"Mendel caro, devi andare via da qui", gli aveva detto la sua mamma, abbracciandolo. "Può darsi che i nazisti veramente uccidano gli Ebrei come dice la radio sovietica".

Nella piccola cittadina in Bielorussia c'erano stati vivaci scambi d'opinioni.

"Tutte bugie, come tutte quelle che dice la radio, vogliono soltanto che andiamo a combattere per loro, ecco", diceva qualcuno.

" E se invece non si trattasse di bugie? E se i nazisti veramente facessero ciò che i notiziari dicono? Andremmo tutti di mezzo se restassimo qui."

"Ma va’! Nell'ultima guerra, fino al 1917, i Tedeschi erano stati amichevoli verso gli Ebrei, molti di loro capivano perfino lo Yiddish. Inoltre, tanti Ebrei combattevano nelle armate tedesche , fianco a fianco con loro . Non è altro che propaganda, tutte bugie, non è vero che uccidono gli Ebrei."

Molti, convinti di questi ragionamenti, decidevano di rimanere. Altri invece consideravano diverse possibilità.

I genitori di Mendele desideravano fuggire, ma suo padre era gravemente ammalato e non poteva essere trasportato . La mamma di Mendele voleva rimanere con suo marito. A qualunque costo, però, Mendele, loro figlio, doveva salvarsi.

Quando seppero che Leib, il loro vicino di casa, progettava di fuggire quella notte lo pregarono di prendere con sé Mendele e portarlo dai suoi nonni a Mosca.

Con le lacrime agli occhi i genitori salutarono Mendele. Sua madre gli avvolse lo scialle sotto il cappotto e gli mise in mano un sacchetto con del mangiare. Con la pena nel cuore Mendele si chiedeva se avrebbe mai più rivisto i suoi genitori.

"Mendele", gli disse il padre amorevolmente, "quando il Baal Shem Tov era piccolo, suo padre gli diede una benedizione. 'Non temere alcuno all'infuori di D-o ed ama ogni Ebreo con tutto il tuo cuore."'

A dieci anni Mendele non aveva mai immaginato una città grande come Mosca: né campi, né boschi, né animali nelle stalle, solo chilometri e chilometri di case, di edifici monumentali di mattoni e di pietra, ampie strade piene di automezzi e di gente - tutto ciò lo entusiasmava.

Ma la sua meraviglia non durò a lungo. Quando Leib lo condusse all'indirizzo dei suoi nonni, scoprirono che non abitavano in quella casa da più di un anno ed i vicini sembravano impauriti quando parlavano di loro.

Ci volle un po' per sapere tutta la storia. II nonno di Mendele, Reb Berel, era stato un Melamed, un maestro di Torà per ragazzi. Essendo la sua attività illegale, andava nelle case dei suoi studenti di nascosto, per non destare sospetti.

Un giorno venne a sapere che la polizia segreta lo cercava perché aveva scoperto la sua " attività proibita". A tarda notte gli agenti del KGB bussarono minacciosamente alla sua porta. Erano venuti ad arrestare questo pericoloso "controrivoluzionario" che lavorava contro il governo. Quando nessuno rispose, sfondarono la porta, ma la casa era vuota...

Reb Berel era fuggito. Dove poteva ora andare Mendele?

La radio annunciava che i nazisti avanzavano verso Mosca! Fortunatamente Leib non lo abbandonò.

Dopo lunghe e discrete indagini vennero a sapere che molti Ebrei erano fuggiti in direzione dell'Asia Centrale, verso Samarcand, Tashkent ed altre città, quindi decisero anch'essi di andare là.

"Questa è l'unica possibilità di trovare i tuoi nonni, Mendele", spiegò Leib quando salirono sul treno per Tashkent.

II lungo viaggio durò una settimana. II treno era pieno zeppo di gente dall'aspetto sconosciuto, tra le quali Kazakhi, Usbeki, Tadgicchi ed altri popoli tartarici, che avevano gli zigomi sporgenti e parlavano linguaggi incomprensibili.

C'erano anche numerosi ufficiali governativi, Russi seri che difficilmente rivolgevano la parola ad altri, ma il loro rigoroso aspetto faceva capire che esigevano rispetto.

Tra i passeggeri, Mendele ne notò alcuni che gli sembravano Ebrei e si chiedeva se scappassero per salvarsi e se provenissero dalla Bielorussia, come lui e Leib.

Notò un uomo con uno scialle avvolto intorno alla faccia, come se avesse un gran mal di denti, e cap i che era un Chassid che nascondeva la sua barba. "Leib, penso che quell'uomo con lo scialle possa essere un...?" "Stai zitto", rispose Leib e Mendele comprese che doveva essere prudente, specialmente in presenza di estranei.

Tashkent era l'opposto di Mosca. C'erano alcuni bellissimi edifici asiatici antichi, ma il grosso della città era composto da baracche di legno e di argilla, abitate da Usbeki primitivi ed ostili.

Quando il treno si fermò in stazione, Mendele vide tanta gente vestita nei costumi tradizionali e le donne col velo che copriva la faccia fino agli occhi.

Poi notò due Ebrei chassidici sul marciapiede della stazione che non facevano alcun tentativo di nascondere le loro lunghe barbe. Benché Mendele non avesse mai visto suo nonno, uno dei due uomini assomigliava molto al grande ritratto che c'era a casa sua.

"No, non può essere possibile" pensò Mendele.

"Shalom aleichem!" dissero, rivolgendosi al ragazzo ed al suo amico, "possiamo esservi di aiuto? Da dove venite? Possiamo darvi una mano a sistemarvi in questo posto?"

Leib ringraziò. "A dire il vero, stiamo cercando qualcuno. Non sappiamo nemmeno dove iniziare, si chiama Reb Berel Ziskind, da Mosca, lo conoscete?".

Mendele notò che l'uomo più anziano era impallidito. "Perché ce lo chiedete?"

"Questo è suo nipote. L'ho condotto fin qua, da casa sua."

"Mendele" esclamò l'anziano Ebreo, piangendo ed abbracciando suo nipote. "Ho saputo che tutta la cittadina è stata rasa al suolo dai nazisti, e che non ci sono stati sopravvissuti. Come potevo immaginare che tu fossi ancora in vita?"

Per la prima volta in molti mesi Mendele faceva parte di qualche cosa. La rozza baracca nella quale i suoi nonni erano andati ad abitare non era una casa di lusso, ma era una dimora. Sua nonna riversava tutto il suo amore su di lui essendo l'unico nipote sopravvissuto e suo nonno si dedicava a lui mattina e sera, insegnandogli nuovi ed eccitanti argomenti della Torà - Mishnà e Ghemarà (il Talmud) - che egli non aveva mai prima d'ora avuto l'occasione di studiare.

Finalmente Mendele studiava assieme ad altri ragazzi Ebrei, mentre nella sua città natale, era stato l'unico a ricevere un po’ di educazione ebraica. I suoi genitori avevano rischiato la vita per insegnargli a leggere le preghiere quotidiane nel Siddur, e poi il Chumash (i 5 Libri della Torà) con l'indispensabile commento di Rashi. Ma poi suo padre si era ammalato e lo studio si era interrotto.

A Tashkent Reb Berel si era dato da fare per riunire dei ragazzi Ebrei per studiare con loro la Torà.

Un giorno Reb Berel portò a casa un piccolo ragazzo di nome Yankel, i cui occhi esprimevano una profonda tristezza. "Yankel resterà con noi, sarà come un fratello per te, Mendele. "

Yankel era orfano come Mendele, suo padre era stato arrestato dalla KGB perché era un Ebreo osservante e con la madre era scappato a Tashkent. Un giorno la mamma si ammalò di tifo e Yankel rimase solo al mondo.

Mendele sapeva cosa significasse essere soli e curò Yankel come se fosse suo fratello e Yankel da parte sua ricambiò Mendele con la sua amicizia.

Si stava avvicinando Pesach. Ogni giorno che passava rendeva Reb Berel più preoccupato. La scarsità di cibo si aggravava e i prezzi erano alle stelle. La farina era diventata cosl cara che ben pochi potevano permettersi di comprarla. Dove avrebbero potuto trovare le Matzot, almeno per il Seder? Per gli altri giorni di Pesach sarebbero stati felici di mangiare patate, ma per il Seder è obbligatorio mangiare Matzà: è una mitzvá della Torà.

Alcuni giorni prima di Pesach Reb Berel tornò a casa raggiante di gioia. "Cosa è successo, Berel?" chiese sua moglie che non lo aveva visto cosi felice da molte settimane.

Reb Berel spiegò tutto eccitato che un Chassid era arrivato da una altra città con alcuni chilogrammi di farina preparata specialmente per Pesach, farina shmurà, per cuocere le Matzot. Alcuni Chassidim avevano già fatto progetti per impiantare un piccolo forno per cuocervi le Matzot fatte a mano, cosi avrebbero avuto abbastanza Matzot per parecchie famiglie per poter celebrare entrambe le sere del Seder.

La nonna di Mendele sorprese tutti: "Guardate cosa ho per voi!" disse con gioia mostrando una bottiglia. "Vino! Kasher per Pesach. Spero che basti per i quattro bicchieri".

Reb Berel rimase senza parola, " Ma... ma... dove sei riuscita a procurartelo?"

"L'ho tenuto nascosto fino dall'anno scorso", disse orgogliosamente, "sapevo che sarebbe stato impossibile trovarne dell'altro ".

"Tutto ciò che ci serve adesso è un po'di erbe amare per il Maror" disse Reb Berel, "non so se riusciremo a trovarne, ma proviamo comunque a cercarne un po'. Venite", disse a Mendele e Yankel, " andiamo al mercato degli Uzbeki per vedere cosa hanno".

Probabilmente non avrebbero trovato nulla, ma era importante che i ragazzi sapessero cosa fosse necessario al Seder in tempi normali. "Quando chiederanno le 'quattro domande' all'inizio del Seder, almeno sapranno che dovrebbe esserci anche il Maror sulla tavola", pensò Reb Berel.

Lentamente attraversarono l'affollato bazar, sperando di trovare uno dei cinque vegetali che possono essere usati come Maror, ma non furono fortunati. Avrebbero dovuto accontentarsi delle amare sofferenze che il popolo ebraico, loro stessi compresi, stava allora subendo.

Improvvisamente a Reb Berel si gelò il sangue nelle vene quando notò un gigantesco commissario russo che li stava osservando.

"Presto ragazzi, dobbiamo correre a casa!" disse in fretta, col cuore che gli batteva forte. Afferrando le mani dei ragazzi si mise a correre tra la folla. Non era stato cosi nervoso da quando era scappato da Mosca.

Guardando indietro, Reb Berel vide che l'ufficiale li seguiva. Tenendo stretti i ragazzi Reb Berel corse per le strade, ma la folla faceva passare più facilmente l'autorevole commissario che non un vecchio ebreo.

Infine, fu proprio la folla che li salvò. Prima che l'ufficiale russo li raggiungesse, sparirono in una stradina laterale, poi in un'altra ed un'altra ancora, finché fecero perdere le loro tracce. Quando furono sicuri che nessuno li seguiva ritornarono prudentemente a casa.

Finalmente era arrivata la sera del primo Seder. In onore di Pesach la piccola baracca era stata resa più pulita di quanto il suo proprietario Uzbeko avesse potuto immaginare. Ogni fessura era stata scrupolosamente pulita e controllata che non contenesse Chametz (cibi lievitati). La vecchia tovaglia bianca che copriva il piccolo tavolo era sfavillante alla luce delle candele di Yom Tov (festive), e le tre Matzot fatte a mano erano posate sul tavolo come se si trattassero di gioielli preziosi.

Reb Berel era felice quando recitò il Kiddush sul vino. Poi lavarono le mani, immersero pezzetti di patate nell'acqua salata e li mangiarono come Karpas. Reb Berel passò a rompere la Matzà di mezzo, nascondendo il pezzo più grande per Afikoman.

Improvvisamente, la quiete fu rotta da un bussare alla porta. Tutti si impaurirono.

Silenziosamente Reb Berel guardò sua moglie, poi i ragazzi le cui facce erano terrorizzate. Tentando di rassicurarli, esclamò: "Un ospite arrivato giusto in tempo" e poi, con un pallido sorriso, andò ad aprire la porta.

Ma non appena la porta si aprì, il suo sorriso svanì. Inquadrato nella porta c'era lo stesso ufficiale russo che li aveva inseguiti al mercato!

Per alcuni minuti, rimase silenzioso osservando la scena che gli si presentava, poi ruppe il silenzio: "Voi siete Ebrei", disse in russo, "Vedo che state celebrando il Pesach".

Tutti lo guardarono con gran paura. "Anch'io sono Ebreo, chiedo perdono per avere disturbato la vostra festività, ma non ho partecipato ad un Seder da più di trenta anni, da quando avevo circa dieci anni, in casa dei miei nonni. Vi ho visti al mercato qualche giorno fa e sono sicuro che anche voi mi avete notato. In qualche modo lei mi ricordò il mio nonno, con la sua lunga barba bianca e desideravo parlarle. Non pensavo che ci fossero ancora Ebrei come voi qui nel paese, purtroppo, vi ho persi nella folla. Da allora non ho più potuto dormire la notte, mio nonno mi appariva in sogno, e mi diceva: 'Velvel, non dimenticare che sei Ebreo, non dimenticare il Pesach che celebravi a casa mia'. Per questo sono qui", terminò con le lacrime che gli scorrevano sulle guance.

Anche Reb Berel era tutto eccitato, andò incontro al commissario e lo abbracciò.

"Velvel! Sarai il mio terzo nipote questa sera alla tavola. Entra, siedi, sei arrivato al momento giusto."

L'ufficiale prese posto vicino ai ragazzi e Reb Berel intonò le parole eterne della Haggadà: "Qualunque povero venga e mangi; chiunque si trova in difficoltà venga e faccia il Pesach con noi! Quest'anno siamo qui; l'anno prossimo nella Terra d’Israele. Quest'anno siamo schiavi; l'anno prossimo saremo uomini liberi..."

Erano li assieme, Reb Berel ed i suoi talmidim (studenti), a celebrare il Seder in un paese, lontano, pieni di emozioni, finché arrivarono al punto di proclamare " Leshanà habaà b'Yerushalaim". "L'anno prossimo a Gerusalemme! "

Tratto da: Il Moshiach Times