La festa di Sukkot (tabernacoli) viene indicata nella letteratura ebraica con una serie di nomi, ma nessuno di questi sembra rifletterne l'essenza quanto quello attribuito nel libro di preghiere che la chiama «il periodo della nostra allegria». Tale definizione, tuttavia, solleva alcune fondamentali questioni: come può una specifica data del calendario essere stabilita per la gioia? Come si può obbedire all'esortazione di gioire in una certa data, senza tenere conto del proprio umore e della propria condizone?

II fatto che ciò sia possibile, è dimostrato dal modo in cui viene celebrata Simchat Torah, il culmine della festa di otto giorni. Non solo i credenti gioiscono, ma spesso essi riescono a trascinare anche altri nelle loro gioie e danze. È difficile distinguere tra l'allegria obbligatoria e le manifestazioni spontanee di gioia individuale o comune.

II comandamento di gioire a Sukkot, di fatto è solo uno di una serie di obblighi simili che riguardano il proprio stato d'animo. II calendario ebraico stabilisce giorni di contemplazione, di dolore e di gioia. A prima vista potrebbe sembrare un paradosso, si può dire che solo chi riesce a provare dolore il giorno di Tishah b'Av (l'anniversario della distruzione del Tempio e di altre tragedie avvenute nel corso della storia ebraica), è capace di gioire a Simhat Torah. Nonostante l'apparente differenza delle due condizioni, tra di loro esiste un profondo legame, dato che ciascuna di esse fa riferimento alla stessa forza interiore.

L'abilità di gioire in un giorno prestabilito deriva dall'autodisciplina,

che è parte integrante della vita religiosa ed è una caratteristica essenziale dell'ebreo praticante.

Anche quando le mitzvot (comandamenti) vengono osservate in modo superficiale, rimane il bisogno di interiorizzare i valori e le richieste. Una pressione esercitata dall'esterno, non può mai essere totalmente efficace, nemmeno nella più coercitiva delle società. Nessun funzionario di polizia potrebbe controllare le attività di ogni singolo per assicurarsi che vengano osservate tutte le mitzvot. Per questo è necessaria la forza interiore per rispettare le mitzvot in generale e per prendere particolari decisioni collegate con la loro osservanza in varie situazioni e in vari stati d'animo.

L'ebreo osservante, prende questa forza dal mandato di assumersi determinate responsabilità, il quale nel Talmud viene chiamato «il giogo del cielo». La profondità di questo incarico si differenzia chiaramente da una persona all'altra e non si può negare che la religiosità superficiale di colui che esegue senza riflettere ciò che gli è stato insegnato nell'infanzia, non è rara.

Tuttavia, anche quando il compito individuale non è più elevato di così - e una persona del genere è giustamente soggetta a delle critiche - egli possiede, in misura considerevole la capacità di vivere in accordo con la propria coscienza, per quanto possa essere debole e poco sviluppata. L'osservante «semplice», può certamente essere il prodotto dell'indottrinamento avvenuto nella sua educazione; egli può essere in parte il significato e le implicazioni di ciò che afferma e pratica. Egli vive comunque a un certo livello spirituale e la sua vita viene determinata da valori.

Tutto questo può apparire ovvio, e l'enfasi con la quale viene ribadito, piuttosto inutile. L'ebreo osservante di oggi comunque, spesso non è più religioso nel vero senso della parola e la sua personalità è in gran parte influenzata dall'abitudine all'appartenenza ad un certo gruppo o settore della comunità. Malgrado questo, la forza interiore e la disciplina che rendono possibile una vera vita religiosa, possono essere acquisite grazie al «giogo del cielo».

Ogni persona che osserva le mitzvot, porta il giogo del cielo, almeno in parte. Anche il filosofo o il mistico religioso che ha avuto le più profonde ed autentiche esperienze spirituali (con l'eccezione dello Tzaddik, una persona giusta), non ne può fare a meno, perchè non si può sempre identificare completamente con tutte le mitzvot. Anche se può capire e sentire il loro significato, ed è capace di eseguirle senza riserve, per lui non è semplicemente possibile farlo con spontanea e naturale volontà in ogni occasione.

Anche se ci sono alcune attività umane che vengono eseguite spontaneamente, esse sono generalmente associate con specifiche funzioni fisiologiche, come la fame e la sete. Non possono esistere simili comportamenti spontanei per l'osservanza delle mitzvot, dato che essi non vengono generati dai bisogni dell'individuo, ma sono la risposta ad una legge superiore che non si può completamente identificare e capire. Colui che crede, non può aspettarsi che essi provengano spontaneamente dal suo interno, dato che sa che la loro origine è sopra e oltre la sua persona. Quindi egli deve costruire e sviluppare il suo orientamento verso la vita spirituale, e ciò richiede una preparazione. È necessario per lui, portarsi a provare un trasporto per la mitzvà, sia nel complesso che in ogni azione individuale e in ogni singola occasione.

Questa formula non è quella data generalmente, ma è di fatto la base di una gran parte della letteratura contemplativa ebraica, la quale si rivolge alla questione dell'intenzione o dell'orientamento del cuore (in ebraico kavanah). Una persona che ha acquistato un livello superiore, più spirituale, non si preoccupa meno dei precisi dettagli dell'esecuzione della mitzvà, di quanto si preoccupi della preparazione della sua anima per una più intima identificazione con essa. Non è in larga misura noto il fatto che la meditazione come prassi religiosa non è limitata ai seguaci delle religioni orientali. Nel giudaismo essa viene praticata prima, e durante l'esecuzione delle mitzvot.

Queste procedure contemplative (kavanot) esistono in molte forme. Per coloro che hanno questa inclinazione, esistono dettagliati sistemi di esercizi mistici; per altri esistono procedure contemplative a livello intellettuale; e tutti a prescindere dal loro stato spirituale sono tenuti quantomeno a recitare una benedizione prima di eseguire una mitzvà.

Inoltre, esistono molti atti intermedi nella preparazione spirituale, la quale non è vincolata al tempo, e il cui scopo è quello di portare l'individuo ad approntarsi per l'evento momentaneo: la mitzvà. L'azione stessa è ovviamente indispensabile e l'esecuzione fisica comporta sempre qualche tipo di esperienza spirituale. In ogni caso comunque, la preparazione dell'anima all'esecuzione della mitzvà è di primaria importanza. Questa disciplina acquisita, comporta il miracolo del coordinare tutti gli elementi del proprio essere in vista dell'esperienza.

Certe correnti di pensiero contemporanee, saranno senza dubbio contrarie a questo tipo di approccio, ritenendolo un ingiustificabile abbandono dell'esperienza, una perdita di spontaneità emotiva e spirituale.

Un intero mondo romantico, è basato sulla supposizione che si dovrebbe coltivare la spontaneità del sentimento e respingere tutte le anticipazioni rigide o chiaramente definite, di una esperienza spirituale o emozionale. Questo atteggiamento non è limitato solo alla vita religiosa, ma anche ad altri sentimenti come l'emozione romantica, o la creatività artistica. Esso include concetti come I'«amore a prima vista» o ('«ispirazione artistica». Di fatto, è esattamente in questi campi che diviene chiara la illusorietà di questo approccio romantico. L'ispirazione come fonte primaria della creatività artistica, non è altro che una attraente finzione, dato che l'ispirazione ha un ruolo decisamente secondario nell'arte, rispetto a quello svolto dal pensiero scientifico e filosofico. L'attività creativa, risulta generalmente dalla combinazione di numerosi fattori, inclusa la preparazione individuale, l'allenamento professionale e una notevole componente di duro lavoro.

Un'osservazione più critica ed approfondita, rivela che l'esistenza umana, dipende in larga parte dal distanziarsi dalle pressioni della spontaneità fisiologica per focalizzare la consapevolezza di una azione.

Più la creatura è inferiore nella scala evolutiva, più essa è assoggettata alle richieste del suo istinto, cioè alla sua spontaneità naturale. Ogni livello di sviluppo superiore, richiede un maggior distacco da queste pressioni, e il loro superamento per mezzo di processi di apprendimento e di allenamento. Un bambino non può imparare a camminare senza un lungo periodo di preparazione. Questa è solo una semplice attività motoria, ed è evidente che le attività psichiche, che sono più sottili e complesse, richiedono un maggiore allenamento e condizionamento. Ad esempio, una completa spontaneità dell'amore ricorre molto raramente nell'uomo (negli animali essa è una funzione del ciclo sessuale), dato che i sentimenti coinvolti sono troppo complessi, ed in larga parte appresi.

Molti studiosi hanno evidenziato che le parole ebraiche emunah (fede) e emun (allenamento) derivano dalla stessa radice, e hanno interpretato questo fatto come una dimostrazione che è necessario allenarsi per acquisire una esperienza religiosa significativa. Questa necessità di allenamento, non significa tuttavia che non esiste lo spazio per l'esperienza religiosa spontanea, ma piuttosto che una simile esperienza spontanea non può essere la base per una vita religiosa. Solo coltivando la consapevolezza e la comprensione, con una cosciente e perdurante preparazione, è possibile trarre dalle risorse interne la capacità di una esperienza profonda e significativa.

La persona religiosa è confrontata con il dovere di attingere coscientemente alle sue risorse interne per tutta la durata della sua vita; essa deve costantemente mantenere e rafforzare la disciplina interna, la stessa disciplina che mette l'artista in condizione di creare. E ovviamente, essa deve essere capace di ricevere da queste risorse interne, l'esperienza autentica che essa desidera e della quale ha bisogno. Queste esperienze religiose non conoscono la libertà della spontaneità, ma nonostante questo sono genuine, e per la loro virtù di essere guidate e preparate, sono ancora più umane.

Quindi, nella data assegnata dal nostro calendario alla gioia, la persona che si è preparata - la persona la cui vita è più di una serie di riflessi in risposta a stimoli interni ed esterni può ottenere la vera allegria. Essa sa come gioire completamente.

Di Rav Adin Even Israel Steinsaltz