“Mamma, mamma!” piangendo disperatamente Naomi corse in camera mia in mezzo alla notte, per la quarta volta in una settimana. Un incubo ricorrente continuava a farla svegliare ogni notte. “Era lo stesso sogno?” le chiesi, e sapendo già quale sarebbe stata la risposta mentre mi sfregavo gli occhi dalla stanchezza. Naomi annuì con un’espressione impaurita sul suo viso, avevo ascoltato i dettagli del sogno numerose volte, era un incubo tipico di un bambino. Un uomo cattivo vestito tutto di nero entrava nella nostra casa, andava verso la sua stanza e le chiedeva di andare con lui. Quando lei rifiutava lui le correva dietro fino a che ad un certo punto lei cadeva ed il mostro cercava di afferrarla. A quel punto si svegliava urlando.

Nei giorni che seguirono, sia io che mio marito Isser cercammo di ragionare con nostra figlia, che allora aveva sei anni. Le raccontammo le parole dei Saggi secondo i quali i sogni non hanno significato, Isser le disse come a volte capiti di vedere delle immagini o di sentire degli eventi durante il giorno che la nostra mente poi mischia durante il sonno creando gli incubi. Le spiegammo che i sogni non hanno nessun potere su di noi e che non abbiamo nulla da temere. Le dicemmo di tutto e di più, ma i suoi occhi ci fecero capire che non la stavamo convincendo né toccando in nessun modo.

Le suggerimmo di dire delle parti in più delle preghiere dello Shemà prima di coricarsi, ma lei già faceva tutto questo; le mostrammo che le porte di casa erano chiuse a chiave e che le finestre della sua stanza al secondo piano erano impenetrabili, ma ancora non era convinta. Finalmente le suggerii di discuterne con Sabba, mio padre.

Mio padre, Rav David Shochet, un rabbino impegnato in seri affari comunitari, prese Naomi pazientemente sulle ginocchia e le diede la sua completa attenzione chiedendole tutti i sordidi dettagli del suo incubo. Quando finì le chiese, “Naomi, vuoi che ti spieghi il tuo sogno?” e lei annuì.

“Il mostro è lo yetzer harà, l’inclinazione malvagia che ognuno di noi ha. Egli è malvagio e brutto e tenta di farci seguire le sue vie malvage. È per questo che nel sogno ti chiede di seguirlo. Ma tu sei stata coraggiosa e forte e ti sei rifiutata. Quindi egli ci prova ancora, a volte ti fa inciampare e fallire o fare qualcosa di sbagliato come non comportarti bene con i tuoi fratelli o gli amici, o non seguire le istruzioni dei tuoi genitori o maestri”. Mio padre si fermò e le chiese, “Cosa pensi di poter imparare dal tuo sogno?”

All'inizio Naomi esitò, poi rispose con sicurezza, “ho imparato che devo essere forte e determinata a non lasciare che le sue mani mi afferrino e che non mi convinca a fare qualcosa di sbagliato”.

In seguito mio padre chiese a Naomi di descrivere degli esempi pratici del suo suggerimento. Nei minuti successivi, il nonno e la nipote esplorarono diversi aspetti della vita di Naomi che potevano essere migliorati. Alla fine si rilassarono e li sentii ridere tra loro.

Da quel giorno ho pensato all'approccio di mio padre, a come ha affrontato la sfida di mia figlia trasformandola in uno strumento per risolvere le sfide della vita in generale.

Tutti abbiamo un piccolo bambino dentro di noi che è pieno di paure, insicurezze e vulnerabilità. È importante ascoltare le paure e non metterle in dubbio. Per risolvere un problema bisogna affrontarlo, solo quando hai guardato il mostro dritto negli occhi puoi sperare di trasformarlo.

Se ignori il mostro dicendo che non ha significato, non risolvi il problema, ne sei semplicemente scappato. D’altronde, se lo affronti sei pronto a imparare come affrontarlo. Scopri le tue insicurezze per poi capire come usarle per uno strumento per crescere.

Inoltre, insegna a tuo figlio - al tuo "bambino" interiore - come affrontare i problemi al suo livello con esempi pratici, rendendo le lezioni reali e rilevanti ed applicabili alle circostanze della sua vita.

Ogni tanto Naomi si sveglia con un incubo o un altro, ma ciò non accadde più con la frequenza né l’intensità di un tempo; inoltre, i sogni non hanno più lo stesso effetto terrificante poiché essa si sente abbastanza forte per ascoltarne e gestirne il messaggio.

Di Chana Weisberg per gentile concessione di Chabad.org