Uno dei doni più preziosi che D-o ci ha regalato è la capacità di intraprendere nella vita di tutti i giorni delle attività in modalità “pilota automatico”. Le nuove abilità acquisite come : camminare, guidare, battere a macchina e così via, le eseguiamo inizialmente in maniera “manuale”, programmando meticolosamente ogni singola fase (durante la mia prima lezione di guida non potevo capire come si potesse pretendere mettere la freccia, guardare nello specchietto, girare il volante e fare attenzione ai pedoni allo stesso tempo - ogni manovra sollecitava singolarmente la massima concentrazione!). Man mano che ripetiamo costantemente la stessa operazione, la trasferiamo progressivamente dalla parte cosciente del nostro cervello a quella che ospita il subconscio fino a compierla in maniera automatica. Siamo quindi in grado di camminare, guidare, battere a macchina, impegnando molto poco della nostra consapevolezza. Questo è certamente un dono senza il quale saremmo limitati nello svolgere un elevato numero di azioni in tempi brevi come esige la vita di oggi. Usando una terminologia più moderna, non saremmo capaci di eseguire delle “multi-operazioni” poiché ogni funzione richiederebbe una completa attenzione dalla parte cosciente della nostra mente.

Permettetemi di darvi un esempio.

Durante le prime due settimane dell’anno scolastico ho notato che uno dei miei studenti si rifiutava di rispondere a qualsiasi mia domanda. Inizialmente ho pensato che fosse muto, ma vedendolo conversare coi suoi compagni sul campo da basket, mi sono presto ricreduto. Ho poi appurato che quel ragazzo non aveva mai risposto a nessun maestro negli ultimi quattro anni.

Dopo una terapia intensiva si è scoperto che soffriva di ADD (Attention Deficit Disorder - sindrome da deficit di attenzione e iperattività). Durante le lezioni il tempo massimo della sua concentrazione oscillava tra i 3 ai 5 minuti e il maestro tentava di mantenere sveglia la sua attenzione ponendogli spesso domande ma rimproverandolo ad ogni risposta errata. I bulli della classe iniziarono a canzonarlo dicendogli che era ottuso, incapace, e così via.

La povera vittima era già di indole sensibile e insicura e col tempo si era autoconvinto di essere uno stupido, rispondendo, quindi, alle domande reputandosi quale inetto. I risultati non potevano che essere deludenti, sia per lui che per l'insegnante. Ciò che lo tratteneva dal parlare coi maestri del suo tormento era proprio questa bassa opinione di sé stesso.

Solo dopo una lunga terapia il ragazzo riprese ad avere fiducia negli insegnanti e a ricominciare a partecipare in classe. Questo risultato è stato ottenuto solo fornendogli una serie di associazioni di idee positive tra le sue risposte e la presa in considerazione degli insegnanti.

Ho sentito gente domandarsi: “Perché mio figlio picchia suo fratello minore quando questi lo disturba?” “Perché ogni qualvolta il mio capo mi chiama nel suo ufficio, mi spavento ed inizio a tremare?” “Come mai la mia figlia adolescente si rifiuta di confidarsi con me?” “Perché non riesco a fidarmi degli altri?”

Varie potrebbero essere le risposte ma ciò che le accomuna sono molto probabilmente precedenti esperienze negative o traumi, che automaticamente ci conducono a sensazioni di insicurezza e a reagire allo stesso modo quando ci si ritrova in una situazione analoga.

Più siamo giovani e vulnerabili, più forte sarà l’impatto di determinate esperienze, negative o positive che siano.

Quando notiamo nei nostri figli o in qualunque altra persone condotte autodistruttive di fronte a particolari ostacoli, chieder loro di smettere non servirà a nulla e ancor meno servirà rimproverarli. Nella maggior parte dei casi non sono consapevoli delle forze motrici che influiscono sul loro comportamento – stanno cioè “volando con il pilota automatico”. Forse si dovrebbe provare a guarire il loro trauma chiedendo loro di parlarne e di liberarsene affinché possa avvenire un autentico cambiamento e infondere loro fiducia in sè stessi.

Provalo. Funziona!

Di Rav Yaakov Lieder per gentile concessione di Chabad.org, traduzione di Daniel Raccah