Rabbi Moshè ben Maimon non fu soltanto la principale personalità talmudica ed halachica del suo tempo: Fu anche il principale esponente della filosofia religiosa ebraica. Infatti, dopo aver terminato il suo magnum opus, il Mishnè Torà, Rambam intraprese l'esposizione delle vedute filosofiche e religiose dell'ebraismo.

A questo scopo compose il Morè Nevuchìm, Guida dei Perplessi, in cui tratta a fondo, da un punto di vista filosofico, la dottrina e la pratica religiosa ebraica.

Il Morè Nevuchim

In quest'opera il Rambam risponde alle eterne domande che da sempre la mente umana si pone: la natura e l'esistenza di D-o, la finalità della Creazione, D-o e la sua relazione con l'universo, il significato della vita. e del destino umano, l'origine e l'essenza del male, il libero arbitrio, la Provvidenza e l'Onniscienza Divina, la Giustizia Divina, la Rivelazione, il motivo dei precetti della Torà, la giusta strada per servire D-o, ecc....

Nei paesi sotto l'influsso culturale islamico, come l'Egitto dove abitava Rambam, nei quali dominava presso l'intellighentsia del tempo la corrente filosofica greca, la Guida acquistò una certa popolarità negli ambienti ebraici. Con il crescente interesse verso il lavoro dell'antico filosofo greco Aristotele, soprattutto nella veste e formulazione araba, sorse un apparente conflitto tra le vedute della filosofia secolare ed alcune affermazioni e idee espresse nella letteratura della Torà e del Talmud.

Per esempio: come conciliare l'incorporeità e la spiritualità assoluta di D-o con le descrizioni antropomorfiche, umane della Bibbia?

Gli ebrei di spirito ed orientazione filosofiche, pur restando fedeli ai principi ed all'osservanza della Torà, si trovarono confusi e perplessi dall'apparente contraddizione tra fede e razionalità. Rambam, nel suo costante sforzo di vegliare sul benessere spirituale dei suoi correligionari, si accorse del pericolo inerente ad una tale situazione. Questo pericolo era particolarmente forte tra gli ebrei meno educati nel pensiero ebraico religioso: in loro infatti la filosofia aristotelica minacciava di causare grandi danni ed essi, a causa delle apparenti inconsistenze tra ragione e fede, iniziavano a vacillare nel loro impegno religioso.

Rabbi Moshè ben Maimon, profondo conoscitore delle filosofie antiche e contemporanee, si sentì quindi in dovere di presentare ed esporre sistematicamente i principi religiosi e filosofici fondamentali dell'ebraismo, per rispondere alle domande che inquietavano gli intellettuali filosoficamente orientati, e per risolvere i dubbi dei perplessi, affinché essi potessero continuare ad aderire con serenità all'ortodossia ebraica.

“La mia intenzione” scrisse il Rambam nell'introduzione al Moré Nevuchìm, “è di esporre i passaggi biblici messi in causa e di chiarire i loro sensi nascosti ed autentici che, una volta ben compresi, serviranno a rimuovere qualunque dubbio concernente le Scritture; ed in effetti spariranno molte difficoltà quando ciò che sto per spiegare verrà preso in considerazione”.

Il Moré Nevuchìm fu originariamente scritto in arabo con caratteri ebraici ed intitolato Dalalat al-Khairin.

Appena ebbe terminato quest'opera, l'autore venne sommerso da lettere provenienti da vari centri di cultura ebraica che richiedevano copie del suo ultimo lavoro ed una traduzione in ebraico a beneficio di chi non conosceva la lingua dell'originale.

Dieci anni dopo la sua comparsa furono scritte due tradizioni in ebraico, l'una da Rabbi Shmuel ibn Tíbbon e l'altra da Rabbi Yehuda al Charizi. La versione ufficialmente accettata fu quella di ibn Tibbon per la sua accurata resa di ogni sfumatura del pensiero originale dell'autore. Ibn Tibbon consultò il Rambam per corrispondenza riguardo al significato o alla formulazione dì certi passaggi difficili. Il Rambam stesso approvò questa traduzione, dichiarando ibn Tibbon la persona pìù adatta a portare felicemente a termine questo compito. La traduzione di Al Charizi, benché superiore per la bellezza della lingua e per l'eleganza dello stile, mostrava notevoli lacune nella precisione ed esattezza del senso. Rabbi Avraham, figlio di Rambam, espresse il disappunto per la traduzione di al Charizi a causa della sua imprecisione1




.

L'influenza del Morè Nevuchìm

L'interesse verso quest'opera filosofica non fu circoscritto ai soli studiosi ebrei, ma si estese anche ai pensatori del mondo non ebraico, tanto arabi quanto gentili, che la studiarono assiduamente. Perfino durante la vita del Rambam questo libro venne tradotto in arabo ed utilizzato dagli studiosi maomettani. Qualche tempo dopo comparve in Europa una versione latina, seguita da versioni spagnole ed italiane. Verso la metà del XIX secolo l'interesse dei filosofi non ebrei fu riacceso dalla nuova traduzione in francese di Salomon Munk. In seguito venne tradotto in quasi tutte le lingue europee. La Guida dei Perplessi esercitò un grande fascino sui filosofi della Scolastica del Medioevo e fu largamente citata da molti di loro, tra cui Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Duns Scotus e Roger Bacon. Pertanto Maimonide occupa un posto di rilievo nell'ambito della filosofia teologica generale. Così il Morè Nevuhim con i suoi complessi argomenti metafisici è divenuto il lavoro di filosofia classica più commentato di tutti i tempi. Più di trenta commentari in ebraico furono scritti su di esso da autori conosciuti, e molti altri vennero composti da autori sconosciuti. È interessante notare che alcuni di questi commentari comprendono spiegazioni attribuite a fonti Kabbalistiche. Siamo portati allora a credere che sotto l'aspetto filosofico del Morè Nevuchìm si nascondano idee kabbalistiche, esoteriche e che uno studio puramente razionale e filosofico dell'opera non è in grado di sondare le sue profondità. Questo è in accordo col parere di chi ritiene che Rabbi Moshè ben Maimon sia stato non solo un talmudista e filosofo, ma anche un Kabbalista.

Durante gli scorsi due secoli, la letteratura Chabad ha rivelato che il Rambam era anche un mistico profondamente versato nello studio e tradizione della kabbalà: di fatto la fonte di alcune leggi del suo Codice, il Mishné Torà, si trova solo nella letteratura kabbalistica. Rambam gettò con quest'opera monumentale le fondamenta di ogni susseguente ricerca filosofica ebraica, nota col nome di Chakirà, e stimolò per secoli la traduzione di scritti ed opere filosofiche nel mondo ebraico. Ciascuno degli studioso, che accettasse o no le sue conclusioni, che commentasse ed elaborasse le sue idee o le sottoponesse a critiche, fu largamente influenzato dal suo approccio e dalle sue vedute. I suoi scritti servirono come una base su cui essi continuarono a costruire. Il Morè Nevuchìm da quando è comparso fino ai nostri giorni, non ha smesso di dominare la Chakirà e di esercitare una profonda e durevole influenza sul pensiero ebraico.

Man mano che la fama del Morè Nevuchìm si espandeva, il riconoscimento entusiastico per l'opera fu contrastato da una veemente opposizione da parte degli antagonisti dei metodi e dei principi filosofici. Questa lotta accanita durò vari decenni dopo la morte del Rambam e talvolta purtroppo prese la forma di proteste astiose e perfino di ostilità personale contro le intenzioni ed il carattere del santo Rambam.