Nei secoli addietro lo studio e l’erudizione erano una prerogativa maschile. Le donne che spiccavano quali autrici furono pochissime. Tra queste ultime, Gluckel di Hameln, la cui saggezza era pari solo alla sua semplicità. Non che fosse consapevole della sua vocazione e che avesse intenzionalmente cercato di diventare scrittrice, semplicemente le piaceva redigere sotto forma di diario il racconto della sua vita. Suo figlio, che trovò il manoscritto, lo fece pubblicare. Da quel momento non ha mai smesso di essere ammirato quale testimonianza pertinente sulla vita e le esperienze di un’ebrea praticante nella Germania di più di tre secoli fa.

Gluckel nacque nel 1646 ad Amburgo, una delle tre città-sorelle, le altre due erano Altona e Wandsbeck. Queste tre città rivestirono un ruolo importante nella vita ebraica in quanto vi vissero illustri rabbini. Gluckel venne alla luce mentre furoreggiava in Europa la guerra dei Trent’anni (1618-1648) e aveva appena tre anni quando gli ebrei, espulsi da Amburgo, si rifugiarono nella vicina Altona. E aveva undici anni quando le truppe svedesi costrinsero gli ebrei a lasciare Altona per tornare ad Amburgo. Frequentò un “cheder” per tre anni, e ciò le permise di acquisire discrete conoscenze di Torà. Al contempo, poiché molto portata per la lettura, acquistò dimestichezza con la scrittura in quel dialetto giudeo-tedesco che si chiama tuttora Yiddish, sebbene a quei tempi fosse molto più simile al tedesco che all’ebraico. Secondo gli usi dell’epoca, ella si sposò che aveva appena quattordici anni ma la giovane età non le impediva di essere una ragazza matura, diligente e pragmatica, atta ad assumere le responsabilità di una casa ebraica e di applicarvi efficientemente i principi inculcatile dai genitori. Suo marito, Chayim, giovane studioso molto pio, era commerciante nel piccolo borgo di Hameln. Lì Glickel trascorse felicemente il primo anno di matrimonio, occupandosi dell’istruzione della gioventù della comunità ebraica.

Poi, la giovane coppia si trasferì ad Amburgo che era già un centro commerciale a livello mondiale e uno dei porti più attivi d’Europa e quindi per i giovani le possibilità di successo economico erano molto grandi. Tuttavia, Gluckel e il marito ebbero degli esordi molto difficili, ma si ostinarono e perseverarono nel lavoro, finché i loro sforzi vennero benedetti da Hashem. E così, nello spazio di pochi anni vivevano già nell’agio. Gluckel non solo si occupava dell’insegnamento e dei mestieri di casa, ma in più affiancava il marito nei suoi affari. E poco dopo, la Provvidenza, continuando ad elargire le Sue benedizioni, permise loro di diventare addirittura ricchi.

Ciò fece sì che ebbero facile accesso agli ambienti più altolocati della città le quali influenti personalità intrattenevano rapporti stretti con le corti germaniche e pertanto, si servivano della loro posizione per migliorare la vita degli ebrei ai quali non venivano mai risparmiate persecuzioni e angherie di ogni tipo. Questa ascensione sociale, assieme alla stima e al rispetto di cui godeva la coppia, ebbe come risultato che sei dei loro figli si sposarono con ottimi partiti. A tal punto che, alla cerimonia delle nozze della loro figlia primogenita, assistettero nientedimeno che i membri della famiglia principesca di Brandeburgo, che divenne più avanti la dinastia imperiale della Germania.

Purtroppo, nel 1689, ventinove anni dopo la sua felice unione con Gluckel, Chayim decedette lasciandola con otto dei loro dodici figli e le pesanti incombenzedi una florida e importante impresa commerciale. Gluckel, sempre molto credente e pia, non si lasciò pervadere dalla disperazione e si mise subito alacremente all’opera, concentrando tutte le sue energie sull’educazione dei figli e cercando di accasarli con rampolli delle migliori famiglie di Amburgo. Allo stesso tempo, gestiva da sola e con molto successo la società ereditata dal marito. Come scrisse nel suo diario, serbava il progetto di far sposare tutti i figli per poi liquidare tutte le sue attività professionali e infine stabilirsi definitivamente in Terra Santa, dove si sarebbe consacrata esclusivamente al soccorso dei suoi sventurati fratelli ebrei e ciò fino alla fine dei suoi giorni.

Eppure dovette cambiare i suoi piani. Gli affari incontrarono molti impicci. Poi si risposò con un ricco commerciante di Metz, città nota per il suo illustre passato ebraico dove molti eruditi vissero e insegnarono. Avrebbe potuto essere felice, ma la Provvidenza, che era sempre stata molto generosa con lei, decise di farla soffrire negli ultimi anni della sua vita. Un anno dopo il suo secondo matrimonio, il marito perse non solo la sua immensa fortuna, ma anche le ricchezze che Gluckel aveva capitalizzato dal canto suo. Ma ella lottò gagliardamente contro le avversità. E, nonostante le serie traversie materiali, continuò a condurre vita esemplare, fatta di fede, di valori, nonché di altruismo nei confronti della comunità in cui viveva.

Alla fine della sua vita, Gluckel intraprese la stesura delle sue memorie. Queste costituiscono un prezioso ritratto della vita degli ebrei in Germania, nei momenti travagliati che seguirono la Guerra dei Trent’anni. Ma la sua opera è qualcosa di più di un semplice diario, in quanto l’autrice vi analizza e discute tutti gli eventi importanti dell’epoca. Vi dà il “mussàr”- la morale ai figli, e più di una volta abbellisce i suoi racconti riportando storie del Midràsh, citazioni delle Scritture e anche del Talmud. Il suo diario dimostra che fu una donna di notevole spessore, pregna di buonsenso, acuità e fede in D-o, e la cui marcata personalità era in grado di prevalere sulle asperità e essere fonte di ispirazione per il prossimo.

Suo figlio Moshé, che fu un noto rabbino, scoprì il manoscritto. Lo copiò a mano su della pergamena per conservarlo e tramandarlo alle generazioni future. È un esempio, tra i più belli e convincenti, di una donna ebrea, tutta bontà e avvedutezza, di una madre in seno al popolo ebraico.

Traduzione a cura di Myriam Bentolila - Dedicato alla memoria di suo padre z”l, ha-Rav Yeshua ben Mahluf, Nishmatò Eden.