Poco dopo il mio arrivo negli Stati Uniti in qualità di Ambasciatore d’Israele presso le Nazioni Unite, ricevetti la visita di un chassìd chabàd che fu uno dei miei soldati quando ero capitano della Sayeret Matkàl, il commando d’élite di Tzahàl (esercito israeliano). Mi disse: “Ci sarà qualcosa di straordinario dal Rabbi di Lubàvitch, è importante che tu venga”. Ci andai. Era la prima volta che incontravo il Rabbi, la sera di Simchàt Torà (n.d.t. ultimo giorno di Succòt, la festa delle Capanne), nel 1984. Più di 5000 chassidìm si stringevano nella sinagoga quando il Rabbi entro per il farbrengen, durante il quale i discorsi del Rabbi, i canti dei chassidìm avrebbero preceduto le hakafòt a tarda serata (rito di Simchàt Torà). Alcune persone che mi stavano accanto mi dissero di avvicinarmi al Rabbi. Io temetti di disturbarlo, ma essi insistettero.

Interpellai il Rabbi: “Sono venuto per vederti”. Egli mi guardò e mi rispose: “Vedermi e basta? e non conversare con me?”. Ed è così che si aprì un colloquio che durò tre quarti d’ora. Tra le cose che il Rabbi mi disse, pronunciò la frase seguente:

“Ti recherai alla casa dell’oscurità, l’ONU (a quei tempi la Nazioni Unite erano dichiaratamente ostili nei confronti di Israele e la soprannominavamo “bet hachòshech`- la casa dell’oscurità”) ma devi ricordarti che persino nel buio più intenso se accendi una piccola fiamma, questa può diffondere una luce immensa e spandersi infinitamente. Ricordati chi sei e chi rappresenti: Israele, il popolo ebraico.

Devi palesare una posizione risoluta e orgogliosa”. Altri argomenti furono trattati, ma mi è rimasto per sempre impresso in particolare questo incoraggiamento. Fu un incontro commovente, eccezionale. Egli non tentò di smussare gli angoli o di abbellire le cose. Mi disse in modo conciso e franco ciò che pensava e le sue parole sono penetrate nella mia anima. Ho cercato del mio meglio di agire seguendo i suoi consigli durante tutti gli anni quale ambasciatore presso l`ONU.

Affrontare 119 Oppositori

Al termine di quattro anni, decisi di tornare in Israele e di entrare nella scena politica israeliana. Andai dal Rebbe e lo informai sulle mie intenzioni. All’inizio egli si oppose. Affermò che assolvevo a un ruolo importante in America. Insistetti e mi rispose: “va bene, se proprio lo desideri....ma ricordati che avrai contro di te 119 deputati della Knesset”. A quei tempi quelle parole mi sembravano un po` esagerate, suonavano un po` come uno scherzo. Oggi posso affermare che sono un’ottima definizione della funzione di primo ministro. Siamo sempre rimasti in contatto. Quando venivo negli Stati Uniti chiedevo immancabilmente un appuntamento per intrattenermi con lui.

Quando mio figlio Yaìr nacque, ricevetti dal Rebbe una bellisima lettera piena di benedizioni, nella quale disse che poiché il nome Yaìr proveniva dalla radice or - luce, mi benedisse affinché Yaìr illuminasse la mia vita. Le sue posizioni in materia di sicurezza erano sempre piu salde. Penso che oggi la maggior parte della popolazione israeliana ha capito finalmente il vero problema del conflitto con i nostri vicini. Ma nei decenni passati una sola voce si alzò e si espresse in proposito con tanta lucidità: la voce del Rebbe di Lubàvitch. Egli aveva enfatizzato l’importanza della terra d’Israele sia dal punto vista del valore che la tradizione e la storia le conferiscono, sia dal punto di vista strategico in material di sicurezza.

Guerra contro l’Assimilazione

Chabad- Lubàvitch è oggi l’indirizzo per gli ebrei che hanno smarrito la strada. A mio avviso, la più grande perdita per il popolo ebraico dopo la Shoà è il risultato dell’assimilazione. Dopo la guerra, eravamo 12 milioni e in base alle previsioni demografiche – anche con un incremento moderato – oggi avremmo dovuto contare 24 milioni di anime. Dove sono?

Sono sparite. Non a causa di perdite fisiche, non a causa, oggi, dei forni crematori, bensì a causa della perdita dell’identità ebraica e dei matrimoni misti. Il Rebbe aveva espresso la volontà che il movimento Chabad sia un polo di attrazione per tutti gli ebrei che hanno perso le radici.

Io penso che questa era la sua principale preoccupazione a pari passo con la sicurezza d’Israele. L’opera di Chabad-Lubàvitch in Israele è straordinaria. Sebbene qui l’assimilazione non costituisca una minaccia come nella dispora, Chabad interviene per avvicinare e riconnettere gli ebrei alla loro eredità, alle loro origini. La radici spirituali sono altrettanto essenziali alla perennità di Israele quanto al suo benessere fisico e materiale.

Il Messaggio del Rebbe

Il messaggio del Rebbe è vivo. I valori che ha incarnato – l’amore del prossimo, l’amore della Torà e l’amore della Terra di Israele – si sono dimostrate molto più vitali di quanto non si fosse presupposto. Viviamo un’epoca molto cinica, nella quale gli uomini credono che tutto dipenda dalla materialità. Gli uomini dimenticano a volte che l’elemento unificatore sono i valori eterni dell’ebraismo, il legame con questa terra, la nostra fede in D-o nonché le nostre tradizioni. Sono questi valori che ci hanno permesso di ritornare alla nostra terra, ed essi guideranno il nostro futuro. Ed è con questo caposaldo che il Rebbe ha sempre agito.

Traduzione di Myriam Bentolila. A cura di Sterna Canarutto