Vi è già accaduto di perdere il controllo di voi stessi e all’ultimo minuto di trattenervi? La parashàKedoshìm (nel Levitico 19:20) si apre con il precetto per cui dobbiamo essere santi. Cosa significa esattamente? Rashi spiega che il termine “santo” implica contenere gli istinti. Nella vita siamo confrontati a non poche tentazioni. Essere santi significa essere atti a dominare gli impulsi immediati. Il Nachmanide sottolinea che il controllo di sé è in grado di condurre la persona ad un livello che oltrepassa la lettera della legge. La legge ebraica autorizza l’uomo a mangiare carne kashèr; ciò non toglie che l’uomo, mangiando, debba comportarsi con signorilità e non con ingordigia.Da questo punto di vista, il cibo, sebbene kashèr ai massimi livelli, deve indurre al decoro, segno di forza che dimostra che l’uomo è veramente libero e non schiavo del suo appetito.
Vi ricorderete sicuramente dell’episodio del piatto di lenticchie tra Giacobbe e Esaù. Esaù era disposto a vendere il suo diritto di primogenitura, il bene più prezioso che possedeva, in cambio di una pietanza. Alcuni potrebbero scandalizzarsi del suo atteggiamento patetico. Altri, invece, potrebbero provare sentimenti di compatimento nei confronti di una persona soggetta ai suoi sensi, avanzando che dopotutto tale è la fatale umana condizione. Tuttavia, molti esseri umani aspirano ad essere padroni del loro corpo e del loro essere, ovvero ad avvicinarsi quanto più possibile all’essere umano e non all’animale che vive in loro.
La maggior parte della parashà è dedicata a impartire istruzioni riguardo al controllo di sé, nei diversi aspetti della vita. Il tema centrale sono le relazioni interpersonali. La corona è il famoso insegnamento “ama il tuo prossimo come te stesso” (Levitico19:18). Rabbi Akiva affermava che è la base della Torà; esso abbraccia tutti gli altri aspetti del pensiero ebraico. La parashà ci ingiunge altresì di mai vendicarsi né di serbare rancore nei confronti del prossimo. Queste regole richiedono una grande padronanza di sé: nelle nostre azioni, nelle nostre parole e nei nostri pensieri.
Ma esiste davvero un uomo che raggiunge un tale apice? Forse, ma molto probabilmente, saremmo propensi a credere che sia una persona semplice, ingenua e molto ispirata che non vede mai il male in nessuno. Oppure penseremmo che si tratta di un uomo molto forte mentalmente che abbia raggiunto il sommo controllodel suo essere.
Ma, più profondamente, come definire la potenza? Per secoli gli uomini pensavano che si poteva manifestare solo nella dominazione degli altri. Invece, in base alla Torà si esprime solo nel dominare se stessi. La vita quotidiana ci impone svariati esempi di queste sfide e battaglie di cui discute la parashà; battaglie nelle relazioni con i genitori, nell’ambito del lavoro, nelle questioni della carità, nei limiti da frapporre tra uomini e donne nonché nell’affrontare una situazione nella quale siamo noi ad assumere la dominazione sugli altri, ad esempio nel ruolo di giudice. Perciò la Torà ci chiede di essere onesti e molto cauti prima di emettere una sentenza, che sia rivolta ai poveri o ai ricchi.
Kedoshìm, santi, ci pone delle sfide sulla restrizione di questa potenza al fine di costruire un mondo di bontà per il futuro, un mondo completamente intriso di santità.
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