Nei versi che introducono il Matàn Torà e i Dieci Comandamenti, D-o dice a Moshè: “…Così parlerai alla casa di Giacobbe e dirai ai Figli d’Israele” (Esodo 19:3). Il verso sembra ridondante: la “casa di Giacobbe” e i “Figli d’Israele” non sono forse la stessa cosa? È nota l’interpretazione di Rashì: la “casa di Giacobbe” si riferisce alle donne, i “Figli d’Israele” agli uomini. D-o dice a Moshè di parlare alle donne in un tono delicato, come indica il verbo “parlare”. Il verbo “dire”, riferito agli uomini, significa trasmettere qualcosa in tono più severo. Rabbi Chaim ibn Attar, commentatore e cabalista del XVIII secolo, propone una spiegazione diversa.
Dire e Parlare
Egli sostiene che, a un livello profondo, il verso indica i diversi modi con cui Mosè si deve rivolgere a tutto il popolo nel suo insieme. In genere ci sono due modi per servire D-o, ciascuno dei quali reca vantaggi e svantaggi. Il primo livello consiste nel servire D-o per timore, come un servitore completamente sottomesso al suo padrone. In realtà, è un alto livello ma non completo. Il secondo consiste nel servirLo per amore, ma comporta il rischio di sentirsi fin troppo in confidenza con D-o, perdendo la dovuta reverenza e acquisendo una leggerezza che porterebbe inevitabilmente a mancanze nell’osservanza della Sua volontà. La parola “Giacobbe” in ebraico deriva da “tallone” e allude a una persona che si trova ad un livello spirituale inferiore, che scaturisce solo dal timore. Il vocabolo “Israèl” è un anagramma di “li rosh”, “la testa appartiene a me”, ed è il nome che fu dato a Ya’akòv dopo che ebbe prevalso contro il malvagio Esaù. La parola “Israèl” allude agli ebrei il cui rapporto con D-o è più elevato, ispirato da amore sincero e incondizionato. In realtà, amore e timore sono entrambi ingredienti necessari a un rapporto santo col Sign-re e per questo D-o dice a Mosè di rivolgersi al popolo in un modo che li comprenda entrambi. Per trovare il giusto equilibrio, ogni ebreo deve riflettere sul modo in cui è portato per natura a servire D-o e incorporarvi le caratteristiche opposte. Alla casa di Giacobbe, ossia all’ebreo che Lo serve esclusivamente per timore, Mosè deve “parlare” in tono amorevole, poiché l’ebreo “Giacobbe” deve mitigare il suo servizio, mosso esclusivamente da timore, con una dose generosa di amore. Ai figli d’Israèl, che Lo servono esclusivamente per amore, Mosè deve “dire”, in tono più rigido, poiché l’ebreo “Israèl” deve coltivare anche un po’ di sano timore e riguardo verso D-o.
Su Ali di Aquile
Il verso successivo comincia con le parole “Voi avete visto quello che ho fatto in Egitto…” (Esodo 19:4) e suscita contemporaneamente amorevolezza e trepidazione. Quando si medita sulle piaghe e sulle dure punizioni che D-o ha inflitto all’Egitto, si sviluppa un senso di tremore e soggezione. Quando ci rendiamo conto che D-o ha ribaltato i cieli e le acque per amor nostro, nel cuore s’introducono anche sentimenti di affetto e profonda riconoscenza. È opportuno che sia l’amore a prevalere, e il Sign-re stesso ce ne dà esempio, come indica la conclusione del verso: “…Vi ho trasportati su ali di aquile e vi ho portati a Me.” (ibid.). Come l’affetto dell’aquila che si prende cura dei suoi piccoli, così è l’affetto di D-o nei nostri confronti.
Di Chana Slavaticki, chabad.org
Parliamone