C'era una volta un Pascià che viveva nel lontano Oriente. Egli godeva della fiducia e dell'amicizia del Califfo, che lo aiutava ad amministrare il suo favoloso regno. Questo potente signore risiedeva a Beirut. In questa città, vivevano numerose comunità ebraiche. Per molti anni, quest’uomo autoritario non aveva cessato di opprimere gli Ebrei. Era sempre alla ricerca di nuovi mezzi per estorcere loro soldi. Più le sue ricchezze aumentavano e più la sua cupidigia cresceva.
Un giorno, quasi due settimane prima di Purim, chiamò i dirigenti della comunità ebraica, e disse loro:
“Io, grande e potente Pascià, per grazia di Allah e del Califfo di Baghdad, ho scoperto che discendo direttamente dal grande Haman, primo ministro del Re Assuero, che i vostri padri hanno portato al patibolo. Come voi sapete, il mio nobile avo aveva pagato al sovrano 10 mila kikar d'argento per comprare tutti gli Ebrei che vivevano nelle 127 province dell’impero di Assuero. Ma i vostri maghi Mordechai ed Ester, con i loro sortilegi, riuscirono a provocare la morte di Haman e dei suoi dieci figli. Di conseguenza, ho tutti i diritti per farvi impiccare, vendicando così il mio illustre avo. Tuttavia, sarò clemente e misericordioso: vi chiederò solamente di restituirmi i diecimila kikar d'argento che Haman ha perso per colpa dei vostri antenati. La cosa sarebbe giusta, poiché sono suo erede legittimo. Vi do dunque due settimane per raccogliere questa somma e versarla nel mio tesoro. Quanto, questo mese, la luna sarà piena, dovrete comparire davanti a me, in questo palazzo per pagare il vostro debito. Se, il giorno suddetto, mancate a questo obbligo sarò costretto a emettere contro di voi lo stesso decreto del mio antenato: cioè distruggerò, col ferro e col fuoco tutti gli Ebrei, uomini, donne e bambini che vivono nel paese. E sappiate, aggiunse con tono minaccioso, che se Haman fallì, io riuscirò. Adesso, potete andare”.
I capi ebrei lasciarono il Palazzo del crudele Pascià con l'animo addolorato.
“Dove troveremo una tale quantità d'argento per calmare questo capo intransigente? Tutti i tesori dell'India non basterebbero. Non ci rimane che una soluzione: raccoglierci in preghiera nelle nostre sinagoghe, come fecero i nostri antenati ai tempi di Mordechai ed Ester”.
E cosi fecero. Gli Ebrei si raccolsero nelle loro sinagoghe e si misero a pregare, a digiunare, implorando l’Idd-o Onnipotente di salvarli dalle mani del perfido Pascià.
Lontano da dove si svolgevano questi avvenimenti, viveva nella terra santa di Safed un sant'uomo Rav Itzhak. Grazie alla sua santità, egli sapeva tutto ciò che accadeva nel mondo, e non c'erano segreti per lui. Cosi, sapeva tutto della preoccupazione e delle sofferenze dei suoi fratelli, ovunque essi si trovassero. Era al corrente della terribile disgrazia che minacciava la Comunità ebraica di Beirut. Le voci dei suoi fratelli che supplicavano Idd-o giunsero a lui, e si mise anch'egli a pregare con fervore. Venne a sapere che le invocazioni dei suoi fratelli sarebbero state gradite, e che Idd-o avrebbe salvato gli Ebrei. Mandò allora una lettera d'incoraggiamento ai suoi fratelli, a Beirut, in cui diceva che non dovevano più temere il crudele Pascià, ma avere invece fede nell'aiuto di D-o.
Il sant’uomo li invitava a non cercare neppure i denari richiesti: non era l'argento, aggiungeva la lettera di Rabbi Itzhak, che poteva trarli da questa tragedia, ma solo le preghiere e la loro fede.
Quando il santo messaggio arrivò, la comunità ebraica di Beirut si rallegrò e tutti ripresero coraggio. Eravamo nel mese di Adar, mese dell'allegria. Bisognava quindi incominciare i preparativi per celebrare la festa di Purim nella più grande gioia.
Era una notte buia, una notte da temporale.
La pioggia cadeva fitta e il vento urlava. La paura impediva d addormentarsi: solo il crudele Pascià avrebbe potuto dormire. Nel suo sontuoso e confortevole palazzo una piacevole idea cullava la sua sonnolenza: fra poco, dieci mila kikar d'argento sarebbero venuti ad aumentare il suo tesoro.
Però, in quella notte, il Pascià fece uno strano sogno. Si trovava nella piazza del mercato della città, e, di fronte a lui, era eretta una forca alta 50 cubiti. Poi, vide, impiccati, undici uomini dalla faccia pallida; dietro a loro, c'era un cappio scorsoio per una dodicesima vittima. Il Pascià, spaventato, si mise a tremare: Per chi sarà il dodicesimo cappio?, pensò con apprensione.
Ad un tratto, apparve un uomo vecchio, con la barba tutta d'argento. Assomigliava molto ad un angelo.
“Sciccco!” Gridò il vecchio al Pascià. “Non riconosci più il tuo avo Haman ed i suoi dieci figli impiccati. La dodicesima corda che tu vedi è vuota: ti è destinata, e presto la tua testa vi sarà appesa!”
“O, sant’uomo, abbi pietà di me! Ti prometto tutto ciò che vorrai. Ma te ne supplico, salvami la vita, pensa a mia moglie ed ai miei figli”
“Uomo perverso! Come osi invocare pietà quando non ce n'è neanche l'ombra nel tuo cuore crudele? Hai avuto un pensiero per le migliaia di uomini, di donne, di bambini ebrei del tuo paese, che hai minacciato di far morire?”
“Ti prometto, sant’uomo, che non torcerò neppure un capello ai miei sudditi ebrei. Te ne supplico, abbi pietà della mia anima così piena di peccati!”.
“Va bene, avrai la vita salva, ma solo ad un a condizione: firmerai e suggellerai un documento nel quale riconoscerai di aver ricevuto dieci mila kikar d'argento dalle mani degli Ebrei, in nome del Califfo di Baghdad”.
Tremando dalla paura, il Pascià scrisse la ricevuta su una pergamena, nei termini chiesti dal vecchio, la firmò e la suggellò. La tese al suo interlocutore, ma ad un tratto, un colpo di vento gliela strappò dalle mani, portandola lontano verso le nuvole. Ci fu un tuono fortissimo, e dei lampi. Il Pascià si destò di soprassalto.
Ritornando poco a poco alla realtà, egli si rese conto che il suo non era stato altro che un incubo. “Che stupido sogno”, disse con un sospiro di sollievo
La piccola pergamena continuava a volare tra le nuvole. Finì per arrivare a Safed, e atterrò nella casa di Rabbi Itzhak, penetrando dalla finestra. La pergamena si pose con un piccolo fruscio sul tavolo dove il sant'uomo con indosso il tallìt ed i tefillìn se ne stava seduto, studiando la Torah. Prese il documento, e lo lesse. Un sorriso di felicità illuminò il suo viso. Rabbi Itzhak l'avvolse in un pezzo di tela bianca e lo mandò, con uno dei suoi di discepoli, al capo della comunità ebraica di Beirut. Al piccolo pacco, aggiunse un messaggio per i suoi fratelli, chiedendo loro di tenere il segreto: non bisognava svelare a nessuno l'esistenza del prezioso documento fino alla scadenza fissata dal tiranno.
Arrivò il giorno fatidico di Purim. Una luna piena apparve nel cielo stellato. Il Pascià chiamò i capi ebrei:
“Avete i dieci mila kikar d'argento?” chiese. “Se no, sapete ciò che vi aspetta: voi ed i vostri fratelli morirete immediatamente”.
Il capo della delegazione mostrò allora la pergamena e disse:
“Che Sua Eccellenza legga ciò che scrisse con la propria mano”.
I1 Pascià guardò ed ad un tratto impallidì. Il suo corpo si mise a tremare, perché riconosceva il documento scritto nel suo sogno, e si ricordava anche della forca alta 50 cubiti, e della dodicesima corda destinatagli.
“Capisco adesso che il D-o d’Israele non dorme,” disse il Pascià, con una voce velata.
“Certo, avete tutti salva la vita. Vi vorrei chiedere solo una cosa: pregate il vostro D-o Onnipotente di risparmiarmi la vita. Finchè vivrò, prometto di non farvi più del male.”
Fu un Purim molto bello per gli ebrei di Beirut. Non solo avevano, grazie all’aiuto di D-o, la vita salva, ma da quel giorno il Pascià fu buono con loro. Sapeva che la sua vita dipendeva dal trattamento che egli avrebbe riservato agli ebrei. Ah, fu proprio un bellissimo Purim!
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