In viaggio verso Pietroburgo

Tutta la città di Lyozna rimase stupita nel sapere che il Rebbe Shneur Zalman sarebbe stato arrestato e condotto a Pietroburgo per essere ascoltato in tribunale. Lo stupore si mutò in terrore quando i soldati si piazzarono intorno alla casa del Rebbe. Quest’ultimo fu condotto verso la capitale nella vettura nera che si usava per i condannati sospettati dei delitti più gravi, in particolare per i casi di rivolta verso lo zar.

Sotto scorta, la vettura si diresse verso Pietroburgo. Fece il viaggio senza sosta. Era di venerdì ed era quasi ora del tramonto. Il Rebbe chiese al capo della scorta il permesso di fermarsi in una locanda per poter trascorrere lo Shabbat. Ma l’ufficiale lo prese in giro.

“Sei un prigioniero. Con quale diritto dai ordini? Dobbiamo proseguire fino a Pietroburgo seguendo le direttive che mi sono state date.”

“Non può però obbligarmi a trasgredire lo Shabbat!”

Ma l’ufficiale fece finta di non sentire e decise di fermarsi soltanto per il cambio dei cavalli quando essi sarebbero stanchi.

Il Rebbe rimase in silenzio. Poco dopo, si ruppe uno degli assali e fu necessario interrompere il viaggio per permettere ai soldati di ripararlo. Il viaggio riprese, ma poco dopo si ruppe un altro assale. Questo fu riparato, ma poco più lontano, cadde un cavallo che morì subito.

Vedendo tutto ciò e rendendosi conto delle forze sopranaturali del Rebbe, l’ufficiale non osò più rifiutare nulla. Ordinò quindi al cocchiere di cercare una locanda per permettere al Rebbe Shneur Zalman di trascorrere lo Shabbat.

Una domanda sulla Bibbia

All’uscita dello Shabbat, si riprese il viaggio verso Pietroburgo. Lì, il Rebbe fu messo in isolamento in una cellula destinata ai condannati accusati dei più gravi crimini. Quando si ritrovò da solo, il Rebbe si mise a pregare e a studiare la Torà.

Era nel bel mezzo ella sua preghiera quando si aprì la porta. Un emissario del ministro incaricato dell’affare entrò nella cella. Vedendo il Rebbe pregare, capì che si trovava di fronte a un uomo santo. Commosso, rimase a lungo in piedi a contemplare il Rebbe mentre pregava. Poi, si rivolse a lui con grande rispetto. Fu subito evidente per lui che un uomo di quel calibro non poteva essere il pericoloso criminale che brigava per il trono dello zar.

L’uomo conosceva la Bibbia e l’Ebraismo, chiese pertanto al Rebbe:

“Ci sono alcuni versetti della Torà che leggo e rileggo ma non li capisco molto bene. Per esempio, quando Adamo commise il peccato, D-o lo chiamò e gli chiese: ‘Dove sei?’ Adamo rispose ‘Eccomi’. Qual è il significato di questa domanda divina? Non sapeva D-o dove si trovava l’uomo?”

Il Rebbe ricordò il commento di Rashì a proposito di questo versetto ma l’emissario del ministro rispose che conosceva questa spiegazione. Tuttavia egli desiderava conoscere la spiegazione del Rebbe stesso.

“Credi che la Torà sia eterna, che possa trascendere lo spazio e il tempo?”

“Ci credo.”

“Ecco la spiegazione: Quando un uomo raggiunge un’età precisa (e il Rebbe citò l’età esatta del suo interlocutore), D-o si rivolge a lui facendogli una domanda: ‘Dove sei?’

A quale punto sei moralmente? Lo sai per quale motivo sei stato creato sulla terra? Quale missione ti è stata affidata? E che cosa hai realizzato?”

La visita dello Zar

Questo funzionario fu colpito dalla risposta del Rebbe. Fu chiamato dallo Zar per fare un resoconto del incontro e gli raccontò gli scambi che aveva avuto con lo strano prigioniero. Lo zar ne fu incuriosito e decise di andare in persona a trovare il Rebbe Shneur Zalman. Tuttavia non voleva che la visita fosse di dominio pubblico, decise quindi di non rivelare chi era. Mise allora dei vestiti comuni ed entrò nella cella.

Quando entrò lo zar, il Rebbe si alzò e disse la benedizione che si pronuncia davanti a un re. Gli si rivolse con i massimi onori, e lo zar non ebbe più nessun dubbio, il Rebbe l’aveva riconosciuto anche se lui aveva provato a nascondere la propria identità. “Come mai sai chi sono?”

“La monarchia terrestre è all’immagine della monarchia celeste”, rispose il Rebbe. “Appena Lei è entrato, ho capito che mi trovavo in presenza di un re. Non ho mai provato questa sensazione davanti agli impiegati del carcere o ai giudici.”

L’ora esatta

Oltre ai chiarimenti ottenuti riguardo gli aspetti collegati direttamente al processo, i giudici poterono costatare quanto fosse grande in vari campi la saggezza del Rebbe. E così lo chiusero in una camera buia illuminata solo dalla luce debole di una candela. I raggi del sole e la luce del giorno non vi penetravano in nessun modo. Volevano verificare cosi se il Rebbe sarebbe stato in grado di distinguere il giorno dalla notte. Un giorno, alle due del pomeriggio, gli chiesero: “Perché non vai a dormire? Sono le due di notte!”

“Non è vero”, rispose, “sono esattamente le due e cinque del pomeriggio.”

“Come fai a saperlo con cosi tanta precisione?”

“Perché ogni ora del giorno corrisponde a una combinazione del nome divino Havaya e ogni ora della notte a una combinazione del nome Ado-n-ai. Grazie a queste combinazioni è possibile determinare l’ora con precisione.”

La kasherut in carcere.

Il Rebbe Shneur Zalman fu incarcerato nella fortezza Petropalov. Ma nessuno sapeva dove si trovasse e né se fosse ancora vivo. Però D-o diede ai chassidim di Pietroburgo il modo di scoprire il luogo dove fosse prigioniero il Rebbe.

Una volta, l’emissario del ministro disse al Rebbe: “Mi piacerebbe farti una cortesia, anche piccola. Che cosa posso fare per te?”

“Potresti far sapere alla mia famiglia che sono vivo?”

“Come posso? Non sono gli Ebrei i tuoi detrattori? Se mi rivolgessi a un Ebreo, come potrei sapere se si tratta di un chassid o di un oppositore alla chassidùt?”

“Se tu incontrassi un uomo con vestiti spaiati, sappi che si tratterebbe di mio cognato che si chiama Israele Kasik. Prima che io fossi arrestato gli avevo detto di andare subito a Pietroburgo. Sono certo che egli mi ha ubbidito.”

L’emissario fu colpito dall’affermazione del Rebbe Shneur Zalman. Fece la promessa di trasmettere il messaggio e la mantenne. Girò per le vie della città e incontrò a un certo punto un uomo che corrispondeva alla descrizione di Israele Kasik. Gli chiese: “Come ti chiami?”

Reb Israel aveva viaggiato col passaporto di qualcun altro. Diede il nome iscritto sul passaporto. L’emissario disse: “Bugiardo!”

E andò via.

Reb Israele Kasik era stupito di tutto ciò. Ne parlò con i chassidim e tutti arrivarono alla conclusione che qualcosa si nascondeva dietro tutta questa faccenda. Decisero che l’indomani Reb Israele Kasik sarebbe andato in giro per la città. Se incontrasse quell’uomo, egli gli avrebbe detto il suo vero nome. E cosi fu. L’emissario andò dal Rebbe e gli disse di aver incontrato un uomo che rispondeva esattamente alla descrizione di suo cognato ma che aveva un altro nome. Il Rebbe Shneur Zalman capì che suo cognato aveva preso in prestito un passaporto e chiese di provarci un’altra volta.

L’uomo accettò. Mentre andava per la città, incontrò Israele Kasik e gli chiese il suo nome. Il cognato del Rebbe rivelò la sua vera identità e l’uomo non rispose. Andò via piano e il Rebbe lo seguì. Andò verso casa sua e entrò, mentre Reb Israel rimase fuori, improvvisamente, un’anguria cadde dalla finestra. Reb Israel capì che gli era destinata. La raccolse e si recò a casa di uno dei chassidim. Lì, aprirono l’anguria e trovarono un biglietto scritto dal Rebbe stesso:

“Ascolta Israel, l’eterno è nostro D-o, l’Eterno è Uno”

Vennero a sapere cosi che grazie a D-o, il Rebbe era vivo e che c’era ancora speranza. Ma non sapevano ancora dove fosse prigioniero. Lo seppero solo qualche giorno dopo.

Difatti, non avendo a disposizione cibi kasher, il Rebbe non mangiava da diversi giorni. Il responsabile del carcere pensò che temeva il verdetto e che digiunava per lasciarsi morire. Gli chiese ripetutamente di alimentarsi e siccome non gli dava ascolto mandò i soldati per obbligarlo a mangiare. Ma il Rebbe chiuse con forza la bocca e fu impossibile per loro portare a termine il loro compito. L’emissario del ministro venne e vide quello che stava succedendo.

“Che succede qui? Chiese. Non si può obbligare un uomo cosi. Bisogna tentare di convincerlo.”

Si girò verso il Rebbe e chiese:

“Perché non mangia? E possibile che Lei sia prosciolto dal verdetto. Anzi, è molto probabile. Se lei rifiuta di mangiare, sarà responsabile della sua morte e, secondo la legge d’Israele, lei non sarà nel mondo futuro.”

“Qui non c’è cibo kasher” rispose il Rebbe, “e non se ne parla che io mangi taref anche se dovessi perdere la mai parte nel mondo futuro.”

“Se io le procurassi del cibo kasher, lei avrebbe fiducia?”

“Per il momento, non ho fame poiché ho lo stomaco chiuso a causa del digiuno. Ho bisogno di qualcosa che mi tiri su. Se lei mi trovasse una medicina preparata da un Ebreo, io lo prenderei.”

“Avrebbe fiducia se fossi io a portargliela?”

“Se lei la ricevesse dalle mani di un Ebreo e se nessuno tranne voi la toccasse fino a quando arrivasse a me, io mangerò.”

A Pietroburgo, la capitale, viveva uno dei grandi chassidim, il ricco Mordechai di Lyepele, un uomo rispettato da tutti i ministri per la sua onestà e la sua rettitudine. Il funzionario gli chiese di preparare una medicina kasher destinata a un Ebreo. Il Rebbe Mordechai sentì che si trattava del Rebbe Shneur Zalman. A chi altro poteva essere destinata questa medicina? Quindi la preparò e mise tra questa e il piatto un biglietto con una domanda: “Per chi è questa medicina? Dov’è il destinatatario?”

Firmò col proprio nome. L’emissario del ministro prese il piatto con il contenuto e lo portò al Rebbe che trovò il biglietto.

Mangiò ciò che c’era nel piatto ma ne lasciò un po’. Mise sotto un biglietto sul quale aveva scritto: “Sono quello che mangia e sono a Petropavlov.”

Poi, chiese al funzionario di portare dietro la medicina. L’uomo consegnò il piatto al Rebbe Mordechai il quale trovò il biglietto. Allora tutti i chassidim furono sollevati e il Rebbe Mordechai preparò ancora una medicina per il Rebbe.

La benedizione alla luna.

Durante tutto il periodo della prigionia del Rebbe nella fortezza di Petropavlov, furono formalizzati i capi d’accusa in vista del processo. Quest’ultimo non si svolse a Petropavlov bensì a Taynem Soviet”. Lì il Rebbe era stato regolarmente condotto per essere sentito. Un fiume, la Niba, separava i due luoghi e un soldato glielo faceva attraversare in barca.

Una volta, il Rebbe volle cogliere l’occasione per dire la benedizione alla luna. Chiese al soldato di fermare la barca ma questo rifiutò.

“Se voglio, posso fare fermare questa barca”, precisò il Rebbe. Ma l’uomo continuava a rifiutare.

Improvvisamente, la barca si fermò e il Rebbe recitò il Salmo precedente la benedizione. Poi, la barca riprese il viaggio e il Rebbe chiese ancora di fermarla poiché voleva compiere la mitzvà facendo ricorso alle vie naturali.

“Che cosa mi dai in cambio?” Chiese la guardia.

Il Rebbe gli consegnò il testo di una benedizione che egli stesso aveva scritto su un biglietto. Allora il soldato fermò la barca e il Rebbe disse la benedizione.

Questo soldato divenne ricco e famoso, egli visse molti anni. Aveva messo il biglietto in un medaglione di vetro con cornice d’oro. Era molto importante per lui. Il Rebbe Dov Zeev, chassid di Yekaterinoslav, vide questo biglietto a casa del figlio del soldato e poté leggerlo.

Il 19 Kislev.

Lo zar si accorse molto rapidamente che le accuse rivolte al Rebbe non erano fondate. Chiese di liberarlo e l’autorizzò addirittura a continuare a insegnare la chassidut come lo aveva fatto prima.

Dopo 53 giorni di detenzione, il martedì 19 Kislev 5548 (1799), il Rebbe fu informato della sua liberazione. Stava leggendo dei Tehilim e stava proprio recitando il versetto (Salmi 55,19): “Egli ha liberato la mia anima nella pace”:

Da quella data, numerosi Ebrei festeggiano ogni anno il 19 Kislev in quanto Festa della Liberazione e Rosh Hashana della Chassidùt.

Adattato da “Il Rebbe Shneur Zalman di Lyadi e la sua generazione” da Haim Mellul, ed. Beth Loubavitch

Tratto da Pocket Torah, una pubblicazione di Chabad Piazza, a cura di Chabadroma.org