La Mitzvà di Hafrashàt Challà
H-shèm parlò a Moshè, dicendo: | וַיְדַבֵּר ה' אֶל־מֹשֶׁה לֵּאמֹֽר |
«Parla ai figli di Israèl e di’ loro: “Non appena giungerete alla terra a cui vi sto conducendo, | דַּבֵּר אֶל־בְּנֵי יִשְׂרָאֵל וְאָֽמַרְתָּ אֲלֵהֶם בְּבֹֽאֲכֶם אֶל־הָאָרֶץ אֲשֶׁר אֲנִי מֵבִיא אֶתְכֶם שָֽׁמָּה: |
mangiando il pane della terra, preleverete un’offerta per H-shèm. | וְהָיָה בַּֽאֲכָלְכֶם מִלֶּחֶם הָאָרֶץ תָּרִימוּ תְרוּמָה לַֽיהוָֹֽה: |
Preleverete la prima parte dei vostri impasti; come l’offerta [dei prodotti] del granaio, così la offrirete. | רֵאשִׁית עֲרִסֹתֵכֶם חַלָּה תָּרִימוּ תְרוּמָה כִּתְרוּמַת גֹּרֶן כֵּן תָּרִימוּ אֹתָֽהּ: |
Offrirete, per le vostre generazioni, una parte dei vostri primi impasti, dandoli ad H-shèm in offerta. | מֵֽרֵאשִׁית עֲרִסֹתֵיכֶם תִּתְּנוּ לַה' תְּרוּמָה לְדֹרֹתֵיכֶֽם |
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Al momento dell’ingresso del popolo ebraico in Eretz Israèl entrò in vigore la mitzvà di hafrashàt challà, che consisteva nella prelevazione di una piccola parte dell’impasto destinato alla cottura; esso veniva quindi donato ai cohanìm, i servitori di Hashèm, consentendo loro di condurre un’esistenza dignitosa e di dedicarsi al loro compito senza preoccupazioni.
Benché la Torà non precisi la quantità da prelevare, i saggi stabilirono che coloro che cuocciono il pane per uso domestico sono tenuti a prelevare un ventiquattresimo dell’impasto, mentre i fornai un quarantottesimo.
Il precetto della hafrashàt challà, così come è riportato nella Torà, è in vigore quando la maggior parte del popolo ebraico risiede nella sua terra. Fintanto che ciò non si verifica, la mitzvà acquista il suo vigore in virtù di una successiva legislazione rabbinica. I saggi stabilirono infatti che si è tenuti a prelevare un pezzetto dell’impasto della misura di “un’oliva” anche in diaspora e anche quando solo una piccola parte del popolo ebraico risiede in Eretz Israèl, affinché la mitzvà non venga dimenticata.
Solo ai cohanìm in stato di totale purità rituale era consentito mangiare il pezzetto prelevato dall’impasto. Tuttavia, poiché oggi siamo tutti potenzialmente impuri, lo è anche l’impasto prelevato, che pertanto non può essere né donato ai cohanìm né impiegato ad alcuno scopo. Questo è il motivo per cui esso viene bruciato.
Il pane e il cibo in generale garantiscono la sussistenza dell’uomo, e da essi egli dipende. Pertanto, la mitzvà di hafrashàt challà ha una valenza costante e reca benedizione alla nostra sussistenza quotidiana.
L’elevazione del nostro operato
Poche rimangono indifferenti alla fragranza del pane appena sfornato, soprattutto pensando al notevole sforzo investito nella sua preparazione!
Abbiamo setacciato la farina, mischiato gli ingredienti con cura e amore, impastato, lasciato lievitare e infine introdotto speranzose l’impasto nel forno.
Non ci si stupisca quindi che, alla vista del risultato (si spera soddisfacente), un pizzico di orgoglio si faccia spazio nel nostro animo, facendoci sentir tanto bene per il “capolavoro” creato. È anche facile attribuirne il successo ai più disparati “elementi naturali”: una ricetta speciale, una particolare spezia aggiunta con la propria fantasia, l’esperienza, l’abilità...
Ed è proprio qui, fra l’impasto e il forno, che ci viene richiesto di compiere la mitzvà di hafrashàt challà, di prelevare una parte dell’impasto e di consacrarlo ad Hashèm; di lasciare un attimo la presa dal nostro operato, fermarci un istante e ricordare che non siamo noi a creare tutto ciò, bensì la benedizione di Hashèm. Quella benedizione che si posa su ogni cosa – anche sul pane da noiprodotto.
Come la donna con l’impasto in cucina, il contadino ha il dovere di donare una parte del suo raccolto. Egli investe sforzi enormi nel campo e nell’attività agricola iniziale, per poi attendere con impazienza di vedere i frutti della sua fatica. Egli tuttavia è conscio in ogni istante della sua dipendenza dalla bontà di Hashèm e pertanto prova grande umiltà dinanzi alle forze della natura, pregando al Creatore di lasciar scendere piogge abbondanti e benefiche. Al momento opportuno, poi, l’agricoltore preleverà una parte dela suo raccolto e la donerà ai cohanìm e ai leviìm.
La hafrashàt challà ci consente tuttavia di compiere un passo in più, ricordandoci che la Provvidenza Divina non si manifesta soltanto nella Sua vittoria sulle forze della natura; essa ci accompagna infatti in ogni ambito della nostra esistenza, anche in quello della semplice produzione dell’impasto nella nostra piccola cucina, donando benedizione affinché esso riesca. Questo è il motivo per cui non si preleva una parte della farina, bensì dell’impasto prodotto con fatica dalle nostre mani. Si esprime così la consapevolezza che il Creatore è presente in ogni aspetto ed evento della nostra esistenza e benedice il nostro operato.
Venga presto il giorno in cui Mashìach si rivelerà, costruirà il Terzo Tempio, radunerà gli esuli di Israèl e potremo nuovamente compiere la mitzvà di hafrashàt challà come all’origine!
“Le suppliche che le donne di Israèl recitano prima e dopo l’accensione delle candele di Shabbàt affinché Hashèm irradi il loro focolaio di armonia domestica e di soddisfazione dai figli; le preghiere che precedono e seguono la hafrashàt challà affinché Hashèm conceda al marito e alla famiglia prosperità economica e la casa sia colma di ogni bene, perché si possano sostenere gli studiosi di Torà e donare generosamente tzedakà; le preghiere che precedono e seguono l’immersione nel mikvé, affinché Hashèm doni figli buoni e sani, che a loro volta cresceranno quali persone rette – tutte queste usanze sono Torà!”.
(Likkuté Dibburìm)
Tradotto dal libro לקראת חלה, per gentile concessione delle autrici