Ho un dono prezioso tra i miei tesori - disse D-o a Mosè; il suo nome è Shabbat. Va' e dì a Israele che desidero donarglielo.
(Shabbat, 10 b)
Significato dello Shabbat
I nostri saggi chiamano lo Shabbat yesod haEmunà, la base della nostra fede. Non è un'esagerazione. Infatti, le idee più elevate con cui l'Ebraismo ha nobilitato la mente umana, i più alti ideali per i quali il nostro popolo ha lottato per migliaia di anni, sacrificando per essi innumerevoli vite di suoi figli, ruotano tutti intorno allo Shabbat.
Qual è il segreto dello Shabbat nel cuore degli Ebrei? Il solo sentimento non basterebbe a spiegarlo. Che se ne abbia o no coscienza, è forse la traduzione in realtà dell'antica parola: “Fra Me ed i figli d'Israele è un segno eterno”. (Esodo 31:17).
Infatti lo Shabbat esprime il desiderio più recondito dell'animo ebraico e ogni suo aspetto riflette un po' dello splendore di D-o.
Dignità del lavoro
“Lavorerai per sei giorni e farai ogni tua opera”. Il fondamento dello Shabbat è, pertanto, opera faticosa, nobilitata dal Comandamento di D-o. Il lavoro non degrada: esso è un diritto naturale di ogni uomo. Quanti secoli, anzi millenni, ci son voluti perché il mondo afferrasse questa fondamentale verità! Invero si è percorsa molta strada dalla concezione greco-romana del lavoro, considerato umiliante, e dalla conseguente assenza di diritti del lavoratore, allo status attuale dell'uomo che lavora. Quante agitazioni sociali, quanta miseria, quante guerre e rivoluzioni, quanto spargimento di sangue si sarebbero potuti evitare all'umanità se l'ideale biblico della dignità del lavoro fosse stato fin dai tempi antichissimi alla base dell'ordine sociale!
La tradizione ebraica ci dice che Adamo si rassegnò al suo fato solo allorché gli fu detto che avrebbe dovuto lavorare. Invero il lavoro è la prerogativa dell'uomo nato libero e fornito di genio creativo. “Il lavoro è una gran cosa”, dicono i nostri saggi, “perché onora chi lo fa”.
Libertà Spirituale
Il lavoro non è tutto, però.
Il lavoro può rendere liberi, ma si può anche essere schiavi di esso. È scritto nel Talmud che quando D-o creò il cielo e la terra, essi continuarono a girare senza posa, come due rocchetti di filo, fin quando il loro Creatore ordinò: “Basta!” L'attività creativa di D-o fu seguita dallo Shabbat, allorché deliberatamente Egli cessò la sua opera creatrice. Questo fatto, più d’ogni altra cosa, ci presenta D-o come libero creatore, che liberamente controlla e limita la creazione da Lui attuata secondo la Sua volontà.
Non è quindi il lavoro, ma la cessazione del lavoro che D-o scelse come segno della Sua libera creazione del mondo. L'Ebreo, cessando il suo lavoro ogni Shabbat, nel modo prescritto dalla Torà, rende testimonianza della potenza creatrice di D-o. E, inoltre, rende manifesta la vera grandezza dell'uomo. Le stelle ed i pianeti, una volta iniziato il loro moto rotatorio che durerà eterno, continuano a girare ciecamente, senza interruzione, mossi dalla legge naturale di causa ed effetto. L'uomo invece può, con un atto di fede, porre un limite al suo lavoro sicché esso non degeneri in una fatica senza senso. Pertanto, osservando lo Shabbat l'Ebreo diviene, come ebbero a dire i nostri saggi, domè leyotserò , ovvero simile a D-o stesso. Similmente a D-o, egli è padrone del suo lavoro, non schiavo di esso.
Invero l'uomo è grande solo se collabora volontariamente al piano che D-o fece per il mondo, servendosi della sua libertà per servire D-o e il suo prossimo. Così facendo egli diviene, come affermano i Rabbini, un “collaboratore nell'opera della creazione”.
Tuttavia la stessa libertà dell'uomo può condurlo alla rovina. Infatti, il grande potere ch'egli ha sul mondo della natura e che gli consente di controllarlo e di dominarlo, di imbrigliarne le energie, di modellarlo e di adattarlo alla sua volontà - questo medesimo potere rende fatalmente facile all'uomo pensare a se stesso come ad un creatore, che non ha da rendere conto a nessuno sopra di lui. Noi, che viviamo nel XXI secolo abbiamo visto che cosa possa portare al mondo ed all'umanitá il prevalere di simili idee.
Ma è qui che lo Shabbat viene in soccorso. Come vedremo tra poco più dettagliatamente, questo è, probabilmente, l'aspetto più basilare dell'osservanza dello Shabbat.
Si può riconoscere la verità fondamentale che è D-o che ha creato il mondo. Ma che cosa significa ciò per l'uomo comune? Molto poco. Ma qui, come sempre, la Torà non si accontenta di mera teoria. La Torà si interessa delle azioni, delle conseguenze pratiche. Considerata così, la dottrina acquista vita: “Vivendo nel mondo di D-o e come le Sue creature noi dobbiamo mettere al Suo servizio tutta la potenza umana di cui ci valiamo”. Solo così possiamo giustificare la nostra esigenza e al tempo stesso assicurare il benessere nostro e quello del genere umano.
Le norme, uniche nel loro genere, della legge dello Shabbat, servono a tenere sempre presente questa considerazione molto pratica: che ci viene impedito in questo giorno, di esercitare la nostra caratteristica potenza umana di produrre e creare nel mondo della materia. Con questa inattività noi deponiamo questa potenza ai piedi di D-o che ce l'ha data. Questa idea basilare dello Shabbat verrà analizzata più ampiamente nei capitoli seguenti. Facendo bene attenzione, possiamo afferrare però sin d'ora quanto lo Shabbat tenta di dirci.
In realtà lo Shabbat ci dice, tutte le settimane, quello che D-o disse al primo essere umano:
“Ti ho messo in questo mondo che appartiene a Me. Tutto quello che ho creato è per te. Stai attento a non corrompere né distruggere il mio mondo”.
In questo consiste l'essenza dello Shabbat. Con lo stesso atto con cui si proclama la libertà dell'uomo, si dichiara pure che egli è al servizio di D-o. Tutta la nostra potenza al servizio di D-o: Non vi è maggiore libertà di questa.
Lo Shabbat e la Vita
Un'altra benedizione deriva dallo Shabbat, ovvero la benedizione della menuchà, del riposo. Questa menuchà è qualcosa di più di un riposo fisico. È un atteggiamento intellettuale, uno stato dello spirito determinato da quell'esperienza che è lo Shabbat e composta di vari elementi.
Vi è in essa la gioia di essere liberati dalla schiavitù delle pressanti esigenze della vita quotidiana.
Indipendentemente dalla schiavitù del lavoro, vi sono le persistenti esigenze della nostra civiltà meccanica - gli autobus, l'automobile, il telefono; gli impellenti richiami della nostra industria meccanica dello svago - la radio, la televisione, il cinematografo. Finché non ci si ferma a riflettere, la maggior parte di noi non si rende conto dell'usura cui questi mezzi sottopongono la nostra energia vitale. Non ci rendiamo conto della portata della schiavitù che ci è imposta. Facciamo solo un esempio: quanti di noi riescono a star seduti in una camera in cui squilla il telefono senza andare a rispondere? L'attrazione è irresistibile. Sappiamo che prima o poi dobbiamo rispondere. Di Shabbat questo cosidetto dovere non esiste. Il rilassamento, il sollievo dello spirito che comporta un vero Shabbat ebraico è cosa che bisogna provare per credere. Lo spirito della menuchà trova la sua espressione positiva nei pasti dello Shabbat, in cui la gradevole compagnia della famiglia e degli amici, il piacere del buon cibo, i canti che si intonano a tavola in lode a D-o ed allo Shabbat si fondono tutti a costituire un'esperienza veramente unica.
In quest'atmosfera di Shabbat è facile sentire la vicinanza di D-o e affrontare la vita senza preoccupazioni e rincrescimenti, fiduciosi ch'Egli ha cura di noi.
Il rinfrancamento fisico e il rilassamento della tensione nervosa stimolano a loro volta la mente ad entrare in più stretto contatto con D-o mediante lo studio della Sua Torà, non come passatempo intellettuale ma nella piena consapevolezza che questa è la sola fonte di verità e di vera vita per l'Ebreo. Se facciamo sì che quest'attività costituisca il contenuto positivo delle ore di riposo dello Shabbat ecco che l'uscita dello Shabbat ci lascerà meglio preparati da tutti i punti di vista, ai compiti della settimana entrante, meglio preparati al compito della vita. Le benedizioni dello Shabbat non riguardano soltanto la vita dell'individuo. Dopo aver aiutato l'Ebreo a trovare se stesso, lo Shabbat lo aiuta a trovare il suo prossimo. Uno dei motivi essenziali citati dalla Torà per il comandamento dello Shabbat è:
“Affinché il tuo servo e la tua serva riposino come te”. (Deut. 5:14).
Il padrone come il servo - il servo come il padrone! Può ognuno concepire oggi che cosa deve aver significato questo livellamento in tempi in cui lo schiavo non era altro che un utensile animato del padrone, che poteva essere colpito o distrutto a piacimento? Di Shabbat il servo e il padrone si incontrano come uguali, come libere personalità umane. Lo Shabbat restituiva allo schiavo la sua dignità umana. Il riposo e la libertà dello Shabbat valevano anche “per lo straniero entro i suoi confini”. Con ciò eran poste le basi della fratellanza umana. Invero, come vedremo, neanche il bestiame è escluso dalla celeste benedizione dei riposo dello Shabbat. Neppure agli animali può essere negata la dignità di creature di D-o che compete anche loro.
Lo Shabbat è pertanto una divina protesta, ricorrente ogni settimana, contro la schiavitù e l'oppressione. Il venerdì sera, alzando il calice del Kiddush, l'Ebreo collega la creazione del mondo con la libertà umana, proclamando così che la schiavitù e l'oppressione sono peccati capitali contro la legge basilare su cui poggia l'universo. Vi è quindi da stupirsi che i tiranni di tutte le epoche non volessero permettere ad Israele di celebrare lo Shabbat?
Aspirazioni spirituali
Abbiamo veduto che lo Shabbat è la radice di ogni aspirazione più elevata dell'uomo: D-o, la dignità dell'animo umano, la libertà e l'uguaglianza di tutti gli uomini, la supremazia dello spirito sulla materia. Non v'è, quindi, da meravigliarsi che i profeti di Israele abbiano preso lo Shabbat come simbolo di tutto quanto è moralmente buono e nobile:
“Felice l'uomo che fa così, il figlio dell'uomo che tiene questo saldamente, che evita di profanare lo Shabbat e trattiene la sua mano dal compiere alcun male”. (Isaia 56:2).
La stessa idea che identifica lo Shabbat con le più alte aspirazioni umane è espressa da Neemia (9”13):
“Tu pure discendesti sul Monte Sinai e parlasti con loro dal Cielo e desti loro rette leggi, insegnamenti di verità, buoni statuti e comandamenti - e facesti loro conoscere il nostro santo Shabbat.”
I nostri saggi, che avevano il caratteristico dono di creare epigrammi, hanno espresso il fatto che lo Shabbat contiene la totalità e la sostanza della vita e del pensiero ebraico con le parole: “Se D-o non ci avesse portati fino al Monte Sinai e si fosse limitato e darci lo Shabbat, sarebbe stato sufficiente”. Invero lo sarebbe stato, perché lo Shabbat racchiude in sé l'essenza dell'Ebraismo.
Che Cosa è Melakhà?
Come deve essere osservato lo Shabbat per esser sicuri che il suo fine sublime si traduca in realtà nell'anima ebraica? La risposta della Torà è inequivocabile: astenendosi dall'operare; la stessa parola Shabbat significa appunto questo:
“Non farai alcuna opera...”
La Torà insiste continuamente su questa prima condizione, che è il fulcro e l'essenza dell'osservanza dello Shabbat.
Dobbiamo analizzare ora esattamente che cos'è che la Torà considera opera a questi effetti; e qui giungiamo a conclusioni inaspettate.
Melakhà e Opera
È evidente che l'opera o, per usare il termine che appare nella Torà, la melakhà non si identifica assolutamente con uno sforzo o con un esercizio fisico.
Ciò appare evidente dalla semplice constatazione che mentre non si trasgredisce alle norme relative allo Shabbat se si trasporta un grosso carico entro i confini della propria casa, si profana invece lo Shabbat portando con se anche solo un libricino uscendo da casa propria in strada.
E non è neppure vero che la Torà proibisca semplicemente di eseguire le comuni operazione quotidiane. Infatti, le norme relative allo Shabbat comprendono anche questo, ma comprendono anche molto di più ed è quindi evidente che sono basate su un principio diverso.
Che cosa si intenda veramente per opera nel comandamento biblico “non farai alcuna opera” lo si può comprendere solo studiando attentamente la tradizione orale. È meglio non usare i termini di lavoro o attività, che creano confusione, e attenersi al termine tecnico di melakhà. Una chiara valutazione della natura della melakhà è di vitale importanza per una vera comprensione dello Shabbat come la Torà stessa intende che sia osservato e come esso è difatti osservato a tutt'oggi dagli Ebrei che vogliano rispettare la loro grande eredità.
Lo Shabbat nella Torà
La fonte principale della definizione di melakhà nella Torà è il comandamento che impone l'interruzione di tutte le attività necessarie per la costruzione del Santuario nel deserto (Esodo 31:13). Tutte queste attività sono espressamente comprese nel termine melakhà.
Riportiamo, qui di seguito, dalla Mishnà (Shabbat 7,2) un elenco di queste attività:
1) Arare. 2) Seminare. 3) Mietere. 4) Formare covoni. 5) Trebbiare. 6) Ventilare (le biade). 7) Selezionare. 8) Setacciare. 9) Macinare. 10) Impastare. 11) Cuocere. 12) Tosare. 13) Sbiancare. 14) Pettinare filati greggi. 15) Tingere. 16) Filare. 17, 18, 19) Operazioni di tessitura. 20) Separare in fili. 21) Fare un nodo. 22) Disfare un nodo. 23) Cucire. 24) Strappare. 25) Tendere trappole o cacciare. 26) Macellare. 27) Scuoiare. 28) Conciare pelli. 29) Levigare pelli. 30) Rigare. 31) Tagliare secondo forma determinata. 32) Scrivere. 33) Cancellare. 34) Costruire. 35) Demolire. 36) Accendere fuoco. 37) Spegnere. 38) Dare l'ultimo colpo di martello ad un oggetto di nuova costruzione. 39) Portare oggetti da una proprietà privata ad una pubblica (o viceversa).
Esaminando quest'elenco notiamo una cosa sorprendente. Le attività elencate risultano costituire una esemplificazione dei tipi principali di attività produttiva umana. Certamente questo non è casuale. Non è tuttavia qui nostro intendimento indagare sulle possibili ragioni per le quali l'elenco può essere stato steso in tale modo, per quanto riguarda la costruzione del Santuario. Quello che ci interessa è che la Torà ci ha dato qui una chiara indicazione della natura e del fine della melakhà. Si noti ancora che alcuni generi di melakhà come “portare” (Esodo 16:29 - Numeri 13:39) e “accendere fuoco” (Esodo 35:3), sono menzionati separatamente nella Torà la quale in ognuno di questi casi insiste chiaramente sulla legge sabbatica considerata in toto.
Concetto Principale
La Legge scritta ci dà lo schema della legislazione sabbatica. La tradizione orale deve aggiungere solamente i dettagli, dando le definizioni dei termini e applicando quei dati principi a tutte le questioni pratiche che si presentino nella vita quotidiana.
Pertanto per tutti gli scopi pratici bisogna ricorrere alla tradizione orale, alla Halachà, la legge.
Ogni studioso di Halachà può, da solo, notare il vasto e logicamente costruito sistema delle leggi dello Shabbat. Quanto più profondamente le studierà tanto più si radicherà in lui la convinzione che in realtà si tratta di un sistema non di una quantità di leggi elencate a caso; di un corpo consistente e coordinato di leggi, derivanti da un'idea centrale e conformi ad essa.
Qual è dunque il principio informatore che è alla base dei concetto di melakhà e che costituisce pertanto il tondamento dell'intera istituzione dello Shabbat.
È della massima importanza trovare un siffatto principio generale in quanto nulla ha nuociuto tanto all'appropriata osservanza dello Shabbat come il grande equivoco che la melakhà equivalga semplicemente a sforzo fisico o a fatica.
Molti pensatori Ebrei hanno cercato di esprimere un'idea principale di questo genere per dare così la chiave dell'intero, vasto sistema delle leggi sabbatiche. L’esposizione fatta da Rav Samson Rephael Hirsch, uno dei maggiori pensatori Ebrei del secolo scorso, è molto adatta al moderno modo di pensare.
L’Idea alla Base della Melakhà
Esponendo la sua interpretazione della melakhà Rav Hirsch inizia con l'idea generale che lo Shabbat testimonia che D-o è il creatore supremo della Terra e del Cielo e di tutto quanto vi è in essi. Però l'uomo è impegnato in una costante lotta per ottenere il dominio di quanto D-o ha creato, per porre la natura sotto il suo controllo. Valendosi dell'intelligenza, dell'abilità e dell'energia dategli da D-o, egli vi è in gran parte riuscito. E quindi costantemente esposto al pericolo di dimenticare la sua natura di creatura - la sua assoluta e completa dipendenza dal Signore di tutte le cose. Egli tende a dimenticare che la stessa potenza di cui egli si vale per dominare la natura deriva dal suo Creatore, al cui servizio egli, la sua vita ed il suo lavoro dovrebbero essere diretti.
Il Compito d’Israele
In un mondo che dimentica sempre più D-o, ad Israele è stato affidato il compito di preservare questa verità che è della massima importanza per la futura salvezza dell'umanità. D-o ha voluto quindi che l'Ebreo, assoggettando e controllando il mondo circostante come ogni altro essere umano, debba riconoscere e dimostrare che riconosce che la sua potenza deriva da Uno che è più alto di lui. Questa ammissione va manifestata col dedicare ogni settimana una giornata a D-o ed astenendosi dal compiere in questo giorno qualsiasi attività che significhi dominio dell'uomo sulla natura.
Rinuncia al Dominio
Noi rinunciamo in questo giorno a qualsiasi attività di controllo intelligente e diretto a qualche fine sulle cose e sulle forze della natura; interrompiamo qualsiasi atto di potenza umana al fine di proclamare D-o Fonte di ogni potere. Astenendosi dall'esercitare la potenza umana, l'Ebreo rende un silenzioso omaggio al Creatore.
La caratteristica essenziale della creativita umana e il fine intelligente che la determina. Ouesto, quindi, è il significato del principio basilare di halachà che costituisce il fondamento di tutta la legge sullo Shabbat: “Melekheth machshevet aserà Torà” cioè, “la Torà vieta - come melakhá - la realizzazione di qualsiasi proposito di intelligenza che renda necessario l'uso di abile attività pratica”.
La melakhà è un atto che manifesta il dominio dell'uomo sulla natura, eseguito mediante l'uso costruttivo della sua intelligenza ed abilità.
Una Limitazione Significativa
Si può quindi comprendere come sia privo di senso l'argomento spesso ripetuto che non si fa alcuno sforzo per accendere la luce elettrica né per scrivere una parola. Come se l'uso dell'elettricità non sia più una conquista dell'uomo sulla natura per il solo fatto che servirsene non richiede sforzo! O come se scrivere una parola non costituisca più una manifestazione del potere inventivo dell'uomo solo perché sembra così semplice!
Sia ben chiaro che astenersi dal compiere melakhà è un positivo atto spirituale. Il lavoro che l'uomo compie durante la settimana e l'illusione che esso alimenta sono come un velo che nasconde davanti ai suoi occhi la vera natura dello scopo della sua vita terrena. Astenersi dal compiere melakhà significa sollevare questo velo. Fin quando nella nostra vita di Shabbat resti una benché minima traccia di melakhà, il velo rimane abbassato. Nel campo spirituale il minimo atto può avere un effetto identico a quello dell'atto più grande.
Colui che pensa di fare anche una sola melakhà in quel giorno nega con il suo atto D-o come Creatore e Padrone del mondo. Ecco perché profanare lo Shabbat compiendo melakhà equivale per la Torà all'apostasia e all'idolatria. Mentre vedere un bimbo od una bimba Ebrei che di Shabbat evitano di cogliere anche un solo fiore costituisce nei confronti di D-o una testimonianza più grande di tutte le sonore parole dei poeti e dei filosofi.
Salvaguardare lo Shabbat
Abbiamo visto l'importanza fondamentale del divieto di compiere melakhà di Shabbat. Abbiamo visto che anche un solo atto di melakhà compiuto di Shabbat scuote le fondamenta dell'intera Torà e costituisce un'arrogante negazione di D-o e del suo dominio sul mondo. Possiamo forse cominciare ora a comprendere l'estrema gravità di quest'offesa agli occhi della Torà. Invero abbiamo una vaga nozione di quanto costituisce la base di passi come questo:
“Coloro che lo profaneranno muoiano chiunque faccia una melakhà in questo giorno sarà reciso dal suo popolo” (Esodo 31, 14).
Invero chi che non sia già del tutto insensibile (cioè come morto) a tutte le aspirazioni spirituali del popolo ebraico potrebbe fare un atto del genere, pur conoscendone la portata?
E la pura e semplice verità, di cui sfortunatamente abbiamo avuto molte prove negli ultimi anni, cioè che quando lo Shabbat non fa più parte della vita di un ìndividuo, d'una famiglia, d'una comunità, il loro Ebraismo si trasforma in una farsa senza significato, che viene ben presto respinta dalla generazione successiva.
In questioni così serie occorre porre mente perfino a trasgressioni involontarie. Dire non ci ho pensato è una scusa assai poco valida, quando si tratti di questioni essenziali di questo genere. Lo Shabbat presenta particolari pericoli in questo senso, in quanto si tratta di azioni che siamo abituati a fare in tutti gli altri giorni della settimana. Avendo piena coscienza di tutto quello che è in pericolo, gli Ebrei di tutti i tempi sono stati e sono decisi a non lasciarsi fuorviare dai loro elevati propositi dall'abitudine e dalla dimenticanza. Essi hanno cercato quindi dei modi e dei mezzi che li preservino da un'involontaria infrazione dei divieti dello Shabbat.
A questo fine i Rabbini hanno stabilito una particolare legislazione protettiva, comunemente conosciuta come siepe intorno alla Legge, seiag laTorà. I divieti che costituiscono tale legislazione sono chiamati ghezeròt, imposizioni rabbiniche o, con particolare riguardo alle norme sabbatiche, Shevuth.
Così facendo i Maestri hanno agito con il pieno consenso e l'autorità loro conferita dalla Torà la quale esplicitamente ordina di prendere misure effettive per evitare violazioni involontarie delle norme in essa contenute. Così troviamo (Es. 23:13):
“Vi guarderete bene a riguardo di tutto quanto vi ho detto”.
E così pure (Lev. 18:30): “Salvaguarderete la mia osservanza”.
Con riferimento ai decreti rabbinici derivati da questa divina norma la Torà statuisce (Deut. 17:10-11): “E guarderai di fare esattamente secondo quanto ti insegneranno..”
“Non devierai dalla parola che essi li diranno né a destra né a sinistra”.
Pertanto queste ghezeròt non sono meno vincolanti per tutti gli Ebrei di quanto non lo sia la Torà stessa. Anzi lo sono maggiormente. Poiché la ragione dei decreti consiste sempre nella fragilità della natura umana e nella facilità con cui si dimentica, l'obbligo di osservarli deve permanere fin quando la natura resterà immutata.
I nostri Rabbini ci hanno, in tal modo, messo in condizione di evitare di compiere di Shabbat diverse azioni che, sebbene non siano di per sé melakhòt, potrebbero portarci facilmente a compierne. Ciò potrebbe accadere:
a) perché formalmente somigliano a melakhòt e potrebbero quindi confondersi facilmente con esse, oppure
b) perché sono legate a melakhòt da abitudini quotidiane, oppure
c) perché l'atto stesso implica normalmente una melakhà o conduce facilmente ad essa.
Strappare un pezzo di carta appartiene. ad esempio, al primo genere. Non è una melakhà - manca il carattere costruttivo della melakhà - ma vi assomiglia assai (ad esempio al tagliare secondo forma determinata), tanto da essere proibito come misura precauzionale.
I nostri Rabbini, con la loro profonda conoscenza psicologica dell'uomo, hanno visto chiaramente che se ci fosse consentito di fare l'una cosa, saremmo più facilmente indotti a fare l'altra - la vera melakhà - ogni qualvolta ci si presentasse l'occasione.
Accettare di acquistare un articolo è un esempio delle cose proibite. La cosa è abitualmente legata ad una melakhà (ad esempio: scrittura d'un contratto): è quindi proibito stipulare di Shabbat accordi siffatti, anche se solo oralmente.
Salire su un albero è un esempio delle cose vietate. Infatti potrebbe portare facilmente a rompere un ramoscello o a strappare una foglia, cose che costituiscono naturalmente ambedue una melakhà effettiva.
Pertanto ci riferiremo nel seguito a questi tre tipi di ghezerà definendo quelle di tipo a «similari», quelle di tipo b «di genere abitudinario» e quelle di tipo c «inducenti».
L'osservanza delle Ghezeròt e l’Indice di Atteggiamento Generale
È stato dimostrato infinite volte che, se tutte queste norme protettive vengono coscienziosamente osservate in pratica come parte integrale della legislazione sabbatica, le probabilità di effettiva profanazione dello Shabbat sono molto minori.
L'atteggiamento nei confronti di questa legislazione protettiva è indice dell’atteggiamento generale nei confronti dell'istituzione dello Shabbat, anzi nei confronti della divina Torà nel suo complesso. L'Ebreo che decide di prendere alla leggera una ghezerà ha già deciso in cuor suo di prendere alla leggera la Torà stessa. Pertanto egli ha perduto il diritto di qualificarsi come Ebreo osservante. Va notato tuttavia che, nella loro grande saggezza pratica, i Rabbini hanno ristretto questo tipo di legislazione al minimo necessario per evitare trasgressioni alle norme effettive della Torà. La regola della legge Ebraica è che non si stabilisce mai una misura protettiva per salvaguardare un'altra misura protettiva (Babà Metzià 5 b).
Ciò riflette l'atteggiamento realistico della Torà stessa, che pur ponendo l'accento sul grande impegno richiesto a chi serve D-o, attribuisce ugualmente il suo giusto peso alle necessità pratiche della vita quotidiana.
Dobbiamo far notare che le note che seguono si propongono di dare un'idea generale dello scopo di questa legislazione e della sua natura sistematica. Esse non intendono formare un trattato esauriente. Per la conoscenza dettagliata della giusta osservanza dello Shabbat non vi è che una retta via: “tsè ulemad”, “va' e studia”.
Le leggi debbono essere studiate sotto la guida di un Maestro competente. Per quanto possibile si deve iniziare lo studio dalle fonti - dal Trattato Shabbat nel Talmud e nello Shulchan Arukh, il Codice delle Leggi, testo basilare della Halachà (Parte 1, Orach Chayim, capitoli 242-416).
Tratto dal libro «Lo Shabbat» del Dayan Dr. I. Grunfeld