Farbrengen (riunione chassidica) di Purìm a Medziboz, condotto dal Baal Shem Tov. I suoi chassidìm erano felici ed appagati dall’ascolto dei profondi concetti della chassidùt rivelati dal loro Maestro. Ogni anno a Purìm egli spiegava la personalità di Hamàn, “l’eterno nemico del popolo ebraico come il suo antenato Amalèk, nipote di Esàv. La parola Amalèk ha la stessa ghematria (valore numerico) della parola “safèk - dubbio”. Amalèk rappresenta la confusione, il mettere in discussione Hashèm. Dobbiamo cancellare Amalèk nella nostra relazione con D-o. Dobbiamo avere una completa, allegra e sincera fiducia nel nostro Creatore”. Quel Purìm il Rabbi chiamò un bambino di cinque anni, Shaul, figlio di Rav Meir Margolis di Lemburg. Il piccolo possedeva una voce straordinaria. Alla richiesta del Rabbi di cantare in onore della festa, egli scelse “Shoshanat Yaakov”, il ritornello pronunciato con euforia al termine della lettura della Meghillàt Estèr. Mentre cantava, i chassidìm si sentivano trasportati in una dimensione spirituale. Rabbi Israel Baal Shem Tov chiese l’autorizzazione al padre del bambino di lasciarlo per Shabbàt a Medziboz. Il genitore acconsentì e dopo lo Shabbàt, Rabbi Israel chiese a due chassidìm di venire con lui per ricondurre Shaul da suo padre. Ad un certo punto, la piccola comitiva si fermò in una locanda nella quale numerosi contadini si stavano divertendo con una chiassosa baldoria, tra alcool, risate e inni folkloristici. Come entrò, il Baal Shem Tov batté le mani e con voce possente impose il silenzio: “Volete sapere cos’è un vero canto?”. Quindi si rivolse a Shaul, lo mise su una sedia e gli ingiunse di cantare Shoshanat Yaakov. Il bimbo ubbidì e quando finì, persino i paesani più ebbri avevano negli occhi una luce di ammirazione e di rispetto. Il Rabbi si diresse poi verso tre bambini intenti a giocare in un angolo della sala. Chiese i loro nomi. Risposero uno dopo l’altro: “Ivan” “Stefan” “Anton”. “Vi è piaciuto come canta il mio giovane amico Shaul?”. Risposero affermativamente. “Gli volete bene?” “Sì!”. “Allora” – proseguì – “vorrei che voi tre siate sempre amici suoi”. I tre accettarono. In seguito, il gruppetto uscì e riaccompagnò Shaul dai suoi genitori.
Passarono molti anni e Shaul diventò un prospero uomo d’affari, nonchè un esimio Talmìd Chachàm. Un giorno, alla vigilia di Purìm, di ritorno da un viaggio di lavoro si ritrovò in mezzo ad una fitta foresta. Era già tardi ma avrebbe ancora fatto in tempo a raggiungere la shul (sinagoga) della sua città per ascoltare la Meghillàt Estèr. Ad un tratto, un brigante balzò da un cespuglio ed afferrò le redini del cavallo. Due altri compari spinsero giù Shaul dal suo calessino e lo derubarono. Gli annunciarono che la sua morte era vicina. Shaul supplicò che gli venisse concesso qualche minuto per recitare il Viduy (confessione). I rapitori lo lasciarono fare. Mentre pregava accoratamente, si ricordò dell’insegnamento del Baal Shem Tov a proposito della sradicazione di Amalèk dal nostro animo e decise che la sua ultima ora in questo mondo sarebbe stata segnata dall’allegria e dalla fiducia in Hashèm. Chiuse gli occhi e intonò “Shoshanat Yaakov....”, la canzone tanto amata dal suo Rabbi. Quando finì, si ritrovò davanti a tre uomini sbalorditi. Passò qualche istante di sorpresa per tutti e poi domandò: “Voi siete Ivan, Stefan e Anton, nevvero?”. “E tu sei Shaul! Abbiamo promesso di rimanere tuoi amici per sempre!”. Gli restituirono i suoi soldi e lo ricondussero fino alla sua città. Durante il tragitto, il nostro eroe parlò loro del Rabbi i cui insegnamenti mirano ad apportare la pace nel mondo. I briganti rimasero affascinati dalle sue parole. Decisero di cambiare vita, di camminare sempre nella retta via, di diventare veri uomini, onesti e rispettosi lavoratori.
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