È la prima cosa che si potrebbe dire di Robert Zimmerman in arte Bob Dylan.
L’ho conosciuto durante un Shabbat a casa di Rav Yitzchak Hazan dove era ospite a colazione nel 1978.
Desideroso di mettersi al livello delle persone che lo circondavano, Bob cerca di nascondersi nel suo guscio pur di non sembrare un personaggio.
Timido se aggredito, gioviale se trattato con semplicità.
Teshuvà
Dopo un forte richiamo alle sue origini è andato ad alimentare il suo ebraismo a Brooklyn vicino al Rebbe di Lubavitch che l’ha aiutato alla Teshuvà (Ritorno: ossia voler ricominciare ad esercitare le mitzvòt), fino al punto che ora Bob è arrivato a non lavorare di Shabbat ed a mangiare casher. Ciò per suo unico volere, andandone fiero.
Le sette mitzvòt di Noach
Creando subito un’atmosfera hassidica, Rav Hazan ha cantato molte canzoni seguito da quelli che erano intorno al tavolo mentre lui, Bob, cercava di orientarsi guardandosi attorno e sfogliando un libro sul Rebbe che Rav Hazan gli ha poi donato.
Rav Hazan si è fatto promettere da “Dylan” che durante uno dei suoi concerti avrebbe ribadito alle sue migliaia di spettatori, l’importanza delle sette mitzvòt di Noach. Dylan ha aggiunto che in alcuni dei suoi concerti ha fatto propaganda contro la vivisezione sugli animale e che ciò ha toccato la sensibilità del pubblico. Su questo discorso Rav Hazan ha continuato dicendo che infatti è peccato secondo le regole della Torà fare soffrire gli animali, ed ha insistito con Bob che, avendo presa su tanti giovani, deve cercare di usare questo forte potere nel modo migliore.
What is life?
Tra spumante e vodka si sono fatti molti lechaim.
E qui il discorso sulla vita (chaim): what is life gli ha chiesto Rav Hazan. E la risposta: la vita è quella che si vive secondo la Torà!
Abbiamo parlato della parashà di Shabbat, Korach, ed anche su questa il discorso è andato dilagandosi.
Ancora canzoni e melodie tradizionali che Bob con due forchettine sul tavolo ha usato per battere il ritmo a suo completo agio.
Neshamà
Una camicetta nera con dei disegni astratti di tutti i colori, un paio di pantaloni bianchi e sotto degli stivaletti sempre bianchi.
Due occhi blu dallo sguardo intenso come spiragli di luce di una finestra chiamata neshamà, anima.
Una neshamà che nella città di Roma ha cercato un indirizzo preciso, l’indirizzo di Rav Hazan per poter passare uno Shabbat con lui lontano dalle chiassose masse dei suoi concerti dove certo, si fa bella musica, ma è inconfondibilmente diversa da quella che si è cantata questo Shabbat e dove lui, scusate se lo ripeto, ha sentito il desiderio di toccarne il tempo proprio come di qualcosa strettamente sua.
Lizzy Labi Piha
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