Uno dei punti cardini dell’Ebraismo è l’unità: l’unità di un D-o, l’universo e di tutti gli umani, creati nell’imagine di D-o. Eppure, l’Ebraismo concede a qualsiasi uomo comune il diritto irrevocabile di possedere una sua proprietà. Impariamo ciò dalla suddivisione Biblica della Terra d’Israele alle tribù e alle famiglie come pure nel comandamento di festeggiare l’anno del iovèl, il Giubileo, quando tutti i beni tornano ai proprietari originali ogni cinquant’anni.

Il concetto della proprietà terriera, crea naturalmente una separazione all’interno della società, in contraddizione all’ideale dell’unità. Pertanto, com’è possibile vivere con questi ideali constrastanti?

Nell’ultimo giorno della sua vita, Mosè fu molto conscio di questa apparente contraddizione tra il diritto di proprietà di un individuo e il concetto d’unità. Il suo popolo stava per passare da una vita nel deserto dove non esisteva la propietà terriere, ad una vita agrarian nella Terra d’Israele, dove sarebbero diventati propietari per la prima volta. Mosè sapeva di avere un’ultima opportunità per insegnare al suo popolo come trovare un equilibrio tra questi ideali opposti, perciò comandò al suo amato popolo di riunirsi ogni sette anni.

Con questa mitzvà Mosè volle trasmettere una lezione importante, ovvero che accumulare ricchezze non è tutto nella vita, che la vera essenza di ognuno è l’anima piuttosto che il corpo e che bisogna nutrire l’anima, proprio come si nutre il corpo.

Inoltre, è necessario rivivere il dono della Torà al Monte Sinai, radunando gli uomini, le donne ed i bambini dove, come al Sinai, tutti i figli d’Israele stettero attorno al monte “come una persona con un cuore”, uniti attorno agli insegnamenti della Torà. Mosè comprese che i figli, ovvero le generazioni future, avranno anche loro bisogno di vivere questa esperienza potente d’unità complete.

Tramite questi comandamenti, il popolo imparò che nonostante essi possiedano proprietà e ricchezze materiale, essi non sono caratterizzati da questi. In altre parole Mosè stava dicendo: “Anche se la tua casa è più bella di quella del tuo vicino, siete comunque unici e uniti. Siete una cosa sola perchè la tua anima è unita all’anima del tuo vicino. Gli averi materiali che vi dividono sono meramente una veste esteriore, non sono voi e quindi non possono causare separazione tra di voi”.

Poi ci siamo noi. Noi, i quali corpi non sono stati al Sinai, noi che nono siamo stati in piedi l’uno al fianco dell’altro con l’intero popolo d’Israele mentre si leggeva la Torà al Tempio. A noi tocca il compito di meditare su questo messaggio ogni anno quando leggiamo il brano inerente nella Torà. Dovremmo chiudere gli occhi ed immaginare di stare ai piedi del monte Sinai insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle, ascoltando le parole di D-o e prendendo sul serio il messaggio del Sinai.

Se, nonostante le nostre divergenze, riusciamo a definirci come anime inviate in questo mondo per uno scopo spirituale, se la società che creiamo apprezza l’individuo per la sua essenza, per ciò che è, allora avremo una società unita. Le nostre case, i nostri campi, le nostre machine, i nostri conti in banca possono essere diversi, ma noi sappiamo di essere davvero “come una persona con un cuore”.

Di Rav Menachem Feldman, Chabad Greenwich.