Domanda:
Cosa dice la Torà sul caso Welby e l'eutanasia, è permesso avvicinare la morte di qualcuno che soffre o no?
Risposta:
Prima di tutto è bene chiarire che la Torà da un'importanza suprema alla vita dell'uomo, inoltre non è possibile fare distinzioni, il valore di 70 anni è uguale a quello di un secondo di vita, il valore della vita del malato è identica a quello del sano. La vita non è valutabile e non si può manipolare, la sua importanza è al di sopra di tutto, perfino delle mitzvòt (precetti). Solamente in tre casi particolari la persona deve sacrificare la propria vita: nel caso in cui sia costretta a commettere adulterio, ad uccidere un altro individuo, o a compiere idolatria.
Ci sono varie fonti che trattano casi di eutanasia.
Il Talmud dice: "Colui che chiude gli occhi ad uno che sta per morire - ha versato del sangue", ciò significa che perfino l'avvicinare il momento della morte di qualche istante è considerato uccidere.
Ma il caso proprio uguale a quello di Welby lo troviamo dal Re David quando Shaul (Saul) chiede ad un ragazzo Amalekita di ucciderlo poiché stava soffrendo. Quando il Re David scopre quello che è successo considera questo atto una vera e propria uccisione e condanna l'assassino (II Shemuel 1, 6-15) Un altro esempio lo troviamo nel Talmud riguardo Rabbi Chanina Ben Teradion. I romani lo bruciarono vivo circondando il suo corpo con della lana impregnata d'acqua in modo da rallentarne la morte; quando i suoi allievi videro il loro Rabbino che stava bruciando gli dissero di aprire la bocca così il fuoco l'avrebbe bruciato dentro. Rabbi Chanina affermò: "Meglio che la prenda (l'anima) colui che l'ha data che non uccidersi da solo".
Vediamo chiaramente che la vita è completamente in mano ad Hashem e solo lui può decidere quando darla e quando toglierla.
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