La parashà di questa settimana ci narra nuovamente come vennero dati i Dieci Comandamenti. La prima parola che discese come un tuono dal monte Sinay fu Anokhì… – Io sono il Signore tuo D-o … (Devarìm 5, 6).

Il midràsh (Tanchuma Yitrò 16; Yalqùt Shimonì, III, 892) commenta che Anokhì è una parola egizia.

I Dieci Comandamenti sono il compendio di tutta la Torà.

I primi due comandamenti, a loro volta, li riassumono tutti e dieci; tutti i precetti positivi trovano la loro sintesi nelle parole: «Io sono il Signore tuo D-o», mentre quelli negativi si compendiano nell’ingiunzione: «Non avrai altri dei al mio cospetto».

La parola con cui inizia il primo comandamento, Anokhì, è poi la quintessenza del decalogo. Di per se stessa la parola Anokhì, il cui significato letterale è Io, allude all’aspetto supremo di D-o e significa: «Io, che sono al di là di ogni concezione e comprensione; Io, che nessun nome può definire; Io sono Chi sono» (Liquté Torà Pinechàs 80, 2; cf Zòhar III, 257b).

Apprendiamo, perciò, con meraviglia che la più sublime delle parole non è di pura origine ebraica, non deriva dalla “lingua sacra”, ma proviene dal linguaggio degli egizi, il popolo più corrotto di quei tempi!

Ciò sta a significare che quella rivelazione Divina, unica e non mai ripetuta, che si ebbe sul monte Sinay, non riguardava soltanto ciò che ha attinenza alla lingua sacra, cioè le cose sacre, bensì anche ciò che ha attinenza alla lingua egizia, ossia ciò che è l’antitesi della santità.

In altre parole, subito all’inizio della rivelazione sul monte Sinay, D-o fece comprendere al suo popolo che la Torà non doveva diventare una “religione da Sinagoga”, ma essere una fede viva, e influire su ogni aspetto e ogni dettaglio della vita umana.

Da quanto detto si trae un insegnamento concreto per la vita quotidiana: non è sufficiente seguire personalmente le pratiche religiose dell’ebraismo, ma è necessario che la fede – che ci ispira – influisca su tutti gli aspetti della nostra esistenza.

Lo studio della Torà e la preghiera non dovranno essere fini a se stessi, ma influire su tutti gli aspetti della vita materiale, come il mangiare, il bere, gli affari, il modo in cui si occupa il tempo libero.

Dice infatti re Salomone: In tutti i tuoi passi pensa a lui (Mishlé 3, 6).

Inoltre è necessario diffondere la Torà in tutti gli angoli della terra. Bisogna far partecipare gli ebrei meno illuminati a questo retaggio così ricco e dimostrare, con l’esempio, che le leggi dell’ebraismo possono rendere gli uomini migliori.

(Saggio basato su Liquté Sichòt, vol III, 892; tradotto in Il Pensiero della Settimana a cura del rabbino Shmuel Rodal).