Rabbi Moshè ben Maimon iniziò a lavorare sul Mishnè Torà all'età di 32 anni e gli occorsero dieci anni di sforzo intenso ed ininterrotto per portare a compimento quest'opera monumentale. Codificare il vasto materiale del Talmud anche in dieci anni fu un'impresa formidabile. Si narra che quando Rambam terminò il suo libro gli apparvero in sogno suo padre, Rabbino Maimon ed un'altra persona. “È Moshè Rabbeinu” gli disse il padre. Rambam venne preso da timore; “Sono venuto a vedere ìl libro che hai scritto” disse Moshè Rabbeinu. Esaminò il codice ed esclamò “Yeyasher Kochahà, è un buon lavoro.”
Mentre il Commentario sulla Mishnà, il Sefer Hamitzvòt e tutte le altre sue opere importanti e trattati minori furono scritti in arabo, il Rambam scrisse il Mishnè Torà, il suo capolavoro, in ebraico; questo perché esso non era designato solo per gli ebrei di lingua araba, piuttosto era pensato per sopravvivere oltre periodi passeggeri come quello della permanenza di comunità ebraiche in terra d'Islam. Fu dunque composto per ogni tempo, anche per l'era messianica, e per ogni luogo. E soltanto la Lingua Santa poteva essere il veicolo per un simile contenuto. Quando gli venne chiesto di tradurre quest'opera in arabo, espresse rammarico di non aver scritto anche gli altri suoi lavori in ebraico; avrebbe preferito, disse, che i suoi scritti venissero tradotti dall'ebraico in arabo piuttosto che il contrario.
Il Mishnè Torà è composto in un ebraico chiaro ed elegante; gli studiosi di generazioni posteriori parlarono, riferendosi al Rambam, di linguaggio d'oro, lashòn hazahàv, caratterizzato da una bella sintassi e soprattutto da uno stile e da una forma chiari e precisi, dove nulla è ambiguo o superfluo: “Se avessi potuto scrivere la Torà Orale in un capitolo solo, non ne avrei certo scritti due!” è una frase del Rambam. La sua scelta delle parole è così precisa che molte leggi, non menzionate esplicitamente nel suo codice, furono dedotte unicamente dall'espressione usata.
A differenza dei primi codificatori che basarono il loro linguaggio, l'organizzazione e la struttura delle leggi, sul Talmud, Rabbi Moshè ben Maimon prese come modello la Mishnà.
I 14 libri del Mishnè Torà
La Mishnà è divisa in Sedarìm, Ordini, ogni ordine in trattati, ogni trattato in capitoli ed infine ogni capitolo in sezioni chiamate Mishnaiòt. Similmente il Rambam, divise il Mishnè Torà in quattordici libri; ogni libro in sezioni classificate per temi; ogni sezioni in capitoli ed ogni capitolo in leggi singole. Questa è senza dubbio un'organizzazione più razionale e metodica, che facilita la ricerca dello specifico argomento legale che interessa.
Benché Rabbi Moshè avesse chiamato la sua opera Mishnè Torà, questa venne anche ad essere conosciuta con il nome di Yad Hachazakà, la Mano Forte, per il fatto che essa è divisa in 14 libri che corrispondono al valore numerico di Yad (Yud = 10, Dalet = 4).
L'originalità del Mishnè Torà, o Yad Hachazakà, non è solo nel suo ordinamento sistematico, nella presentazione chiara o nella bellezza dello stile: è anche nella vastità del suo contenuto. Il Mishnè Torà è il solo codice che contenga tutta la legislazione biblica, talmudica e gaonica, comprese le leggi che non sono più applicabili a causa della distruzione del Bet Hamikdàsh. Il Codice del Rif (Rabbi Elfassí) così come i codici degli altri codificatori che precedettero o seguirono il Rambam, incluso il Shulchan Aruh, tralasciano le leggi che non possono essere osservate nel tempo dell'esilio. Rabbi Moshè ben Maimon tuttavia incluse nella sua opera l'intera estensione della Legge ebraica, Scritta ed Orale, anche quella che non può venire rispettata fino alla venuta del Mashiach. Così il Yad Hachazakà è utilizzabile sia per la vita ebraica dell'esilio sia per quando il popolo ebraico potrà nuovamente portare sacrifici al Santo Tempio e il Sanhedrìn sarà ristabilito. Questo è uno dei motivi principali dell'importanza del Mishnè Torà.
L'opposizione al Mishnè Torà
Il Mishnè Torà conobbe fin dalla sua prima comparsa un successo immediato. Fu acclamato come la più grande opera di studio sulla Torà dopo il periodo talmudico. Contemporaneamente questo lavoro monumentale suscitò una forte opposizione da parte di qualche individuo. Alcuni critici si opposero al Codice col pretesto che esso metteva in pericolo lo studio del Talmud. Temevano che questa codificazione dell'intera legge Orale e Scritta avrebbe reso meno necessario se non del tutto superfluo lo studio del Talmud. Per convalidare i loro timori citavano le parole dello stesso Rambam dalla introduzione al Mishnè Torà: “Di conseguenza ho chiamato questo libro Mishnè Torà perché si leggerà prima la Legge Scritta, poi questo codice, e si saprà allora l'intera Legge Orale senza bisogno di far ricorso ad alcun altro libro”. Egli fa la stessa affermazione nell'Introduzione al Sefer Hamitzvòt. Si potrebbe commettere l'errore di pensare, temevano i suoi critici, che il solo studio del Codice unitamente alle Scritture darebbe all'ebreo una sufficiente conoscenza della Legge.
Altri criticavano il fatto che Rambam aveva trascurato di citare le fonti delle sue decisioni halachiche: il Codice enuncia semplicemente la legge senza riferimenti alle fonti. Un'altra accusa contro Rabbi Moshè ben Maimon era che egli non fornisce le ragioni per le leggi enunciate: non conoscendo nè il motivo per l'halachà né la sua provenienza, un ebreo, secondo loro, potrebbe facilmente capirla o applicarla male, in particolar modo ed erroneamente in una situazione apparentemente simile. Alcuni Rabbini vietarono di dedurre dal codice una decisione legale senza essere a conoscenza delle fonti della legge stessa.
In ogni modo tutta questa opposizione non riuscì ad intaccare il rispetto per il Mishnè Torà, nè l'ammirazione universale che si aveva per esso. Le sue lacune, come la mancanza di riferimenti alle fonti, o l'assenza delle ragioni per le halachòt, furono colmate da vari commentatori del Codice, primo tra i quali Rabbi Josef Karo, il Kessef Mishnè.
Il timore che il codice allontanasse gli studiosi dallo studio del Talmud si rivelò retrospettivamente del tutto infondato. Non solo esso non indebolì o scoraggiò lo studio del Talmud; anzi, lo rafforzò perché per comprendere correttamente il Codice, per svelare la profondità nascosta dietro ogni frase, bisogna immergersi nel mare del Talmud.
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