Il concetto ebraico di tempo, circolare e non lineare

La santità che si manifesta nel tempo, viene come giorni consacrati nella settimana, nel mese, nell'anno. Il concetto di tempo, secondo il modo di pensare ebraico, non è quello di un flusso lineare che passa; è un processo in cui passato, presente e futuro sono legati l'uno all'altro, non solo da un rapporto di causa ed effetto, ma anche come momento di armonia di due movimenti, di progresso in avanti e di un moto opposto all'indietro, circolari e ricorrenti. È piuttosto come una spirale, un'ellissi che nasce dalla Creazione. C'è sempre un certo ritorno al passato, e il passato non è mai uno stato che è passato e non c'è più. È piuttosto sempre un ritornare e cominciare di nuovo ad un punto particolarmente significante, l'espressione del quale cambia costantemente, secondo mutevoli circostanze. C'è così un costante ritorno verso modelli fondamentali del passato, anche se non è mai possibile avere una copia precisa di nessun momento del tempo.

La portata di questo ritorno al passato è varia, perché il movimento oscilla attraverso un numero di circoli che si intersecano e si uniscono l'uno all'altro. Il circuito primario è quello del giorno e della notte. Poi ci sono la settimana, il mese e l'anno, i cicli cinquantenari del giubileo e i grandi cicli di mille anni e di settemila anni.

Il ciclo della settimana è connesso ai sette giorni della creazione, ed è una specie di ricapitolazione metodologica della Genesi. Ogni giorno della settimana è non soltanto un'occasione per sottolineare il particolare lavoro di creazione di quel giorno, è anche una cornice per manifestare la qualità speciale di esistenza corrispondente a una delle sefirot. Perché, come sembrerebbe, i sette giorni e la cosa particolare creata in ognuno dei giorni della Genesi sono emanazioni delle più alte sefirot nel tempo. Così ci sono giorni della settimana che appartengono a certi tipi di azione o stati mentali; altri giorni sono adatti e rispondono ad altri modi di essere. Martedì, per esempio, che è la manifestazione della sefirà di Tiferet (Bellezza o Armonia), è considerato un giorno favorevole al successo e alla buona fortuna. Invece lunedì, il giorno della sefirà di Ghevurà (Forza o Giustizia), e mercoledì si considerano avere una nociva severità.

Anche le ore e le parti del giorno hanno i loro modelli ritmici secondo le sottili influenze delle sefirot, come sono riflesse dai raggi obliqui del sole. La mattina comprende le ore migliori, il pomeriggio è largamente sotto l'influenza della sefirà di Ghevurà, e diventa sempre più severo e duro con l'avanzare della sera; mentre l'intervallo di tempo che va da mezzanotte all'alba è quello per la manifestazione delle più fini e gentili qualità di Tiferet.

Il valore dello Shabbat

Lo Shabbat non è semplicemente un altro giorno della settimana, e nemmeno un giorno speciale; esso riassume la settimana e le dà significato. I giorni feriali sono segnati dagli atti della Creazione, sempre ripetuta a causa della discesa dell'abbondanza divina nel mondo. E, parallelamente, durante la settimana è compito dell'uomo, nell'ordine delle cose, di fissare e sistemare correttamente il mondo ogni volta che tende ad andare storto. Questo include, nel senso fisico, correggere il mondo con il lavoro e l'azione sulla cornice esterna, e nel senso spirituale, perfezionare il mondo adempiendo alle mitzvot. Perché nel regno dell'anima umana, il lavoro dell'uomo su se stesso, la sua continua correzione dell'errore, la riparazione e l'attivazione del suo essere interno, costituiscono un incessante sforzo creativo.

Lo Shabbat è essenzialmente il giorno di riposo, di cessazione di tutte le attività e sforzi creativi. Questo è valido per lo sforzo spirituale di lavorare su se stessi come per lo sforzo fisico di lavorare sul mondo. La settimana è caratterizzata dall'essere occupati e attivi, mentre lo Shabbat è fondato sulla quiete, sull'annullamento di se stessi nel mare della santità. E questo ripudio di sé si manifesta con il rifiuto di ogni lavoro: sia esso nel senso fisico, con l'essere occupati nel mondo, o nel senso spirituale, con gli sforzi per correggere la propria anima. Infatti, il vero potere di ricevere l'essenza spirituale dello Shabbat deriva dalla prontezza e dalla capacità di arrendersi, di rinunciare al proprio stato umano e mondano per amore della santità suprema, attraverso cui tutti i mondi sono innalzati ad un più alto livello.

Il cielo dei giorni feriali e dello Shabbat è senza fine. Da un lato i giorni feriali preparano allo Shabbat, provvedendo ulteriore abbondanza al mondo e coreggendolo, rendendo possibile portare a una conclusione le cose e di innalzarle ad un livello convenientemente più alto. Dall'altro lato, lo Shabbat è la fonte di abbondanza per tutti i giorni seguenti della settimana. La resa di se stessi nello Shabbat non è una questione di non attività, ma un'apertura di sé all'influenza dei mondi più alti, e ricevendo così la forza per tutti i giorni successivi della settimana.

Questa santità di un giorno, una quantità definita di tempo, è, come la santità di un luogo, intrinseca ad esso. Non può essere trasferita ad un altro giorno. Nondimeno, sperimentare questa santità, oggettiva come essa è, dipende dalla buona disposizione e dall'apertura spirituale di ognuno. Quanto più intensa e sincera è la preparazione durante la settimana, nell'aspetto mondano della vita di una persona, tanto più santo è lo Shabbat. Quanto più alto in generale il livello spirituale di una persona, tanto più vivo è il senso del generale innalzamento - un'elevazione di tutti i mondi - avvertito in quel giorno. Così, anche se il ciclo dei giorni feriali e dello Shabbat si ripete senza fine, non è mai lo stesso. Ci sono sottili variazioni nel flusso di abbandanza, proprio come gli uomini differiscono tra loro. E ancora, ogni singola settimana è un archetipo, una ricapitolazione del modello primordiale della Genesi.

La vigilia dello Shabbat

La vigilia dello Shabbat ha il suo proprio particolare aspetto di Settimo Giorno. Ogni ora del pomeriggio che precede segna un altro livello del passaggio dai sei giorni lavorativi della settimana al giorno di riposo dello Shabbat. La Vigilia stessa dello Shabbat è il momento finale verso i due aspetti del Giorno Santo, come conclusione della settimana e come più alto livello di esistenza, al di là dei sei giorni di lavoro, al di là del tempo.

Questo livello più alto dello Shabbat è legato alla manifestazione divina nella sefirà di Malchut (Regno) che rappresenta la Shechinà, e anche la totalità, il ricettacolo che assorbe tutto ciò che avviene, anche perché è l'ultima sefirà, la Corona. Quindi la qualità della vigilia dello Shabbat, che è la somma di lavoro ed eventi nel tempo, può anche essere una manifestazione dello Shabbat stesso, come la corona e l'inizio del tempo. La sefirà di Malchut, o la Shechinà, rappresenta la potenza divina come si manifesta in realtà in maniere molto diverse. Essa ha settanta nomi, ognuno che rappresenta un altro aspetto, un'altra faccia di questa sefirà che le comprende tutte. Perché Malchut è la settima delle sefirot più basse, e, essendo l'ultima, include in se stessa anche l'intera decina. In altre parole, essa esprime tutte le sefirot, ognuna in sette forme differenti, cosicché settanta è il numero chiave per la spiegazine del rituale della sera, dedicato come è a Malchut, e alla Shechinù che Malchut rappresenta.

Certamente c'è qualcosa di uguale in tutte le manifestazioni della Shechinà, che hanno tutte un certo aspetto della femminilità, così che i simboli e i contenuti della sera di Shabbat sono sempre orientati al femminile, con enfasi sulla donna in termini universali come in termini di famiglia ebraica.

La simbologia dello Shabbat

Entrando in una casa la sera di Shabbat, ciò che spicca, più che in ogni altro momento, è come la dimora di un uomo può essere trasformata in un santuario. Il tavolo su cui sono posati i bianchi pani dello Shabbat e le candele accese richiamano alla mente il Santuario con il pane di presentazione e la menorà. Il tavolo stesso è, come sempre, un ricordo dell'altare del Tempio, perché mangiare potrebbe e dovrebbe diventare un atto di sacrificio. In altre parole, la relazione tra l'uomo e il cibo che egli consuma e l'intenzione che sta dietro il mangiare il cibo costituisce lo stesso legame tra la materialità e la spiritualità in tutti i mondi, che esiste anche in ogni sacrificio su un altare.

Questo è accentuato di Shabbat quando la festività di Shabbat è essa stessa un atto sacramentale, una specie di comunione, un adempiere la mitzvà dell'unione dell'anima, del corpo, del cibo e dell'essenza di santità. Così il tavolo ha sempre, ai pasti, una saliera con del sale, come ci doveva essere sale sull'altare come segno del pane di presentazione. Le candele, accese dalla donna della casa, sottolineano la luce dello Shabbat, la santificazione del giorno e il compito speciale della donna nello Shabbat, come rappresentante della Shechinà, di Malchut. Ci sono due forme di pane bianco speciale, challà (in alcune case ci sono dodici challot), coperte con un panno, che ricordano il pane che veniva dal cielo, la manna, che cadeva in quantità doppia la vigilia di Shabbat, e lo strato di rugiada che si trovava sopra e sotto di essa, cosicché c'è il panno che copre il pane da tutte le parti.

Come parte della preparazione per la cerimonia del Kiddush (santificazione), i membri della famiglia cantano o recitano il canto di lode per la « donna di valore “ (Proverbi 31:10-3 1). Il canto, con le sue ammirevoli parole per la donna, la madre, la padrona di casa, ha un doppio significato in questa sera di Shabbat, sia come lode per la signora della casa, sia come glorificazione della Shechinà, di Malchut, che in un certo senso è la madre, la padrona del mondo reale. Dopo di questo, recitiamo il salmo 23 che esprime una serena fede in D-o. Allora siamo pronti per la cerimonia stessa del Kiddush.

Il senso del Kiddush

In termini di halachà, il Kiddush è l'esecuzione del quarto dei Dieci Comandamenti: “Ricorda il giorno dello Shabbat per santificarlo”. Cosicché proprio all'inizio dello Shabbat ci deve essere un qualche atto dì separazione, di santificazione, che sottolinei la differenza tra il resto della settimana e il giorno santo, e metta l'anima in grado di entrare in uno stato di più profonda tranquillità e di spirituale ricettività. Certamente le parole della santificazione sono anche dette nel momento della preghiera serale e in altre occasioni. Ma nell'Ebraismo c'è un principio generale, che avvenimenti o processi astratti, e tutto ciò che li riguarda, sono, nella misura maggiore possibile, legati a specifici contenuti e azioni molto definite. Così la santificazione del Kiddush è collegata con il bere il vino, che a sua volta diventa parte di una cerimonia e, insieme, è associato con i sacrifici del vino dello Shabbat nel santuario.

Il bicchiere del Kiddush simboleggia il ricettacolo attraverso cui, ed in cui, viene la benedizione.

Il valore numerico delle lettere che formano la parole kos (bicchiere) equivale al valore numerico delle lettere del nome di D-o, che esprime la rivelazione divina nel mondo, nella natura, nella legge. E nel bicchiere si versa l'abbondanza, il vino che rappresenta la potenza della benedizione della parola vino. Anche l'equivalente numerico, cioè la somma delle sue lettere-numeri, è settanta, che è il numero della sera di Shabbat, come già ricordato. Il vino allora evoca l'abbondanza, la grande pienezza e potenza. Il vino rosso specialmente, esprime un certo aspetto della sefirà di Ghevurà (potere), quando sta da solo. Ma ha anche un aspetto di giustizia, cosicché, dopo che si è versata la maggior parte di vino nel bicchiere, si aggiunge un po' d'acqua (simbolo di grazia e amore), per creare la giusta mescolanza, o armonia, tra Chesed e Ghevurà. Il bicchiere, che è ora ricettacolo di santificazione, riempito con la pienezza divina, è poi posto sul palmo della mano destra, in modo tale da essere sostenuto dalle dita rivolte verso l'alto, somigliando ad una specie di rosa di cinque petali. Perché uno dei simboli di Malchut è la rosa. E il bicchiere di vino, che rappresenta la Shechinà, sta nel centro del palmo ed è tenuto dalle dita, petali della rosa. È arrivato il momento di recitare la preghiera del Kiddush.

Il Kiddush

Il Kiddush è composto di due parti. Comincia con quella parte della Torà (Genesi 2:1-2) in cui si parla per la prima volta dello Shabbat. La seconda metà consiste di una preghiera composta dai maestri, proprio per il Kiddush, e in cui sono affermati poeticamente e precisamente i vari significati dello Shabbat. Tra le due parti c'è la benedizione del vino, frutto della vite. In ognuna di queste due parti ci sono esattamente trantacinque parole, che insieme fanno settanta, il valore numerico della sera di Shabbat. Anteriormente alle prime parole della Torà, si aggiungono due parole. Queste sono le ultime parole del versetto precedente: “Yom hashishì” (il sesto giorno), Perché esse si adattano all'affermazione: “Cosi furono completati il cielo e la terra...” e anche perché le prime lettere di queste due parole ebraiche formano l'abbreviazione del Santo Nome. In questa prima parte lo Shabbat è trattato dal punto di vista di D-o, come il giorno che completa e termina la creazione. t il giorno di riposo di D-o e pertanto merita di essere in una sezione separata.

La seconda sezione, scelta e fissata dai maestri, esprime l'altro lato dello Shabbat, l'imitazione di D-o da parte di Israele. Prìma della benedizione sul vino, ci sono due parole in aramaico: “Savrì maranan”, che dicono ai presenti di prepararsi per la benedizione. Le parole seguenti del Kiddush eprimono gli elementi fondamentali dello Shabbat, e lo speciale rapporto tra lo Shabbat e la nazione. Cominciando con le parole: “Benedetto sii Tu... dai cui comandamenti noi siamo santificati” si riconosce che la mitzvà è una via per raggiungere un livello di santità, una via per D-o. Poi l'enfasi è sulla scelta che D-o ha fatto di Israele tra tutte le altre nazioni, per fargli assumere il compito speciale di proseguire l'atto di creazione e le sue conseguenze di riposo e di santità. Si fa menzione dell'Esodo dall'Egitto, come nella versione dei Dieci Comandamenti che si trova in Deuteronomio 5:15 dove lo Shabbat è proclamato anche come un giorno di riposo dal lavoro. Ricordare il tempo della schiavitù in Egitto assimila lo Shabbat all'atto divino di liberazione e salvazione che porta la libertà. Shabbat è quindi un giorno di libertà nella settimana e un monumento alla liberazione e all'esodo dall'Egitto. Esso esemplifica il concetto di salvazione finale, che è lo Shabbat del mondo.

Nascendo da questa enfasi sulla scelta e l'amore divino, dalla necessità di capire l'obbligo dell'uomo verso D-o di continuare a creare e di essere capace di innalzarsi al di sopra e oltre la creazione fino al riposo dello Shabbat, il Kiddush si conclude con il rapporto del popolo ebraìco con l'istituzione dello Shabbat, chiudendo il circolo del rapporto tra D-o e uomo. Dopo aver recitato il Kiddush, chi compie la cerimonia beve dal bicchiere, partecipando perciò a quella comunione tra il fisico e lo spirituale che è l'essenza di tutto il rito. E dallo stesso bicchiere bevono tutti coloro che sono riuniti ìntorno al tavolo, cosicché tutti ed ognuno possono anche partecipare allo stesso atto così pieno di significato di far entrare lo Shabbat, rappresentato dalla fioritura della rosa, che è la coppa di redenzione dell'individuo e della nazione e del mondo come un tutto.

tradotto da GiPi