarono volontariamente alla loro vita per D-o, anche se spesso osservavano poche mitzvot. Alcuni possono anche aver affermato di negare l'esistenza di D-o. Ma quando giungeva il punto di non ritorno, quando non potevano più a lungo ingannarsi che accettare altri dei e credenze li avrebbe tagliati fuori da D-o e dalla loro identità ebraica, non poterono mai farlo. Non potevano negare l'istintiva aspirazione della loro anima di essere unita al suo principio divino e non mai separata da esso, se lo negavano verbalmente ciò non era vero nel loro intimo.

Tale sacrificio di sé anche di semplici ebrei non ha una spiegazione razionale. Deriva dall'anima, I'essenza intima dell'ebreo, dove non può giocare alcun ruolo la ragione, la logica e ogni limitazione. L'essenza dell'ebreo, come D-o di cui essa è parte, e infinita.

Questo amore è innato in ogni ebreo. È un amore che mette in evidenza Colui che è amato, non chi ama, un desiderio di essere totalmente compreso dalla Divinità e si scalda nella Sua gloria, non per ricavarne benefici per se stesso, ma perché si sente attirato irresistibilmente da D-o.

L'amore dell'ebreo per D-o, così, è parallelo alla sua conoscenza di Lui.

La sua conoscenza di D-o è basata non su una meditazione personale, ma su una rivelazione divina. Indipendentemente dal fatto che abbia prove intellettuali per dimostrare la verità della sua fede, malgrado coloro che cercano di confutare le sue credenze e le mostrano razionalmente insostenibili, egli non abbandonerà né diminuirà mai la sua fede. Quando ha visto, non può mai dubitare di ciò che videro i suoi occhi. Nella sua anima, che è parte di D-o, I'ebreo sperimenta la rivelazione di D-o e non può mai dubitare della realtà della sua esperienza.

Similmente l'amore dell'ebreo per D-o e la brama naturale di essere unito con il suo Creatore non deriva da un desiderio di essere esaudito. E' una costante, insopprimibile attrazione di essere attaccato al proprio principio. Questo spiega perché così tanti ebrei del tutto ignoranti dei dogmi basilari della loro fede sono stati pronti a morire per il Creatore.

Alcuni sono diventati martiri per assicurarsi un posto nella storia, perché i loro nomi fossero ricordati per sempre come santi che rinunciarono perfino alla loro vita per la causa. Questo non è affatto spirito di sacrificio, perché spirito di sacrificio significa rifiuto di sé ed umiltà, mentre essi cercano proprio l'opposto, autoconservazione e autoesaltazione.

Un livello più elevato è quando si è pronti a rinunciare alla propria vita non per celebrare il proprio nome, ma per la convinzione sincera che la causa merita anche di morire per essa. II ragionamento intellettuale porta alla conclusione che questa causa è così preziosa che morire per essa è un beneficio. Dal momento che il motivo è il proprio beneficio spirituale, questa credenza contiene anche un po' di orgoglio e di autoesaltazione.

L'esempio di Abramo
Concepibilmente, anche l'elevato sacrificio di sé di Abramo, di farsi gettare nella fornace ardente, potrebbe essere attribuito ad una deduzione intellettuale del genere.

Come primo essere umano a rendersi conto autonomamente della falsità dell'idolatria e dell'esistenza del vero Creatore, Abramo aveva deciso di diffondere la conoscenza di D-o. La sua campagna lo portò in conflitto con le autorità, che lo condannarono per sacrilegio. Gli diedero una scelta: negare l'esistenza di D-o o morire per le sue convinzioni.

Scegliere la prima cosa avrebbe gettato seri dubbi sull'originale sincerità di Abramo. Apparentemente, si sarebbe potuto dire, la predicazione pubblica delle sue convinzioni e dei suoi ideali non avrebbe resistito quando ciò gli poteva costare la vita. Ogni esitazione di Abramo di rinunciare alla sua vita sarebbe stata vista in questo momento come una negazione degli ideali che egli aveva cercato di portare avanti per tutta la vita.

Questa considerazione avrebbe potuto essere così forte che Abramo sentì che non avrebbe potuto permettersi neanche di insinuare alcuna negazione dell'opera di tutta la sua vita. Come avrebbe distrutto in un solo momento quello alla cui costruzione aveva dedicato la vita intera? Meglio morire ora di una morte terribile come culmine della sua campagna per le sue idee che ammettere la sconfitta di tutto ciò per cui aveva lavorato.

Questo sacrificio, per quanto possa essere nobile, è ancora lontano dal bruciante desiderio di vero amore per D-o stesso, al di sopra di ogni personale considerazione.

L'Akedà, tuttavia, fu diversa da tutte le prove precedenti. Abramo non avrebbe potuto essere sospettato di sacrificare suo figlio per amore di pubblicità - per mostrare che é una fede per la quale merita anche morire - perché non era presente nessun osservatore. Anche i due servi che lo avevano accompagnato nel suo viaggio erano rimasti indietro quando egli era salito sulla montagna con il figlio.

Inoltre se il motivo di Abramo nell'acconsentire a sacrificare il suo unico figlio era per portare avanti la sua causa, allora l'ultima cosa che egli avrebbe potuto volere era di prendere la vita del figlio. Sarebbe stato assurdo, perché ciò avrebbe significato la fine della sua causa. Come unico figlio, natogli miracolosamente in età avanzata, Isacco era stato allevato per perseguire gli stessi ideali per i quali Abramo si era sforzato per tutta la vita. Istruito come successore di Abramo per propagare la fede in un solo D-o, Isacco era l'unico sulla Terra in grado di ereditare questo ruolo, come D-o aveva promesso ad Abramo. Sacrificare questo figlio avrebbe distrutto l'unica speranza di Abramo di continuare la sua vita di lavoro. L'Akedà avrebbe portato solo pericolo alla causa di Abramo.

Nondimeno Abramo non esitò. Non tenendo conto di tutte le considerazioni razionali su come questa azione avrebbe ridotto a nulla le realizzazioni di tutta la vita, il suo amore disinteressato lo spinse irresistibilmente ad obbedire al comando di D-o ed egli obbedì con passione e con gioia, esultante per questa ulteriore possibilità di essere unito a D-o adempiendo al Suo comando, indipendentemente da quello che ciò avrebbe implicato per lui.

Questa fu vera disposizione al sacrificio di sé, dominante sopra ogni considerazione personale di auto

realizzazione. È la capacità di darsi completamente a D-o, anche se la logica impone che fare in tal modo può impedire il personale progresso nel servizio spirituale di D-o. Questo era il livello supremo di disposizione al sacrificio che, di tutte le dieci prove, Abramo raggiunse solo con l'Akedà.

Se egli non avesse sopportato questa prova, le nazioni del mondo avrebbero potuto dichiarare che tutti i precedenti sacrifici non erano validi. Dal momento che gli altri erano basati su considerazioni razionali, che coinvolgevano l'intelletto di Abramo, non esprimevano una vera disposizione al sacrificio.

Ma quando egli sostenne la dura prova dell'Akedà, allora D-o gli disse: "Ora so che tu veramente temi D-o". La sua devozione disinteressata e il bruciante desiderio di essere unito a D-o era stato rivelato. Era un amore completamente trascendente ogni argomento razionale, un amore che lo portava a compiere con gioia anche quello che sembrava il piu assurdo degli ordini. Perché non dava alcun posto a qualsivoglia considerazione personale.

E questo grado di sacrificio di sé che ogni ebreo possiede. È una parte integrante del nostro essere, ereditata dal nostro antenato Abramo. II nostro legame con D-o trascende del tutto l'intelletto. Non possiamo negarlo o combatterlo, così come la fiamma non può impedirsi di bruciare verso l'alto. L'amore soprarazionale, irrefrenabile è stato manifestato dagli ebrei in tutto il mondo, per tutte le generazioni, nella loro disposizione inflessibile a morire per D-o e per i suoi precetti, per mantenere il loro legame con lui, che non si può sradicare.

Possa la loro memoria ispirarci per sempre.