Qual è il significato di questi giorni che intercorrono tra la festa di Pessach e quella di Shavu’ot, durante i quali teniamo scrupolosamente il Conteggio dello ‘Omer?

Pessach, come è noto, commemora e fa rivivere la liberazione dall’Egitto; Shavu’ot celebra il Matan Torà, il dono della Torà, al monte Sinai. I giorni che intercorrono tra queste due festività sono quarantanove e corrispondono alle sette settimane durante le quali gli ebrei, lasciato l’Egitto, arrivarono al Sinai e si prepararono a ricevere la Torà. In questo periodo contiamo i giorni, proprio come fece il popolo in quel tempo, in attesa ansiosa, segnando ogni giorno che lo separava dalla promulgazione della Torà (Shvilé ha-Leqet, ‘Arugà 8, Seder ‘Atzeret 236; R’an, fine di Pessachim).

Perché gli ebrei dovevano prepararsi a ricevere la Torà?

Prima di partire dall’Egitto, il popolo ebraico era prostrato sotto il giogo della più umiliante schiavitù, essendo sottomessi in un paese che la Torà descrive come l’abominio sulla terra. Chiunque conosca le condizioni di vita proprie all’antico Egitto, saprà bene come fossero depravati in quel tempo i suoi abitanti. In un certo grado, quella depravazione aveva intaccato la natura degli ebrei asserviti. Tuttavia in soli cinquanta giorni essi poterono raggiungere le più alte vette spirituali. Erano divenuti ormai degni della Rivelazione Divina sul monte Sinai.

La libertà spirituale apportata agli ebrei dalla Torà (che illuminò pure, in certa, misura, il resto del mondo) era connessa alla libertà materiale, cioè la libertà dai problemi legati alla materialità quotidiana.

La Torà ci dice che i figli di Israele avevano, come cibo, la manna che cadeva ogni giorno dal cielo, avevano la sorgente di Miriam la Profetessa che scorreva sul loro cammino e li provvedeva d’acqua, la Colonna di Fuoco li precedeva ed uccideva i serpenti velenosi e gli scorpioni del deserto, mentre la Colonna di Nubi li circondava e manteneva pulite e fresche le vesti che indossavano. In breve: si è provveduto, in modo miracoloso, a tutti i loro bisogni materiali.

Perché abbiamo bisogno di anni di studio, di preghiera e di autodisciplina per raggiungere una certa elevazione spirituale e per divenire migliori, mentre i nostri Padri all’epoca dell’uscita dall’Egitto riuscirono a fare molto di più in soli quarantanove giorni?

Ciò che la Torà ci narra non deve essere letto come un semplice passatempo, ma fa parte dell’istruzione generale e degli insegnamenti che la Torà ci trasmette. Nelle sue pagine troviamo la risposta a situazioni che si potrebbero creare in determinate circostanze, in un dato periodo del tempo futuro. Sarebbe possibile, infatti, che l’ebreo contemporaneo compia un’ascesa così rapida e grande come quella dall’Egitto al Sinai, ma le condizioni dovrebbero essere simili a quelle del periodo in cui i figli di Israele lasciarono il luogo che li vide schiavi. Essi partirono con assoluta fede nel Signore e si inoltrarono nel deserto seguendo il richiamo Divino. Essi lasciarono dietro di sé, in Egitto, la pentola della carne e la ricchezza del suolo fertile. Essi non presero con sé nemmeno provviste, ma ebbero completa fiducia in D-o. Così, tramite la fede assoluta nel Creatore Uno e Vero, seguirono la Colonna di Fuoco di (giorno e di) notte. Se questa atmosfera si potesse ricreare, almeno in parte, sarebbe certo possibile che nel nostro spirito avvenisse un cambiamento radicale. E non occorrerebbero anni, ma basterebbero pochi giorni.

(Da un lettera del Rebbe di Lubavitch del 15 iyàr 5724; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal)