I luoghi comuni universali ed umanistici dell'illuminismo non sono stati utili al nostro popolo. Infatti la nostra qualità di vita si è deteriorata con l'erosione dei valori tradizionali. I principi morali fondati soprattutto sulla nostalgia non sono da paragonare con l'edonismo, la cupidigia ed il materialismo che consumano la società occidentale, ed i nostri bambini non hanno difesa dalla confusione e dalla alienazione che caratterizza il moderno sistema laico. Pressati dalla crisi, molti ebrei si rivolgono alla Torà per avere delle risposte. Nella fase di riscoperta della Torà, nascono domande che non sarebbero potute sorgere in coloro che sono stati per tutta la vita profondamente impegnata nell'ebraismo della Torà. Forse la domanda che più comunemente ci si pone è se vi sono conflitti tra la Torà e la scienza. In effetti, non vi sono conflitti tra Scienze e Torà purché la scienza in discussione sia quella vera, in contrapposizione con la pseudo-scienza popolarizzata, comunemente imposta a un pubblico che non discrimina e non sospetta.

Effettivamente, le conclusioni che derivano da una ricerca autentica e completa invariabilmente concordano con la Torà. Il fatto che la maggioranza delle conclusioni scientifiche siano incomplete e provvisorie potrebbe indurre a credere che la Torà dica delle cose che la scienza non conferma. Tuttavia, quando consideriamo questi apparenti conflitti più attentamente, rileviamo che, a causa di dati inadeguati o insufficienti, la conclusione scientifica in realtà non è affatto una conclusione ma solo un'ipotesi.

Dobbiamo tenere presente che la scienza si evolve e si sviluppa costantemente, mentre la Torà è completa. È quindi solo naturale che molti fenomeni discussi nella Torà non si possano trattare scientificamente fintantoché un'adeguata disciplina scientifica non progredisca al punto di permettere le necessarie osservazioni. D'altra parte, quando sufficienti osservazioni permettono una conclusione logicamente valida, invariabilmente questa coincide con quanto la Torà può dire sullo stesso argomento. In realtà ciò non è straordinaro. Poiché vi è soltanto una realtà, i diversi validi strumenti per esaminarla dovrebbero produrre conclusioni simili e complementari.

L'esistenza dell'anima scientificamente dimostrata

Un buon esempio di ciò è l'esistenza dell'anima. La Torà ci dice inequivocabilmente che la vita e la coscienza sono prodotte da un'entità spirituale che si riveste, e diviene operatrice, della sofisticata macchina computerizzata che chiamiamo corpo. La Torà (particolarmente quella interpretata dalla Kabbalà e dal Chassidismo) è piena di informazioni sulla natura delle anime. È interessante rilevare come l'esistenza di una cosciente entità immateriale, responsabile del funzionamento del corpo materiale, sia stata dimostrata scientificamente. Molte sono le osservazioni sulle quali si basa tale conclusione, ed alcune di esse sono piuttosto complicate.

Forse le osservazioni più semplici e più significative furono quelle di Wilder Penfield, il fondatore dell'istituto Neurologico di Montreal ed uno dei maggiori neuroscienziati che siano mai vissuti. Panfield ha esplorato la funzione del cervello stimolando elettricamente le varie regioni della corteccia cerebrale in pazienti coscienti, durante operazioni chirurgiche (con anestesia locale) per disordini causati da attacco localizzato. Penfield ha descritto l'attivazione della corteccia motrice, un'area del cervello responsabile della trasmissione della cosciente volontà di novimento, verso livelli appropriati della radice del cervello e della spina dorsale. Quando applicò una debole corrente elettrica alla regione della mano di tale corteccia il paziente cominciò a muovere la mano avanti e indietro (sul lato opposto del corpo). Quando Penfield chiese al paziente perché muoveva la sua mano, il paziente rispose che egli (il paziente) non stava causando il movimento, ma piuttosto che Penfield lo stesse facendo con il suo elettrodo. Allorché Penfield stimolò la zona motrice che attiva la laringe, il paziente emise una sillaba. Quando gli fu chiesto cosa fosse, il paziente rispose che egli non aveva niente a che fare con tale suono che invece Penfield aveva causato.

Computer di carne ed il suo operatore

La sola valida conclusione da tali osservazioni è che la volontà di movimento ed il movimento non sono la stessa cosa. La cosciente volontà di movimento emana da qualcosa che è separato dal cervello e che è in grado di osservare obiettivamente l'operazione di ciò che non è altro che un computer fatto di carne. Vi è un Io, come in “Io non ho causato il movimento” che, quando ha accesso al computer, in altre parole il cervello, può programmare movimenti. Tuttavia se qualcun altro riesce ad aver accesso al computer, l'Io è pienamente consapevole che la macchina è guidata da un'altra persona. L'Io ed il cervello non sono di conseguenze la stessa cosa. Pertanto l'Io non può essere che una cosciente entità non cerebrale, cioè un'anima.

In altri esperimenti, Penfield è stato in grado di evocare esperienze di memoria di vita, stimolando il lobo temporale ammalato in pazienti sofferenti in grado di risperimentare eventi che avevano avuto luogo molto tempo prima. Tuttavia, essi erano ugualmente coscienti del fatto che stavano in quel momento subendo un'operazione chirurgica all'istituto Neurologico di Montreal. Ovviamente, l'Io che era impegnato in questi esperimenti era qualcosa di diverso e di separato dal cervello che era stimolato a ripetere tali esperienze del passato. La coscienza ed esperienza di memoria dei pazienti non erano la stessa cosa, bensì l'Io stava osservando l'attività del

cervello. Penfield riferisce che non vi è posto nella corteccia cerebrale dove la stímolazíone elettrica possa causare che il paziente creda, decida o voglia. Queste non sono funzioni del cervello, bensì dell'Io o dell'anima.

Studi su come il cervello analizzi il movimento sensorio portano alle stesse conclusioni. Le reazioni elettriche delle cellule nervose nelle zone visuali del cervello ai vari stimoli visuali sono state studiate abbondantemente. Le cellule di materia grigia nella retina reagiscono a modelli visuali altamente specifici. Le cellule nella corteccia visuale che ricevono impulsi dalla retina reagiscono alle complessità dei modelli che attivano la retina.

Complessa traduzione in codice

È così che ogni fase successiva nel sistema visuale sintetizza ed integra i modelli ai quali reagisce la fase precedente. Ogni informazione visuale è, di conseguenza, codificata definitivamente in sequenze complesse di reazioni elettriche nel più alto livello della corteccia visuale. In ciò consiste il problema. Il cervello è soltanto in grado di codificare informazioni visuali. Ci deve essere un Io distinto e separato dal cervello fisico che interpreta il codice. Quando osserviamo un oggetto, noi percepiamo l'oggetto. Non percepiamo sequenze di cambiamenti elettrici. Non vediamo né tantomeno siamo consapevoli delle potenzialità di azione, delle correnti di sodio e di altri componenti del codice Morse del cervello. Vi è di conseguenza una entità del non-cervello che traduce i modelli di cambiamenti elettrici in percezione cosciente. L'argomentazione che forse un'altra area del cervello (cioè la corteccia di associazione) stia compiendo la traduzione e insostenibile in quanto queste altre zone hanno le stesse proprietà fisiche e biologiche della corteccia visuale e sono quindi soltanto capaci di codificare informazioni in sequenze di attività elettrica.

La dinamica dell'interazione

Recenti studi hanno descritto l'interazione tra il cervello fisico (il computer) ed il suo operatore non fisico e non cerebrale. Alcuni degli attuali risultati sono discussi da Sir John Eccles, in un eccellente articolo sull'argomento. Un esperimento discusso in questo libro è quello di Komhuber e della sua équipe. Questi investigatori hanno esaminato l'attività elettrica della corteccia negli esseri umani prima, durante e dopo un movimento di cosciente volontà. Le difficoltà tecniche nell'effettuare tali registrazioni ed il metodo ingegnoso per superarle sono descritte nell'articolo.

Basti dire che ad un soggetto umano furono agganciati elettrodi al cuoio capelluto e gli fu chiesto di piegare a volontà il suo dito indice destro. Circa 800 millisecondi prima della flessione dei muscoli dei dito, una vasta zona della superficie cerebrale in ambedue gli emisferi ha dimostrato un potenziale negativo leggermente crescente.

Questa fu una scoperta piuttosto sorprendente. La zona della corteccia che trasmette il movimento della volontà cosciente al livello appropriato della spina dorsale è una zona altamente ristretta e specifica della corteccia motrice. Poiché solo l'indice destro era coinvolto, ci si dovrebbe aspettare di vedere l'attività elettrica soltanto nella corteccia motrice sinistra. Queste negatívità bilaterale generalizzata su vaste zone della corteccia conoscitiva così a lungo prima dei movimento vero e proprìo è stata interpretata come espressione della volontà di muovere il dito.

Ciò conferma l'osservazione di comportamento di Penfield secondo cui la volontà di movimento ed il movimento stesso non sono identici. Eccles considera che la sollecitazione di questa negatività generalizzata rappresenta l'Io non fisico che comunica al cervello fisico quanto vuole che compia, cioè la flessione dell'indice destro. Questa considerazione si basa sul fatto che la negatività generalizzata è senza previa osservabile causa elettrofisiologica e, di conseguenza, la sua iniziazione deve in definitiva riflettere l'influenza di qualcosa di diverso dal cervello. A 50 millisecondí precedenti al movimento, l'encefalogramma dimostra notevole acuta focalizzazione e concentrazione sull'attività della zona del dito altamente ristretta della corteccia motrice di sinistra.

Cosa spinge e mette a fuoco l'attività elettrica inizialmente generalizzata alla sola precisa regione della corteccia per dare inizio al movimento della volontà? Ancora una volta Eccles invoca l'Io, poiché ciò non può spiegarsi sulla base di precedenti eventi elettrici (che sono vasti e non selettivi). Così Kornhuber e la sua équipe hanno osservato l'Io non fisico che programma la sua volontà nella corteccia del computer

Nuova teoria sulla percezione sensoria

Sono state esaminate non solo la volontà elettrofisiologicamente ma anche la percezione sensoria. In un recente articolo Roland Puccetti e Robert Dykes hanno esaminato quanto è conosciuto della primaria corteccia sensoria. Gli autori hanno concluso che per quanto sia chiaro ed ovvio ad ognuno che vedere, udire e sentire sono esperienze radicalmente diverse, non vi è base neuroanatomica o neurofisiologica per giustificare le differenze. La corteccia che riceve gli stimoli dell'udito è identica nella sua condotta istologica, biochimica ed elettrofisiologica alla

corteccia che riceve il sistema visuale oppure alla corteccía che riceve il senso del toccare.

Puccetti e Dykes concludono quindi che le differenze nella nostra cosciente percezione di queste modalità (ad esempio quando un'auto ha un ritorno di fiamma e noi riusciamo ad udire piuttosto che vedere o sentire tale ritorno di fiamma) non sono giustificate dalle corrispondenti differenti nelle regioni appropriate del cervello. Le attività delle aree sensoria del cervello devono essere interpretate come il vedere, sentire o udire da parte di qualcosa che non è di per sé cervello ma piuttosto qualcosa di distaccato dal cervello. L'articolo di Puccetti e Dykes è particolarmente illuminante perché include una varietà di critica sulla loro interpretazione e sulla loro refutazione della critica.

La Torà come progetto di realtà: la scienza come conferma

Nonostante la Torà e la Scienza indichino entrambe l'essenza della cosciente vita umana come un'anima non materiale e non cerebrale, la qualità dell'informazione fornita da ognuna di queste due fonti differisce considerevolmente. La scienza può solo confermare che le anime esistono ma non può fornire informazioni circa la loro natura. Inoltre la scienza non può spiegare come una entità non materiale possa interagire con un cervello fisico. La scienza, a causa dei suoi limiti intrinseci, può solo trattare con i lati esterni della realtà. La Torà, d'altra parte, è il progetto della realtà, poiché come ci dice Bereshit Rabbà, cap. 1, “D-o esaminò la Torà e creò il mondo”. Di conseguenza, la Torà trasmette informazioni riguardo l'essenza della realtà. E per acquisire la conoscenza della essenziale natura dell'anima ci si deve rivolgere alla Torà.

Professore Yaakov Brawer, Ph. D. dell'Università di Harvard, attualmente membro associato della Divisione delle Medicine Sperimentali di McGill, nonché Scienziato Associato dell'Ospedale Royal Victoria. Dal 1976 Scholar del Consiglio di Ricerca Medica del Canada. Traduzione di Lino S. Haggiag