Mi ero appena iscritto alla yeshivà di Morristown, per il programma desinato ai baalé teshuvà, ovvero ai nuovi arrivati nell’ebraismo, che scoprivano la Torà e assorbivano con avidità tutti i suoi insegnamenti.

Vedevo spesso rav Elimelech Zweibel, e in verità, temevo di avvicinarmici. Eppure era gentile e caloroso e a me pareva come Moshé Rabbenu in persona, con la sua lunga barba bianca, i suoi occhi profondi che sembravano penetrare i cuori e le menti. Quando lo vedevo, tentavo di nascondermi in un'altra stanza, non perché mi vergognassi delle mie scarse conoscenze in Torà, bensì perché mi sentivo un microbo a raffronto di quel sant’uomo.

Quando iniziai ad interessarmi all’ebraismo, frequentavo i corsi di “mistica ebraica” impartiti da rav Nosson Gurary che ripeteva “un ebreo deve riflettere sulla chassidùt al punto che se cammina per strada, può sbattere conto un palo senza neanche accorgersene”. Per me rav Elimelech corrispondeva pienamente a questa definizione: viveva in questo mondo ma, al contempo ne era staccato, non come me che mi interessavo più ai risultati della mia squadra di baseball di Buffalo e alla mia chitarra che alle difficoltà sollevate da una complicata teoria chassidica.

Ecco un aneddoto che illustra le mie parole. Un giorno la signora Zweibel – eravamo nei primi anni ’70 – prese il telefono della yeshivà per informare suo marito che la gomma era sgonfiata. Egli accorse per aiutarla e prese dal suo ufficio un martello e un cacciavite che non erano di certo gli strumenti adatti per la riparazione di quel guasto. Ve l’ho detto: rav Zweibel non apparteneva a questo mondo.

Quando raggiunsi il livello idoneo, la direzione mi propose di frequentare le lezioni di rav Zweibel. Vero che oramai avevo l’aspetto, un completo scuro, un cappello e una barba bella folta. I concetti che spiegava ci connettevano davvero ad Hashem ma, a dir vero, sorpassavano di gran lunga le nostre menti. Alcuni facevano sforzi immani per capirli, altri si assopivano in tutta discrezione…

Mi sposai all’inizio degli anni ’70. Inutile precisare che questi strani matrimoni chassidici non garbavano ai nostri genitori, ma non ci importava, noi eravamo felici.

Ghittel ed io ci stabilimmo in città poco distanti dalla yeshivà, in una camera della domesticadi una vecchia casa poco comoda, ma ciò non importava. Ero felice. Di mattina studiavo la Torà, assistevo alle riunioni chassidiche, frequentavo la sinagoga mattina e sera e fra i due lavoravo part-time, cosa che secondo me bastava a nutrirci entrambi. Riguardo a Ghittel… come dire, si sentiva un po’ sola. Avevamo sempre ospiti per Shabbàt ma lei non aveva amiche e vita sociale. Ma non se ne lamentava mai.

Il tempo passava così…

Un giorno mi avventurai fino alla casa di rav Zweibel, in una zona nei pressi della foresta. Figurarsi che nel cortile c’era un pozzo nel quale potevamo immergere le stoviglie nuove, come lo esige la legge ebraica. Non era veramente un pozzo come descritto nei racconti ma un corso d’acqua sotterraneo nascosto da un coperchio. Udii dei passi avvicinarsi a me e speravo in cuor mio che si trattava dei figli di rav zweibel. E invece non era proprio lui in persona. A momenti pensai di nascondermi sottoterra proprio nel corso d’acqua!

“Buongiorno rav David. Come sta?” Mi salutò calorosamente.

Come? Io lo studente mezzo hippy di Buffalo, avrei intrattenuto una conversazione con questo immenso Tzaddìk ? Moché Rabbenu in persona?

“Sto bene grazie al Cielo”, risposi domandandomi se non avessi fatto una gaffe.

”È felice qui?” Continuò in tutta semplicità:

“Oh sì! Abito vicino alla Yeshivà, studio e vivo!”

“Eh sì, ma sua moglie?”

Risposi alla meglio. Che ella accettava la situazione. Del resto non dovevo essere io il personaggio principale, quello che studia, prega e lavora?

“E dove le piacerebbe vivere a sua moglie? Dove sarebbe più felice?” Insistette rav Zweibel.

Ero molto sorpreso. Nell mia ingenuità, supponevo che l’ebraismo fosse fatto per gli uomini e che le donne non dovevano altro che adattarsi, nevvero? Ghittel aveva accennato a Detroit dove viveva la sua famiglia o a Buffalo dove viveva la mia, o anche New York, dove la vita ebraica è più agevolata.

”Il Talmud è molto chiaro al riguardo”, citò rav Zweibel: “una coppia, soprattutto di neo-sposi, deve vivere nel luogo dove la moglie è felice!”

“Mi scuso, rav, ma ignoravo questo “dettaglio”. È un’idea assolutamente rivoluzionaria per me.”

Rav Zweibel mi consigliò di discutere del problema con Ghittel e poi di scrivere al Rebbe per chiedergli il suo parere.

Non credevo alle mie orecchie. Per rav Zweibel sarebbe stato più facile tenerci vicini a lui, che so, per aumentare il numero di studenti della yeshivà, per il suo prestigio o per magari essergli utile un giorno. Ma egli non era egoista, vedeva tutto dal punto di vista della verità e della giustizia. Allora, a quel punto era ovvio che dovevo trasferirmi in un'altra città perché è fondamentale che una moglie si senta felice.

Quella stessa sera, discutemmo con serietà sull’argomento, Ghittel ed io, e poi scrivemmo al Rebbe. Qualche mese dopo, ci trasferimmo a Buffalo, con la benedizione del Rebbe.

Rav Zweibel era un gigante della Torà e dellq chassidùt, era dotato di una memoria fenomenale e poteva camminare per strada e scusarsi ad un palo per averlo urtato per distrazione. Ma io ho visto da vicino, con i miei occhi quanto era altrettanto grande il suo amore per il prossimo e la sua bontà nei confronti di una coppia di baalé teshuvà, a scapito del suo proprio interesse.

Quel breve dialogo fu quantomeno significante per la mia vita. A Buffalo, conseguii un master e una laurea in educazioneche mi permisero di condurre una lunga e appassionante carriera che dura da più di quarant’anni. Sono stato eletto “professore dell’anno” e ho vinto premi di due sistemi educativi; sono stato selezionato tra i primi cinque professori di tutti gli Stati Uniti e insignito di molte medaglie per il progresso e gli studi realizzati dai miei giovani studenti con handicap.

Non ringrazierò mai abbastanza il fu rav Zweibel. Che il suo nome sia un ricordo di benedizione per tutti.

Di David Lazerson - COLlive

Tradotto da Feiga Lubecki