Segreto n. 1: La cerimonia dell’attingimento dell’acqua
“Chi non ha visto la gioia della cerimonia dell’attingimento dell’acqua, non ha mai visto la gioia in vita sua!”, afferma il Talmud1. Il passo prosegue descrivendo l’evento che aveva luogo ogni Sukkòt nel Santuario di Gerusalemme: luccicanti candelabri d’oro, portatori d’olio corpulenti, Rabbini danzanti, Saggi che facevano i giocolieri, e una grande folla di ebrei giubilanti.
Le danze continuavano per tutta la notte e la festa si svolgeva nel capiente cortile delle donne del Santuario (gli uomini stavano in basso, le donne stavano su una elaborata balconata che veniva eretta appositamente per questa cerimonia), e sui larghi gradini circolari che conducevano al cortile degli uomini stavano i Leviti, con “arpe, lire, cembali, trombe” e molti altri strumenti musicali. I Leviti fornivano la musica e il canto spirituale che tenevano Gerusalemme sveglia fino all’alba, e stavano su questi “quindici gradini che portavano dal cortile degli Israeliti al cortile delle donne, e che corrispondevano ai quindici ‘Canti delle Salite’ (shir hamaalòt) dei Salmi”2.
Al richiamo dell’alba, due sacerdoti suonavano le trombe e cominciavano a scendere i quindici gradini. Si fermavano sul decimo gradino e suonavano ancora una volta le trombe, e poi suonavano ancora quando arrivavano al cortile delle donne. I sacerdoti proseguivano fino a che raggiungevano la porta orientale che conduceva fuori dal Santuario, e lì si voltavano verso la struttura principale del Santuario e proclamavano: “I nostri padri che erano qui [prima della distruzione del Primo Tempio, come riportato nel cap. 8 di Ezra] voltarono le spalle al Santuario di D-o e si girarono a est per adorare il Sole. Ma quanto a noi, i nostri occhi sono rivolti a D-o!”. Secondo Rabbì Yonà, i sacerdoti ripetevano queste parole, proclamando: “Noi siamo per il Sign-re e al Sign-re sono rivolti i nostri occhi!”.
La moltitudine di gente poi seguiva i sacerdoti alla sorgente dello Shilòach, da cui attingevano l’acqua per le libagioni di Sukkòt3.
Segreto n. 2: I Quindici Gradini
Nella descrizione dell’evento, la menzione per inciso dei quindici gradini sembra fuori posto: “…che corrispondono ai quindici ‘Canti delle Salite’ dei Salmi”. Questa nota potrebbe essere riportata nei trattati talmudici che parlano della struttura del Santuario anziché comparire, quasi per caso, nel nostro passo che descrive la cerimonia dell’attingimento dell’acqua. Inoltre, qui i sacerdoti “scendono i Gradini delle Salite”! Questa piccola allusione contiene una pista, una scia molto promettente che, se portata alla luce e seguita, ci conduce a scoprire una dimensione storica, mistica e pratica completamente nuova.
Cominciamo dal Talmud:
Rav Chisdà chiese a “un certo Rav” perché il Re Davìd compose questi quindici Canti delle Salite. Il Rav rispose che quando il Re Davìd cominciò i lavori di scavo nel luogo dell’altare del Santuario, le acque sotterranee si sollevarono e minacciarono di inondare il pianeta. Davìd allora compose quindici Canti delle Salite, e le profondità si calmarono. Rav Chisdà immediatamente obiettò che se fosse stato così, perché non chiamarli “Canti delle Discese”, ossia delle acque che si ritrassero in basso, anziché “Canti delle Salite”!? L’anonimo Rav replicò: “Tu mi hai ricordato che questo è ciò che accadde: quando le profondità insorsero, il Re Davìd pensò di inscrivere il Nome di D-o in un pezzo di terracotta e gettarlo nelle acque; il Maestro del Re, ossia Achitòfel, stabilì che era permesso farlo in base al seguente ragionamento: se, in nome dell’armonia tra il marito e la moglie che è sospettata di infedeltà, D-o comanda di cancellare il Suo Nome mettendo la pergamena che Lo contiene in un recipiente di acqua e dando poi l’acqua da bere alla donna4, allora è sicuramente permesso al Re Davìd gettare il Nome Divino nelle acque che stanno insorgendo per portare pace nel mondo intero! Il Re Davìd gettò immediatamente il Nome nelle acque, che poi si ritrassero di sedici livelli. Però il Re Davìd capì che, in questo modo, la terra non sarebbe stata irrigata a sufficienza, e allora intonò quindici Canti delle Salite che fecero risalire le acque al livello necessario.”
Nel suo commentario al Talmud, Maharshà5 aggiunge che il Nome Divino che Davìd scrisse era Yud-He, che ha il valore numerico 15; i gradini del Santuario e i Canti delle Salite corrispondono a questo Nome Divino. I due sacerdoti che scendevano i gradini per andare ad attingere l’acqua di Sukkòt si fermavano appositamente sul decimo gradino per indicare che i quindici gradini erano divisi in due: dieci e cinque, corrispondenti rispettivamente alla lettera yud (valore numerico 10) e alla lettera he (valore numerico 5).
Maharàl6 sviluppa ulteriormente l’idea. Egli cita il versetto di Isaia 26:4: “Poiché in D-o (Yud-He) si trova la forza dei mondi”, riguardo al quale i nostri Saggi affermano che ogni creazione viene a esistenza attraverso queste due “lettere” divine: la yud e la he. Dunque, dice Maharàl, il limite dell’auto-perfezione che si può raggiungere nella sfera della creazione non riesce a superare quindici “livelli”, poiché questo è il parametro all’interno del quale ogni creatura può esistere. (Andare oltre questi livelli non è alla portata di niente e di nessuno, e è possibile solo per concessione di D-o).
A un livello più specifico, la lettera yud corrisponde all’attributo (sferirà) di chochmà (saggezza), mentre la lettera he corrisponde all’attributo di binà (comprensione). Il primo è l’aspetto “maschile” della creazione, che dà, e il secondo è l’aspetto “femminile”, che riceve. In altre parole, si tratta del fisico e dello spirituale, della forma e della materia, o del corpo e dell’anima. Il Tanya spiega, dilungandosi, che ogni esistenza fisica dipende costantemente dal fatto di ricevere un input spirituale. Inoltre, le stesse lettere Divine con cui ogni creazione è venuta a esistenza sono composte di una “forma” che deriva dalla lettera yud, e di una “materia” che deriva dalla lettera he. Questo fa di ogni sostanza materiale un recipiente, e di ogni esistenza spirituale un donatore.
Allora è questo il segreto dietro ai quindici Canti delle Salite. Non possono esservi sedici canti, poiché ciò non è alla portata del creato. Allo stesso modo, vi erano quindici corrispondenti gradini nel Santuario che facevano salire la persona dall’aspetto più materiale e dunque femminile della creazione (ciò che riceve la vitalità spirituale), che era il cortile delle donne, verso l’aspetto più spirituale e dunque maschile, che era il cortile degli Israeliti. E questo è anche il segreto dietro alla dichiarazione dei sacerdoti: “Noi siamo per il Sign-re”. Il Nome di D-o che usavano in questa occasione, come riportato nel passo del Talmud sopra citato, è Yud-He, che equivale a 15.
Segreto n. 3: Rivelare Rosh Hashanà
A livello meno cabalistico, il numero dei gradini e il loro rapporto con la cerimonia dell’attingimento dell’acqua di Sukkòt sono dovuti al fatto che di Rosh Hashanà viene deciso quanto il nostro pianeta sarà irrigato. I Saggi affermano che tutte le nostre preghiere, la nostra devozione e i nostri sforzi nei Dieci Giorni Penitenziali – che cominciano con Rosh Hashanà e culminano con Yom Kippùr – sono rivelati durante Sukkòt. Dunque il salmista intona: “Suona lo shofàr alla luna nuova, nel tempo stabilito [o ‘nel nascondimento’], per il giorno della nostra festa”7. Ciò significa che qualunque cosa spirituale si riesca a realizzare durante la “luna nuova”, ossia Rosh Hashanà (l’inizio del mese, quando la luna è ancora nascosta), sarà rivelata in maniera chiara come il sole durante “la nostra festa”, ossia Sukkòt. Tutte le nostre necessità, assieme all’erogazione vitale dell’acqua, sono giudicate di Rosh Hashanà; la gioia di essere assolti e la felicità che provoca il favore Divino di cui godiamo a Kippùr si producono in maniera manifesta durante Sukkòt.
Segreto n. 4: I gradini della discesa gioiosa
Anche il percorso lunare è un riflesso del Nome Divino che ha il valore numerico di 15, con il quale è stato creato. E come la luna comincia il suo ciclo mensile crescendo ogni giorno per quindici giorni, così pure gli sforzi spirituali del popolo ebraico, “che è paragonato alla luna e che calcola i suoi mesi attraverso la luna”, si accrescono tenacemente per quindici giorni, da Rosh Hashanà fino a Sukkòt, quando tutto si rivela e illumina nella sua pienezza.
Nei primi quindici giorni di tishrì, i gradini del Santuario sono veramente dei Gradini delle Salite; poi, il popolo ebraico, a livello individuale e collettivo, sale raggiungendo vette sempre più alte nel raffinamento di sé, staccato e lontano dalle preoccupazioni materiali e dal cortile del fisico, dirigendosi verso il Creatore attraverso il cortile dello spirituale.
Di Rosh Hashanà, che è il giorno del giudizio, ogni anno accettiamo nuovamente il nostro Padre e il nostro Re, e ci rivolgiamo a Lui con un pentimento gioioso. Nei sette giorni penitenziali successivi arriviamo ancora più in alto raffinandoci, fino a Yom Kippùr, che è il giorno dell’espiazione. Di Kippùr, l’unico giorno del calendario che ha cinque preghiere – che corrispondono ai cinque livelli dell’anima – ci eleviamo ancora più in alto, fino a entrare a contatto con la vera essenza della nostra anima nella quinta e ultima preghiera di Neilà. L’essenza della nostra anima è radicata nell’Essenza di D-o, molto al di là di ogni gradino o livello, e per un breve tempo, arriviamo a toccare l’infinito. Successivamente abbiamo altri cinque giorni per assorbire queste vette mentre prepariamo i nostri conseguimenti spirituali a essere “consegnati” al nostro solito mondo, di Sukkòt.
Ora questi Gradini delle Salite diventano Gradini delle Discese, poiché la nostra accettazione di D-o di Rosh Hashanà e il Suo perdono di Kippùr (il frutto di quindici giorni intensi) “scendono” velocemente e sono rivelati durante Sukkòt, causando una felicità ineguagliabile. Quindi i sacerdoti suonavano appositamente una serie di suoni dello shofàr in cima ai gradini, poi di nuovo al decimo gradino, e una volta ancora alla base della gradinata, poiché questi suoni corrispondono rispettivamente a Rosh Hashanà, Yom Kippùr (dieci giorni dopo), e Sukkòt (cinque giorni dopo).
Per inciso, questo è anche il motivo per cui erano i Leviti che stavano sui gradini suonando gli strumenti e intonando canti mentre i sacerdoti scendevano e guidavano la processione. La cabalà spiega che i Leviti, a cui era assegnato il compito di alzare la voce in canto ed elevare il popolo con la loro musica, riflettono una rigorosa modalità di ascesa nel rapimento estatico; dunque, sedevano sui Gradini delle Salite. Viceversa, i sacerdoti, a cui era assegnato il compito di portare giù il fuoco celeste sull’altare e di suscitare la benedizione divina per il popolo, riflettono una “discesa” e una concessione benevolente. Così, essi scendevano e guidavano il popolo. Allo stesso modo, i Giorni Temibili iniziali “ascendenti” sono giorni di severità, mentre i giorni successivi “discendenti” di gioia sono caratterizzati dalla benevolenza e dall’esultanza.
Segreto n. 5: La missione delle acque inferiori
“E D-o fece i cieli, e separò le acque sotto i cieli e le acque sopra i cieli” (Genesi 1:7): questo si produsse il secondo giorno della Creazione. Da quel momento in poi, ci furono “acque superiori” e “acque inferiori”. Le acque inferiori si lamentarono con D-o: “Anche noi vogliamo essere vicino a Te! Perché siamo così lontano?”8. D-o le consolò dicendo: “Arriverà un tempo in cui anche voi sarete vicine, quando le vostre acque saranno versate sull’altare durante la festa di Sukkòt, per celebrare l’attingimento dell’acqua”9.
I nostri Saggi dicono che la libagione dell’acqua di Sukkòt provocava la materializzazione della benedizione che le sorgenti di acqua avrebbero irrigato la terra in maniera produttiva nel corso dell’intero anno appena cominciato.
Tuttavia, non furono solo le acque del nostro pianeta a essere state separate alla nascita e ad anelare a essere in qualche modo riconciliate. Anche l’anima dell’uomo è stata divisa dalla creazione: parte di essa è stata abbassata e posta in un corpo fisico molto al di sotto dei cieli, e parte di essa è rimasta in alto. Pure le due parti dell’anima vogliono essere riconciliate, e le acque inferiori dell’anima implorano D-o con amarezza: “Perché non possiamo anche noi restare davanti alla Tua Presenza? Perché dobbiamo restare intrappolate in un corpo materiale, estraneo e finito?” Allora D-o consola l’anima e le dice: “Quando le tue acque saranno versate sul Mio altare, quando utilizzerai la tua energia per osservare i Miei comandamenti e vivere una vita gioiosamente ispirata dalla Mia Torà, allora anche tu sarai vicina a Me, perfino più vicina alla Mia essenza di quanto possa mai arrivare qualsiasi cosa nei cieli”.
Nei primi quindici giorni di tishrì, imploriamo D-o e ci arrovelliamo nel desiderio di avvicinarci a Lui. Saliamo i gradini all’interno dei parametri della nostra esistenza, e ci troviamo temporaneamente uniti con i cieli al di là, con la Fonte e la Sorgente originale della nostra anima. Poi arriva la risposta amorevole di D-o, e scendiamo con gioia lungo i quindici gradini per rientrare nel nostro cortile fisico, infusi però di uno scopo, di una missione, del fermo proposito di rivelare questa essenza nella sfera del finito – qualcosa che solo noi, le “acque inferiori” intrappolate nel corpo, possiamo realizzare.
E allora balliamo nell’osservanza dei precetti fisici di Sukkòt: la sukkà che ci avviluppa con i muri materiali che irradiano la volontà del Sign-re, le Quattro Specie di materiali vegetali che si uniscono ben volentieri di fronte all’influenza della saggezza del Sign-re. Balzare con la garanzia di successo spirituale, incoraggiati e resi in grado di trasformare la notte in giorno fino al richiamo dell’alba e fino a che la luce della divinità riempirà i cieli della creazione: questo è Sukkòt, e la delizia delle acque inferiori.
Segreto n. 6: Dare e ricevere
“Nell’angustia ho invocato D-o; D-o mi ha ampiamente risposto” (Salmi 118:5). I giorni luminosi che scaturiscono da alti fumaioli di cupezza sono ancora più gradevoli. I caldi raggi del sollievo che fanno capolino dalle nubi dense di ansietà sono ancora più brillanti e confortanti. Il versetto dei Salmi apre la solenne invocazione che viene intonata dalla congregazione quando si suona lo shofàr di Rosh Hashanà. Come la forma stessa dello shofàr, il mese di tishrì inizia nell’”angustia”, la severità e la cupezza dei giorni del giudizio, del pentimento e dell’espiazione, quando ci uniamo per invocare D-o. La Sua risposta e la Sua effusione arrivano a Sukkòt, la Festa della Nostra Felicità.
Con acume, il versetto usa il Nome Yud-He sia per l’angustia che per l’effusione. Quindici giorni di cauta ascesa, e quindici gradini che portano la santità giù in terra.
Dunque, prima saliamo in altro verso il cortile degli uomini, dispensando beneficenza, offrendo suppliche, perorando la nostra causa e facendo ammenda; qui diamo. Da noi a D-o. Poi torniamo al cortile delle donne per crogiolarci nel piacere del nostro rinnovamento, nel sollievo della nostra espiazione e nella gioia dell’unione con il nostro Creatore: qui riceviamo. Chi, dice il Talmud, partecipava alla gioia della cerimonia dell’attingimento dell’acqua e danzava nel cortile delle donne, sarebbe stato il recipiente dell’ispirazione divina. Da D-o a noi.
Segreto n. 7: L’armonia matrimoniale
Come descritto nel Canto dei Cantici, il popolo ebraico è paragonato a una moglie; D-o è il Marito. Un ebreo che devia dalla strada della Torà di D-o e si aggrappa ad altre seduzioni è come una donna che non mantiene il suo impegno e è infedele. Quando si avvicinano i Giorni Temibili, ogni ebreo viene esortato a fare il punto di dove si trova, di come si comporta e a tornare a D-o, implorando il Suo perdono, la Sua riconciliazione e il Suo perdono.
Come una donna sospettata di infedeltà doveva sottoporsi a una prova che avrebbe determinato il suo status, usando il Nome di D-o, così il popolo ebraico deve sottoporsi a un processo di giudizio e di valutazione durante i quindici giorni che corrispondono al Nome di D-o. E come la donna che era trovata innocente riceveva abbondanza di benedizioni e di manifestazioni di gioia, e veniva riunita con amore al marito, allo stesso modo il popolo ebraico celebra una festa di gioia e riunione con suo Marito, dopo il Giorno dell’Espiazione.
Segreto n. 8: La profondità che si solleva
Nel corso dell’anno, una persona è sommersa e distratta dalle pressioni della vita quotidiana e può lasciarsi fuorviare dalle attrazioni vane. L’anima racchiusa nel corpo (le “acque inferiori”) viene trascinata suo malgrado sul terreno e sulla sabbia, su sassi e rocce. Con il lamento di un prigioniero, deve seguire il suo catturatore attraverso le strade impervie della materialità e seguendo le scie rozze della trivialità, mischiate a sedimenti di trasgressioni e residui di colpa.
Il suono dello shofàr funge da risveglio, e le acque dell’anima si riversano a prua. Quando una persona comincia a scavare nella propria vita, a rimuovere lo sporco e il sudiciume e a gettare le fondamenta del proprio Santuario personale di D-o seguendo i Suoi precetti e agendo con integrità e applicazione, le correnti soppresse della sua anima cominciano a ingrossarsi.
A ogni successivo atto di pentimento, impulso al rimorso o desiderio palpitante di unirsi a D-o che un individuo sperimenta nei Giorni Temibili, le sorgenti pure della nostra anima vengono gradualmente liberate dalla cattività. Una volta affrancata, l’anima brilla. La persona ora si rende conto che la sostanza materiale non ha la minima importanza se paragonata allo scopo della vita. L’individuo potrebbe persino arrivare a essere in qualche modo disgustato dallo spreco delle cause che ha perseguito delle glorie fugaci di questo mondo. Poter sperimentare la vicinanza con D-o! Chi potrebbe mai continuare a voler tornare ai cicli mondani della vita di tutti i giorni…!?
Di Kippùr, il culmine dei Giorni Penitenziali, ci asteniamo dal cibo, ci vestiamo di bianco e trascorriamo tutto il giorno unendoci a D-o con la preghiera. Siamo più angeli che esseri umani. La divinità che è in noi è stata rivelata, finalmente siamo a casa!
Questo, però, è anche il punto in cui la profondità minaccia di sopraffare la terra. L’anelito alla divinità e all’auto-perfezione minaccia di sedurre una persona e portarla a staccarsi completamente dalla vita fisica e dal coinvolgimento sociale. A questo livello così illuminato, il mondo circostante sembra effimero, superfluo e fuorviante, come una trappola che deve essere scansata.
Segreto n. 9: La tenda della pace
Una volta che la persona è arrivata a un tale desiderio per la Divinità, accompagnato dal disgusto verso la fisicità ostruente, ha raggiunto il punto in cui deve cessare di contemplare se stessa e il desiderio della propria anima. Ora deve prendere in considerazione la volontà del Creatore. Rincorre, è pur vero, la vicinanza con D-o, ma che cosa questo D-o che ella cerca fa per lei? Dove si trova l’amore della sua anima: nei cieli – che sono creazioni puramente spirituali colme della radiosità di D-o? O forse in questo buio mondo fatto di battaglie continue, dove l’essenza di D-o può essere rivelata sconfiggendo l’oscurità?
Questo mondo materiale, però, è stato progettato con un preciso intento; D-o non commette errori. Se questo mondo esistesse solo per essere scansato, non esisterebbe del tutto! Perché le anime aspettano migliaia di anni solo per entrare in questo mondo? Forse che l’anima non è stata vestita di un corpo di carne per compiere una missione? Sì, la fisicità rozza è un ostacolo alla spiritualità, ma non era forse questo lo scopo della separazione delle acque inferiori della sua anima, ossia fungere da filtro attraverso lo strato grezzo e irrigare il pianeta di divinità e significato?
Al fine di utilizzare il fisico che ci circonda nella via della Torà e imbrigliare la corporeità guidandola a compiere lo scopo dell’umanità, è necessario che le acque fluiscano lungo le sabbie e i terreni delle circostanze, e traccino un cammino sicuro tra i sassi della falsità. Eppure, facendo così, le acque diventano pure, cristalline e potabili. Anziché annerirsi, possono raffinare e crescere raffinate. Lungi dal diventare stagnanti, possono addolcirsi ed essere causa di crescita.
Potrebbe essere più facile evitare la propria missione e perseguire D-o. Ma l’essenza di D-o deve essere trovata proprio tenendo occupata la Sua creazione corporale impegnandola in accordo con la Sua volontà.
E così, dopo questi Giorni delle Salite che ci hanno liberato dal peccato, è ora il momento di gettare il Nome di D-o nelle acque della nostra anima che si stanno sollevando. L’intenzione non è di inondare il pianeta con la divinità ignorando la sua materialità, bensì, lo scopo finale è di inscrivere il Nome di D-o nella terracotta dell’esistenza stessa, di soffondere il corporale e bagnarlo di cielo. (Da notare che nella tradizione ebraica, il giorno dopo Kippùr è chiamato “Il Giorno del Nome di D-o”.)
Questo corso, Achitòfel suggerì a Davìd, porterà – proprio come l’armonia domestica tra l’anima e la sua Sorgente, tra il popolo ebraico e suo Marito, che si raggiunge di Yom Kippùr – pace e armonia tra l’intera creazione fisica e il suo Creatore.
Lasciamo che la persona, ispirata da nuovo dal profondo, riprenda le vie della vita quotidiana e permetta alle sue vette appena conquistate di essere fonte di crescita e armonia tra lei e l’universo. La consapevolezza che “noi siamo per il Sign-re” ora fa sì che “i nostri occhi sono rivolti a D-o” nel corso dei nostri affari quotidiani. Lasciamo che le profondità fonte di ispirazione soffondano la nostra realtà, senza rinnegarla ma permettendole di nutrire e mantenere il nostro mondo con il significato della vita.
Questa è la gioia della cerimonia dell’attingimento dell’acqua e il segreto dietro alla “tenda della pace” rappresentata dalla sukkà, nella quale il cielo e la terra dimorano in armonia.
“Chi non ha visto la gioia della cerimonia dell’attingimento dell’acqua, non ha mai visto la gioia in vita sua!”
Di Yaakov Paley, traduzione di Deborah Cohenca Klagsbald