Domanda: Abbiamo appena presentato richieste a D-o durante Rosh Hashanà, come mai ripetiamo il tutto di Yom Kippùr? D-o non si annoia del bis? Non è forse un po’ come un bimbo lagnoso che continua a chiedere e chiedere?

Risposta: Un figlio fa qualcosa che irrita i suoi genitori. Sa di averli delusi e ha due strategie per come chiedere il loro perdono:

La prima è di chiarire come ha sbagliato e perché non accadrà più. Il figlio potrebbe spiegare che non si era reso conto di quanto grave fosse la sua mancanza. Potrebbe cercare di minimizzare le sue azioni incolpando il condizionamento del gruppo o degli insegnanti non comprensivi. Oppure potrebbe semplicemente ammettere di aver sbagliato.

Tuttavia c’è anche una seconda via, che non necessita spiegazioni e che prende la forma di uno sguardo deciso verso i genitori, un pianto o forse un abbraccio. Non si scambiano una parola ma le lacrime parlano da sé. Nonostante ciò che è accaduto, egli è il loro figlio e loro sono i suoi genitori. Lui li ama e loro amano lui.

Se guardi le preghiere di Rosh Hashanà, noterai una differenza tra il perdono di Rosh Hashanà e quello di Yom Kippùr. Di Yom Kippùr ci sono confessioni dettagliate e recitiamo una lista di peccati generici ben dieci volte. Ogni preghiera è colma di petizioni.

Eppure ciò non avviene di Rosh Hashanà. I dettagli dei nostri peccati non vengono menzionati ma dichiariamo invece che D-o è il nostro Padre e il nostro Re; enunciamo quanto Lo amiamo e suoniamo lo shofàr.

Entrambi le fasi sono necessarie. Prima deve venire il rinnovo del rapporto e l’espressione di amore che supera i dettagli. Solo successivamente, nel contesto dell’amore e del legame innato, si affrontano le varie questioni e i nostri peccati vengano cancellati, uno per uno.

Rav Yisroel Cotlar, Chabad.org