Come descrivere le lacrime di gioia di David Shechter, 57 anni, quando assistette al Pidyòn-Habèn (riscatto simbolico del primogenito da un Cohèn) del figlio di suo figlio Shimon Menachem Mendel, che ebbe luogo a Gerusalemme qualche mese fa? Nato trenta giorni prima, il bébé, naturalmente, non poteva rispondere “Amèn!” quando suo padre pronunciò la tradizionale benedizione del riscatto al Cohèn, mentre gli consegnava la somma simbolica di cinque sicli d’argento. Ma, a proposito chi era il Cohèn?

È che David Shechter fece venire il Cohèn specialmente da Mosca! Ma perché, mancano forse Cohanìm a Gerusalemme?

La storia di David Schechter comincia a Odessa, in Ucraina. Lì, in una scuola della repubblica sovietica, era l’unico alunno ebreo della sua classe. Adolescente, si avvicinò all’ebraismo assieme ad alcuni compagni di scuola, ebrei come lui. Se questo genere di iniziativa è ben ardua in un contesto normale, lo era a fortiori in un paese dove la kasherùt era praticamente inesistente. Il problema principale consisteva nel procurarsi carne kashèr. “Qualche anno dopo, nel 1984, racconta David, mi recai a Leningrado e lì conobbi rav Itche Kogan, che mi insegnò come praticare la shechità, la macellazione rituale. Fu rav Rephael Nimutin che mi sottopose agli esami che mi permisero di diventare shochèt. Prima di congedarmi, chiesi un altro favore a rav Kogan: mia moglie doveva partorire imminentemente e se fosse stato un maschio, avrei avuto naturalmente bisogno di un mohèl (rabbino circoncisore) per il Brit-Milà, la circoncisione. Mi promise di accollarsi questo incarico. Poi tornai a Odessa.”

Circoncidere un neonato all’ottavo giorno della sua vita, in tempi in cui il KGB, la polizia segreta dell’URSS, sorvegliava tutto, sembrava missione impossibile: molti ebrei in effetti venivano arrestati per qualsiasi tipo di attività considerata reazionaria o medioevale, che fosse a Mosca o a Odessa. Qualche giorno dopo il suo ritorno a casa, suo figlio nacque. “Sapevo che non c’erano, in tutta l’Unione Sovietica, più di due mohalìm, dotati dell’audacia di praticare la circoncisione nonostante i pericoli che incorrevano per tale attività. Senza l’aiuto di rav Kogan, non potevo neanche sognarmi un Brit-Milà all’ottavo giorno come Hashèm ha comandato. Riuscii a informare il rav della nascita del piccolo (e non c’erano gli smartphone a quei tempi!) e pregai che potesse mandarmi un mohèl.

La tensione era alta. Non sapevo se sarebbe giunto o meno un mohèl. E, nel caso affermativo, potevamo, il rav ed io, rischiare l’arresto. Le autorità erano state informate della nascita di mio figlio poiché eravamo già una famiglia “sospetta” e pertanto sorvegliata da vicino e 24 ore su 24. All’improvviso, in pieno giorno, bussarono alla porta: era rav Kogan con un mohèl! In pochi minuti, la Milà fu eseguita nel silenzio più assoluto e nella massima clandestinità. Tuttavia, passò un’ora che qualcuno bussò di nuovo alla porta. Era una signora, sedicente dottoressa che desiderava esaminare lo stato di salute del bambino. Lo esaminò, verificò i parametri abituali, aprì il pannolino e... non notò niente o non volle notare niente. Fatto sta che se ne andò senza constatare niente.

Per miracolo David Schechter non fu convocato dal KGB. Quanto a rav Kogan, sapeva che gli agenti di polizia l’avrebbero aspettato ai piedi dell’aereo a Odessa perché sospettavano lo scopo del suo viaggio. Perciò preferì tornare a casa via Kishinev per evitare interrogatori e un probabile arresto.

David Shechter si trasferì qualche anno dopo in Israele e quando il suo proprio figlio ebbe un figlio maschio, David insistette che il Cohèn per il Pidyòn-Habèn fosse proprio rav Kogan. “Per me, spiega, era una questione di principio, il cerchio era chiuso, un cerchio costellato da trappole, eppure vittorioso. Non mi sarei mai potuto sognare all’epoca, di procedere al Pidyòn di mio nipote nella pace e tranquillità, nell’allegria e la libertà con, per giunta, rav Kogan affianco a noi, qui, a Gerusalmme!”