La parashà parla del precetto della Sefiràt Haomer , il conteggio dell'offerta d'orzo, che consiste nel contare i 49 giorni che intercorrono dalla seconda sera di Pesach fino a Shavuòt. Tra questa mitzvà e la Tefillà (preghiera) esiste un legame di non trascurabile importanza. Infatti, il conteggio è inserito nel Siddur (libro di preghiere) pur non recando apparentemente gli aspetti caratteristici delle preghiere, che principalmente sono espressioni di lode o di richieste a D-o. La Sefiràt Haomer non è né una lode né una richiesta.

La Tefillà viene chiamata “il servizio del cuore”, come afferma Maimonide: “L’obbligo di questa mitzvà è di implorare D-o e lodarlo, e in seguito esprimere le proprie richieste”.

Le Mitzvòt si dividono in due categorie:

1- Mitzvòt che si applicano tramite l'azione (ad esempio i tefillin);

2- Mitzvòt che si applicano tramite la parola (ad esempio la narrazione dell’esodo dall'Egitto, la lettura della Meghillat Ester ecc.).

In entrambi i casi, i sentimenti che si coinvolgono nell'azione o nelle parole pronunciate non sono parte integrante della mitzvà stessa, a differenza della Tefillà per la quale la meditazione su ciò che si pronuncia è essenziale allo svolgimento della mitzvà in quanto senza i sentimenti e la concentrazione non è possibile considerare la Tefillà completa. Questo principio vale anche per la Sefiràt Haomer: se si pronuncia il numero del conteggio in ebraico ignorandone il significato, non si è svincolati dall'obbligo e, pertanto, si deve ricontare nella propria lingua.

Un altro elemento in comune tra la Sefiràt Haomer e la Tefillà è il fatto che la persona coinvolta nel loro adempimento si eleva spiritualmente e si prepara così a ricevere la Torà. La Sefiràt Haomer ci conduce al giorno in cui D-o ha donato la Torà al Monte Sinai e la Tefillà che noi rivolgiamo al Noten HaTorà (colui che ci ha dato la Torà) dovrebbe preparare l'individuo a studiare Torà e a rafforzare il suo rapporto con essa.