Durante questo periodo dell'anno, dedicato alla Teshuvà e all'introspezione, è giusto soffermarci a riflettere e ad approfondire le cause e lo scopo del Galùt, l’esilio.
Nel “Patto delle Parti” (vedi Genesi XV: 10-18) “Un grande timore, un'immensa oscurità” cadde su Avrahàm, quando D-o lo informò che “i suoi figli avrebbero sofferto l'esilio in un paese non loro ecc.”. Secondo il Midrash il messaggio Divino alludeva non solo alla schiavitù egizia, ma anche ai susseguenti quattro periodi di esilio. Sotto la dominazione rispettivamente dei babilonesi, dei persiani, dei greci e la presente Diaspora.
La parola ebraica brìt (tradotto sopra come patto) si riferisce ad un patto tra due parti, nel quale entrambe le parti promettono devozione assoluta l'una all'altra, un'alleanza motivata da un sentimento innato ed intenso di amore mutuo e la determinazione di continuare questo accordo in qualsiasi circostanza.
Per questo, sembra paradossale che nel “Patto delle Parti”, che fu un'espressione dell'amore Divino infinito per Avraham, egli venisse informato dell'esilio e della persecuzione. In quell'occasione, perché fu menzionato il Galùt (esilio) che indica un'emozione completamente opposta dell'amore?
Esiste un'altra dolorosa domanda nel Talmùd e nel Midrash, pertinente a questo fatto, che pure esige chiarificazione.
La Ghemarà afferma (Bava Batra 99a), riferendosi ai cheruvìm (angeli con volto infantile) nel Mishkan e nel Tempio Sacro, che in un'epoca di benevolenza Divina, quando gli ebrei obbedivano alla volontà di D-o, i cheruvim si guardavano l'un l'altro. Mentre quando disobbedivano, suscitando la collera Divina, per miracolo, essi guardavano in direzioní opposte.
Il Midrash dice che, quando i nemici entrarono dei Santo dei Santi, la parte interiore dei Tempio, incontrarono i cheruvim che sì guardavano l'un l'altro. Allora mandarono i cheruvim a tutte le nazioni, con la seguente osservazione: “Vedete cosa adora questa nazione”.
Nuovamente ci troviamo di fronte ad una apparente contraddizione. Quando il Tempio Sacro fu profanato e distrutto - come risultato dell'abbandono dello studio e dell'osservanza delle Divine Leggi della Torà - certamente non fu questa un'epoca di benevolenza Divina. Perché allora i cheruvim si fronteggiavano in questa occasione? Perché il simbolo dell'amore Divino per il popolo ebreo era esibito nell'esatto momento che la giustizìa Divina lo metteva a dura prova?
Per risolvere la questione, dobbiamo in primo luogo comprendere più chiaramente il concetto hassidico dei proposito e dei significato del Galùt, che è spiegato tramite analogia con il processo di insegnamento nel rapporto maestro - discepolo.
Mentre trasmette il suo sapere, il maestro si rende conto scrupolosamente della capacità d'apprendimento dello scolaro e, in accordo con questa, dosa l'insegnamento. Occasionalmente, durante una lezione, un'idea più brillante può attraversare la mente dei maestro. La natura della mente è tale che, se la persona non concentra immediatamente l'attenzione sulla nuova idea, questa si perderà e tutti gli sforzi per ricordarla saranno vani. Nel caso dei maestro, per profondo affetto nei confronti dell'alunno, potrebbe decidere di concentrarsi su questa nuova idea e farla sua completamente, al fine di trasmettere questo nuovo prodotto della mente al discepolo, in un secondo tempo.
Quando i maestro è così assolto (nella nuova idea), l'associazione visibile con l'alunno è inevitabilmente infranta; la trasmissione del sapere sarà ridotta in proporzione diretta al grado di coinvolgimento col nuovo problema. Quanto pìù sottile e profonda sarà l'intuizione, tanto più assorto sarà il maestro. E di più: quanto più il maestro sarà vicino al dominio completo dell'assunto, il suo approfondirsi nel pensiero aumenta, e inversamente, la distanza nel rapporto discepolo maestro va crescendo, finché il discepolo finisce per esprimere un sentimento di esilio.
Questo impedimento di rapporti è, comunque, solo esterno. Il reale proposito di questa cessazione di rapporto, è per trasmettere di fatto in misura maggiore il sapere, in un secondo tempo. In realtà il maestro considera più proficuo per lo studente sperimentare un'esilio temporaneo purché, al momento opportuno, possa ricevere anche la scoperta intellettuale più importante.
La suddetta analogia ci fornisce un'intuizione più profonda circa il proposito del nostro esilio e della nostra oppressione. L'obiettivo è in realtà il grado massimo della rivelazione Divina. D-o, quindi, considera proficuo che noi si sopporti un esilio momentaneo - una rottura esterna di rapporti - affinché saremo capaci di assorbire la grande rivelazione che accompagnerà la futura Redenzione del popolo ebraico.
Esistono inoltre forti prove storiche che appoggiano questa dottrina chassidica. Analizzando il suggerirsi degli eventi del nostro Galùt, comprendiamo che l'esilio non solo ci aiuta ad espiare i nostri peccati, ma comporta il significato profondo appena spiegato. Se il solo proposito dell'esilio fosse rimuovere le macchine della trasgressione, il suo evolversi avrebbe preso un altro cammino. Dopo che i peccati sono progressivamente cancellati dalla sofferenza, essendoci meno da espiare, il Galùt sarebbe dovuto diventare più leggero e facile da sopportare.
In realtà, succede il contrario. Sia nel Galùt in Egitto, che in quello attuale, vediamo che, coi passare del tempo, il peso aumenta continuamente.
Esaminando i 210 anni in cui gli ebrei rimasero in Egitto mostra chiaramente questa tendenza. Per 17 anni, quando il patriarca Yaacov ancora viveva, la sua famiglia era trattata con onore e rispetto. Quegli anni furono i migliori in Egitto. dopo la morte di Yaacòv, quando ancora i suoi figli vivevano, non vi fu schiavitù, neanche dopo la loro morte, fino all'anno in cui nacque Miriam (la sorella di Moshé), il cui nome in ebraico vuoi dire “amarezza”. (Da questa data fino a quella dell'esodo dall'Egitto rimangono 86 anni che corrispondono all'equivalente numerico di “Elokìm”, il nome Divino che è simbolo di severità e di giustizia. Il decreto “Non si dia paglia ai tuoi servi” (Esodo 16:6) che rese la sofferenza degli ebrei insopportabile (dato che dovevano procurarsi il materiale da costruzione da soli, con lo stesso termine per finire il lavoro) fu emesso a questo scopo.
Allo stesso modo, nel Galùt attuale, gli avvenimenti hanno uno svolgimento simile. Per accrescere la sofferenza fisica e l'afflizione, c'è stata una continua diminuzione della rivelazione Divina. All'inizio, rivelazione ed illuminazione spirituale, giungevano tramite ì Taniam - i Savi, giganti spirituali dell'era Mishnaica; dopo, tramite gli Amoraim dell'era Ghemaraica. Di generazione in generazione, si ebbe un maggiore occultamento delle forze Divine, fino ad oggi - quando, in accordo coi nostri profeti dobbiamo aspettare la liberazione messianica - non si ha, in confronto, nessuna rivelazione.
Queste ultime generazioni sono, per questo, designate come Ikveta DeMesciha - tradotto letteralmente: i calcagni di Mashiach - per enfatizzare la somiglianza di questa epoca al calcagno. Infatti in questa parte del corpo, la manifestazione della forza vitale è meno apparente. Inoltre, nell'Avòt di Rav Natan il calcagno è considerato come l'Angelo della Morte del corpo.
Il fatto dell'aumento attraverso la storia del nostro Galùt ci conduce alla conclusione che l'esilio non è proposito di sola espiazione dei peccati. Deve essere visto come parte di un piano Divino più ampio nel rapporto D-o e il Suo popolo Israel, il cui fine e la rivelazione di una nuova luce è l'illuminazione spirituale massima. A causa della concentrazione Divina, per così dire, in questa nuova luce, il flusso usuale delle forze di vitalità, l'aiuto e la benevolenza Divina sono fortemente ridotti. Man mano che l'attenzione Divina è più acutamente focalizzata sull'Era Messianica, in seguito al fatto che il tempo della venuta di Masiach si approssima, il Galut aumenta di tensione.
Alla luce di quanto detto prima, possiamo ora comprendere meglio ciò che dichiara il Midrash - che i non-ebreì, nell'entrare nel Sacro Tempio, trovarono i cheruvìm che si fronteggiavano.
Era desiderio di D-o che gli ebrei, collettivamente, costruissero per Lui un Santuario dove il Suo infinito potere, santità e gloria, permanessero in uno stato di costante rivelazione. (Evidentemente, ogni ebreo è individualmente investito della missione di fare della propria casa un Santuario per la presenza Divina, tramite lo studio della Torà e l'osservanza delle Mitzvot). La parte interiore del Santuario, essendo il punto più sacro dell'universo, dove la stessa essenza di D-o si manifestava, rifletteva per questo i più profondi sentimenti ed intenzioni, per così dire, di D-o.
Poiché la distruzione del Sacro Tempio ed il conseguente Galùt erano essenzialmente un preludio per maggiori rivelazioni (come la distanza nel rapporto maestro-discepolo, già menzionata, che è necessaaria per trasmettere, a tempo debito, allo studente questa nuova importante idea), i cheruvim che rispecchiavano l' animo Divino, si guardavano l'un l'altro, sottolineando il fatto che il Galut imminente era risultato della benevolenza e della buona-volontà Divina.
Questo fatto chiarisce anche la ragione per la quale il Galut era menzionato nel Patto delle Parti. D-o stava realmente informando Avraham sulle grandi rivelazioni che attendevano il popolo ebraico. Per noi, quindi, questo periodo di aspettativa e di preparazione assume la forma del Galùt.
In base al commento di cui sopra, questi pensieri devono restare conficcati nella mente ed appicati nelle nostre abitudini di vita quotidiana: basandoci sul fatto che il Galùt si è fortificato fino ad oggi, che il mondo è ormai' ampiamente dominato dal materialismo (uno degli aspetti dell'Era pre-Messianica. come predetto nella Mishnà, (Sota 9:15), un oscuramento spirituale mai visto prima d'ora, e nonostante ciò, dobbiamo stare all'erta, sapendo che l'intensificarsi dell'impurità è dovuto all'approssimarsi della Luce della Redenzione.
Al fine di trarre la vera rivelazione dalla Luce della Redenzione, ci sono due pre-requisiti:
l. Dobbiamo avere il sentimento e la certezza che l'atto Divino d'occultamento e separazione sono solo una temporanea interruzione nel processo della Rivelazione, una frattura esterna di relazioni. Il vero proposito, quindi, è la Rivelazione massima finale.
2. Dobbiamo mantenere un legame forte con il Maestro, parlando di D-o Onnipotente - e con ansia attendere il rinnovarsi di una relazione intima. Nonostante il Maestro sia al momento assorto in Meditazione, il discepolo deve conservare forti rapporti con Lui con desiderio di avvicinarsi a Lui come se ancora fosse a metà nel ricevere i suoi insegnamenti egnamenti. Infatti, la sua devozione al Maestro e la sua sete di Lui dovrebbero essere ancora maggiori.
Questo legame fu molte volte espressa in modo commovente da Rabbi Shneur Zalman, il primo Rebbe di Chabad, nei momenti di devozione: “Io non desidero nulla! Non desidero il Tuo paradiso, e neppure il Tuo mondo futuro... io desidero solamente Te!”.
Questa sete di D-o è ciò che accelera e porta la rivelazione della nuova Luce tramite la Redenzione futura - possa ella venire ai nostri giorni.
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