Shabbat era sempre stata una parola che avevo associato con la storia antica. Bè, non proprio storia antica, ma certamente Europa anteguerra. Non avevo mai dedicato molto tempo a riflettere sullo Shabbat, ma se avessi dovuto parlarne a qualcuno, il massimo che avrei potuto fare sarebbe stato il descrìvere la scena di una matrona, una specie di donna corpulenta, con occhì luccicanti ed un grande fazzoletto bianco sulla testa; mentre circondava con le braccia due candele scintillanti poste su un imponente candelabro d'argento - e come sfondo, un coro che cantasse qualcosa sentimentale. Si, è proprio la scena di Shabbat del Violinista sul Tetto!
Ricordo distintamente di essere stata molto toccata da quella scena. Qualcosa vibrò profondamente in me, quando quella donna corpulenta, mormorò in ebraico ed il coro le fece eco: “Possa il Sign-re proteggerti e difenderti...” Lacrime riempirono i miei occhi. Provai un gran calore e mi sentii molto ebrea e fui leggermente fiera della mia reazione, ma in effetti avevo pianto anche per la scena d'addio di Madam Butterfly. E questo mi aveva reso giapponese?!
Il concetto dello Shabbat quale giorno di riposo era appunto qualcosa che non poteva riferirsi a me personalmente. Non conveniva al mio stile di vita. Non ero stanca. Non avevo bisogno di riposarmi. Durante tutta la settimana facevo il mio lavoro, insegnando composizione e letteratura inglese nel college locale, e nei fine settimana, specialmente sabato, potevo fare tutto quello che volevo fare; cucire, cavalcare in estate, sciare in inverno.
In primo luogo, cominciai a consíderare lo Shabbat quando incontrai una giovane coppia di Lubavitch, e dopo aver parlato per un pò mi suggerirono di venir a trascorrere uno Shabbat con loro. Accennai vagamente con il capo, domandandomi nel frattempo a cosa mi stavano invitando. Quanto era lungo Shabbat? Mi spiegarono pazientemente che lo Shabbat ebraico cominciava venerdì al tramonto, venivano benedette le candele, pronunciato il Kiddush e poi fatto la Hamotzi. Non capii cosa volevano dire quelle parole.
Dopo domande più incisive da parte mia e pazienti spiegazioni da parte di loro, decisi che sarei andata solo venerdì sera perchè mi sembrava una cosa carina. Ci sarebbero state candele accese nella stanza (cosa che avevo sempre trovato molto elegante), avremmo preso un bicchierino e poi saremmo andati a cena. Compresi di essere stata invitata ad un dinner party ebraico.
Scoprii invece, che era un dinner party con una differenza. L'obbiettivo in questo caso, non era la dimostrazione delle capacità culinarie dell'ospite nella creazione di piatti dai toni esotici, nè l'esibizione della propria casa, nè l'ostentazione dell'interessante ed eclettica mistura di ospiti. Il punto focale piuttosto era l'apprezzamento di cose meno egoiste, di cose più grandi di se stesse, un apprezzamento del Creatore e del meraviglioso universo che Egli aveva creato. Devo dire, in tutta onestà, che mai prima di quella volta avevo considerato l'aspetto delle cose in quella luce.
Tutti i rituali di quella sera avevano il fine del ringraziamento. La benedizione delle candele è per ringraziare D-o di aver creato lo Shabbat e averne comandato l'osservanza. Il Kiddush è una benedizione sulla coppa di vino (e non un cocktail come avevo creduto originariamente), il cui scopo è ringraziare D-o per aver creato il frutto della vite, in modo che attraverso di esso altre cose possano essere santificate. Potei capire che il vino era gustato durante liete occasioni, e servito per rendere la gente ancora più felice. La Hamotzi era un'altra benedizione pronunciata dopo un cerimoniale lavaggio di mani e prima di assaggiare il pane.
Questi rituali furono seguiti da una sorta di pasto tradizionale che mi rese nostalgica della casa di mia nonna. Il pane, coperto da una tovaglietta ricamata, aveva la forma a treccia ed era fatto in casa, indubbiamente la cosa più deliziosa che avessi mai assaggiato. Nessun'altra padrona di casa aveva mai osato tanto, al punto di cuocere il proprio pane. La Bistecca Wellington alla Julia Child, si! Poulet en brochet - senza problemi! Ma cuocere il proprio pane non era mai successo a nessuna delle mie ospiti di precedenti conoscenze.
Oltre il menu, il procedimento dello stesso pasto fu diverso poichè le portate furono intercalate da piccole conversazioni sui vari aspetti dell’ebraismo, specialmente l'importanza dì osservare il Sabbat, e su come ciò che stavamo facendo ed anche mangiando (due pani) era collegato al tempo in cui Mosè ricevette i comandamenti tra i quali “Ricorderai lo Shabbat per santificarlo”. Devo confessare che trovai tutto ciò affascinante. Non mi ero mai accorta che l'osservanza dello Shabbat era uno dei dieci comandamenti. Non uccidere, non rubare, li conoscevo. Conoscevo anche, non desiderare la moglie del tuo prossimo (o qualcosa del genere) ma non mi ero mai imbattuta nel fatto che Shabbat fosse così importante da essere uno dei più essenziali principi, principi sui quali è basata tutta la civilizzazione.
A parte il cibo squisito ed abbondante e l'ordine specifico che governava il progredire del pasto, l'ambiente della serata era dilettevole in modo mai provato prima. Ero stata a cocktails in occasioni speciali, come l'apertura di una galleria o il debutto di un nuovo autore, e lì la maggior parte degli ospiti circolavano con bevande in mano, sorridendosi forzatamente l'un l'altro, facendo convenevoli. Queste serate di solito non erano divertenti, ma esservi invitati faceva chic e così andavo. Le cene alle quali ero stato in precedenza avevano l'apparenza di un'atmosfera più rilassata poichè si tenevano in casa di qualcuno, ma anche lì, la gente faceva più spesso che mai, distinzioni sociali cercando di impressionare la persona seduta di fronte. Era sempre un tiro di sollievo andarsene.
Si, ero stata a feste il cui scopo era divertirsi, ma a dire il vero avevo sempre avvertito che ognuno operava duramente per provare che si stava divertendo più dell'altro.
Il mio dinner party di Shabbat era definitivamente diverso. Quando ci ripensai più tardi, fui capace di identificare la differenza di una totale mancanza di pretenziosità e tensione. Nessuno aveva cercato di impressionare l'altro nonostante qualcuno dei presenti avrebbe potuto farlo tranquillamente, essendo a loro volta un professore di medicina, una ricca agente di borsa, un analista di computer, giusto per nominarne alcuni. Queste persone sedevano accanto a giovani liceali o universitari di varie età.
Da ciò che potei capire, qui erano rappresentati tutti i livelli di osservanza religiosa, dagli ospiti abitudinari che sapevano ciò che facevano fino a me, che fissavo tutto con occhi sgranati, cercando di darmi un contegno naturale e sperando di non ridicolizzarmi, sbagliando. Nessuno mi faceva sentire a disagio. Al contrario, tutti erano molto calorosi e disponibili. Verso la fine del pasto il nostro ospite cominciò a cantare una bella e affascinante canzone. La melodia fu subito echeggiata dagli invitati, ed improvvisamente fui trascinata in un ulteriore aspetto di questa cena di Shabbat davvero rimarchevole, un
canto all'unisono. Tutte le canzoni erano in ebraico, e tutte erano, in un modo o nell'altro legate allo Shabbat. Queste zmiròt, così scoprii che erano chiamate, erano anche intercalate da piccole storie e punti filosofici che talvolta approdavano a domande e risposte. Poi veniva passato il brandy, intonato il lechaim, ed io cominciavo a sentirmi come una Alice che era caduta giù nella tana ebraica di un coniglio in un nuovo mondo tutto magico.
Stavo giusto cominciando a sentire che il pasto e le storie sarebbero continuate indefinitivamente quando furono distribuiti dei piccoli libricini per la Bircat HaMazòn. La maggior parte delle persone cantò con le parole ebraiche di questi libricini, all'unisono in una leggiadra melodia. lo lessi parti in inglese ringraziando Id-dio per averci saziato e per tutte le numerose benedizioni che ci aveva concesso.
Verso mezzanotte gli invitati si commiatarono. Presero i loro cappotti e si augurarono l'un l'altro Shabbat Shalom. Fui sollecitata a tornare ancora la prossima settimana, quella dopo e dopo ancora, e mentre mi recavo verso la macchina parcheggiata due strade più lontano, sentii che non volevo andare a casa - non ancora. Devo aver girato intorno per le vie tre o quattro volte pensando esclusivamente a ciò che avevo sperimentato.
In retrospettiva ciò che mi aveva molto colpito era che queste persone, i miei ospiti (estendendosi poi agli altri ebrei osservanti) erano molto coscienti di ogni aspetto delle loro giornate, del cibo che mangiavono, dei vestiti che indossavano e persino in granparte dei loro pensieri.
A primo impatto questa sorta di consapevolezza poteva sembrare molto rigida e soffocante, e sono sicura che ci sono alcuni che direbbero che tutto ciò è molto interessante ma non fà per loro. A quest'ultimi suggerirei di fare un'altra lunga onesta considerazione.
Il fatto è che molta gente ed oserei dire, la maggior parte della gente, vive le proprie vite incosciamente. Coloro che cercano di essere consci delle cose e di controllare la direzione delle proprie vite fari così perchè vogliano migliorare se stessi e la qualità della propria esistenza. Ma questa gente, tra la quale mi includo, si sforza per automiglioramento nel perfezionare il proprio colpo al tennis, il lancio al golf, il gioco del bridge. Nel mio circolo si erano evoluti oltre quel livello al punto che operavono per sviluppare le proprie menti, prendevano lezioni in arti orientali. Lo sviluppo degli Urdu o i principi di astrologia. Io personalmente avevo cercato di coprire tutti i campi, nel perfezionare il mio stile nello sci ed ottenere un dottorato in filosofia dei 18esimo secolo. Non fraintendetemi, non voglio in alcun modo denigrare i vari risultati da me ottenuti (anche se avrei desiderato che qualcuno mi avesse detto che comunque non sarei mai arrivata alle Olimpiadi). È solo che dopo un pò fui colpita come un fulmine a ciel sereno, nel considerare che io e molta della gente che conoscevo si sforzavano duramente, in un campo o nell'altro di raggiungere eccellenza accademiche o particolari abilitazioni ma nessuno era interessato al proprio sviluppo di essere umano. Il corollario affascinante di tutto questo è che al tempo stesso, molte di queste persone erano sottoposte a terapia psicoanalitica. Sapevano che avevano bisogno di direzione, guida nelle proprie vite e pagavano qualcuno dai $50 ai $100 l'ora per poter parlare e dire quanto erano infelici. Sbandavano emotivamente, che molto spesso significava spiritualmente, anche se i terapisti non amavano utilizzare questi termini.
Non sono sicura che tutto questo era veramente filtrato nella mia coscienza in quella sola serata, ma so che i miei pensieri ritornarono spesso a quella sera nel corso delle settimane seguenti. I miei amici Lubavitchers chiamarono per invitarmi ancora, ma il venerdì sera seguente andavo ad un concerto e quello dopo ancora avevo progettato di vedere un film. Promisi di tornare il terzo venerdì.
Fui salutata come una vecchia amica. Tutti quanti furono così felici di vedermi come io fui di trovarmi lì. Questa volta ebbi più il senso di ciò che stava succedendo e di cosa aspettarmi, e devo confessare che alla fine di quella serata sentii che in qualche modo avrei voluto che Shabbat divenisse una parte integrante della mia vita. Sembrava un pò come tornare a casa per poter togliere le scarpe strette, sdraiarsi, tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi. Certamente, sapendone così poco, a parte che mi piaceva questa celebrazione e queste persone, avrei dovuto studiare cosa fare e perchè, poichè capii che qualunque cosa fatta senza capire il significato non dura a lungo.
E così fu. Con ogni lezione che frequentai ed ogni tavola delle festività e Shabbat alle quali sedetti sentii un legame più forte, non solo con questi nuovi amici, ma in modo molto interessante, ai miei genitorì, ai miei nonni, alla mia eredità ebraica nell'insieme e mi sentii fiera dei pensiero che un giorno avrei costituito un legame fra loro e le generazioni future di ebrei osservanti, una catena che ero stata molto vicina dall'interrompere.
Ma l'accertare gli ampi concetti filosofici dell’ebraismo non fu difficile come il cercare di osservare Shabbat su un piano personale ed individuale. La prima cosa che decisi di fare fu di andare in sinagoga, di Shabbat mattina. Ero ancora troppo timida o troppo orgogliosa per accettare inviti a dormire la notte, e avevo deciso di provare a non guidare di Shabbat.
Ciò che provai a fare successivamente per sentire lo Shabbat mio, fu di accendere le candele il venerdì sera. Amavo il bagliore che riflettevano nella stanza ed il modo in cui mi sentivo quando le accendevo e dicevo la preghiera. Si, sembravo un pò la versione moderna della matrona del Violinista sul Tetto, sperando che avevo diritto a dire come lei aveva fatto in scena: “Possa il Sign-re proteggermi e difendermi...” Tuttavia accendere le candele al momento giusto, diciotto minuti prima del tramonto, mi diede un bel pò da fare. Chiesi al mio capo dipartimento di non schedarmi nelle classi del tardo venerdì pomeriggio, e ciò causò un pò di problemi.
Dopo aver puntato i piedi, la mia richiesta venne accettata. Così adesso potevo accendere le candele all'ora giusta, ma ciò non voleva dire che dopo sarei rimasta a casa. Quella fu la cosa successiva da fare, poichè dopo di ciò l'immagine dei due lumi incandescenti era costantemente vivida agli occhi della mia mente. Il primo venerdì sera che rifiutai un appuntamento, spiegando che dovevo rimanere a casa per osservanza religiosa, mi sentii grande! Come se avessi veramente rotto il ghiaccio, solo per avere ripensamenti quando dopo aver acceso le candele sedevo a tavola per cenare da sola. Non che dovessi aver compagnia ad ogni pasto, ma questo non era esattamente ciò che Shabbat avrebbe dovuto essere, mi mancava il clima festivo. Feci il possibile, ma ero molto felice quando squillava il telefono.
Da allora in poi, cercai di rendere Shabbat un pò più festivo. Non avrei rinunciato all'osservanza dello Shabbat senza aver tentato in tutti i modi di poterlo fare. Cucinai qualcosa di speciale giovedì notte e ricoprii con una tovaglia bianca ed i miei servizi migliori la tavola della cucina. Ma a dire il vero, i miei sforzi servirono solo ad aumentare quel sentimento ‘tutta ben vestita e non saper dove andare’. Mi sentivo abbastanza legata, perchè ora più che mai mi sembrava sbagliato ed ipocrita accendere la televisione, rispondere al telefono o tirare fuori il ricamo. Invece carpii una farcita novella che tempo prima avevo rinunciato a leggere poichè sapevo che comunque non avrei avuto abbastanza tempo di concluderla. Bene, ora avevo tempo, tanto ternpo, un'intera serata infatti, così mi immersi nelle pagine di una lunga saga di famiglia.
La mia mente comunque non rimase a lungo assorbita dalle vicissitudini di questa particolare famiglia. I miei pensieri continuarono a smarrirsi sulla mia vita e su come la stavo gestendo. Molte questioni filosofiche mi si intrecciavano davanti, su cosa volevo dalla mia vita e come avrei fatto ad ottenerla. Se solo per formulare le domande ci volevano ore, per rispondervi ci volevano settimane, poichè fu solo in retrospettiva che potei vedere ciò che era successo fino ad allora.
Volevo, penso, ciò che quasi tutti vogliono dalla vita - esser felice e fare la cosa giusta. Il grande problema sopraggiunse quando pensai a come arrivare allo scopo. Era ovvio che il più che avevo fatto fino a poco tempo prima era stato controproducente. Prima di incontrare l’ebraismo, ed ero la prima ad ammetterlo, avevo vissuto la mia vita superficialmente, scambiando attività per significato e forma per sostanza. Dopo la mia introduzione allo Shabbat, sentii che avevo ricevuto un regalo prezioso. La vita mi era ritornata nelle mani nel senso che ora ero io a scegliere, piuttosto che essere trascinata dai soliti conformismì altrui. Ero stata capace di arrestare il perpetuo carosello e rivalutare. Ero libera di scegliere e dirigere e scelsi il giudaismo. Provai una brama per tutto quello che avevo visto e sentito fino ad ora. Perchè dunque risentivo la solitudine venerdì sera e i sabati di Shabbat? La risposta fu, che questo era il risultato di uno sbaglio causato da me stessa, qualcosa che mi infliggevo personalmente.
Quando ero stata completamente non osservante, quei venerdì notte a casa degli amici Lubavitch erano stati interessanti calorosi e invitanti. Una volta compreso che non dovevo veramente guidare di Shabbat, mi imposi l'isolamento perchè non volevo rimanere lì la notte. Le ragioni erano molte: non volevo impormi sulla loro ospitalità, non volevo accettare tutto in una volta, non mi sentivo di fare una valigia, non ero sicura che i miei vestiti fossero appropriati, avrebbero visto che non sapevo ciò che facevo ecc. Le ragioni erano molte, molte e futili, e ci volle un salto di fede per superarle. Poi tutto fu a posto. Non era ancora facile ma almeno ero sul binario giusto e non vagavo più.
Cercai una delle donne della mia età, che avevo visto a casa dei miei amici durante molti di quei venerdì sera, e cominciai a parlare con lei, a dire ciò che pensavo e provavo. Venne fuori che anche lei aveva avuto simili esperienze e timori. Insieme ridemmo molto di questo e diventemmo amiche. E lei mi spiegò delle cose, per primo che non mi stavo imponendo ai nostri ospiti Lubavitch - loro mi avevano invitato. Non dovevo accettare tutto in una volta - ciò era troppo pesante, un fardello per chiunque. Era preferibile cominciare lentamente in modo di poter capire, digerire e assimilare ciò che apprendevo. I miei vestiti, con piccole modificazioni sarebbero andati bene, ma sì, avrei dovuto fare una valigia o almeno un borsone per la notte! E ridemmo ancora.
Trovando una amica e accorgendomi che Shabbat non doveva esser praticato in isolamento furono i due passi più significativi nel processo del rendere significativa la mia vita.
L’Ebraismo è una religione sociale. L'ascetismo non è incoraggiato. Si può pregare da soli, ma la preghiera collettiva è efficace. Ed infine, si può fare Shabbat soli, ma non è in alcun modo vicino all'essere bello e significativo come un Shabbat condiviso con altri, sia quali ospiti in casa di qualcuno, come fui spesso per molti anni, sia come aver ospiti alla propria tavola, come ho il privilegio di fare ora.
Bisogna saperlo fare e poi farlo bene per meritare la specie di pace che viene con lo Shabbat. Non fu facile, ma per me valse la pena.