"Ogni anno il popolo intero si riuniva nel cortile del Tempio per ascoltare la lettura della Torà dalla voce del re. Per generazioni e generazioni, da quando il Tempio di Gerusalemme è stato distrutto, il precetto di Hakhel* era rimasto teorico. Se ne parlava, se ne studiavano tutti i dettagli, lo si evocava con nostalgia. Ma nel XX° e XXI° secolo, Hakhel ha adottato un’altra forma. Hakhel è oggi! Ora! Hakhel può essere un fenomeno tangibile della nostra epoca! Un anno di Hakhel, come questo, è l’occasione opportuna per aggregare tanti Bene Israel e, a prescindere dal carattere dell’evento, ogni pretesto è valido per ritrovarci tutti insieme, uomini donne e bambini.
Qui di seguito il racconto, inerente a questo tema, di cui sono stato testimone: Nella mia comunità di Conejo in California, sono molto amico di un medico, padre di tre figli. Uno di questi, Matt, studia presso l’università dell’Arizona dove si reca con regolarità al Bet-Chabad di rav Yossef Winner e ove partecipa, altresì, alle varie attività del centro. Come sapete, ogni anno viene organizzato un Shabbat a Crown Heights, Brooklyn, N.Y., destinato agli studenti di tutte le università americane che hanno contatti durante l’anno accademico con il Chabad House del loro ateneo.
Nel programma, si annoverano conferenze di alto livello intellettuale, incontri tra giovani e rabbini, pranzi e tefillot. Gli studenti sono ospitati da famiglie residenti nel quartiere e trascorrono un magnifico Shabbat segnato dalla spiritualità, dall’allegria, dal buon umore, da tefillot cantate in coro e da quella speciale atmosfera che caraterizza il gaudio di appartenere tutti insieme a questo magnifico popolo. Il succitato Matt, si iscrisse ad uno di questi Shabbat. Ivi giunto, diede un’occhiata, per pura curiosità, alla lista dei partecipanti. Fu colpito dal nome di una ragazza proveniente dalla Carolina del Sud, membro della comitiva del rav Zalman Bluming. La studentessa aveva lo stesso cognome, peraltro piuttosto raro, di Matt. Questo dettaglio lo incuriosì. Si chiamava Sasha. Informandosi a destra e sinistra, finì col trovarla.
Si presentò: “Mi chiamo Matt, vengo da Agoura in California, frequento l’università dell’Arizona e ho notato che portiamo il medesimo patronimico. Mi domando se non siamo imparentati......” Cominciarono a conversare e ad evocare quanto sapevano sul lato paterno di ambo le famiglie. Risultò che il padre di Matt, il medico, aveva un fratello che, per ragioni da tempo ormai dimenticate, era in lite con la famiglia. Quando questi troncò i rapporti coi genitori, il padre di Matt crebbe giusto fargli la morale: "Se continui a procurare tutte queste pene ai nostri genitori, allora neppure io ti rivolgerò mai più la parola!” I due fratelli non si parlavano ormai da più di vent’anni! E due giovani cugini di primo grado che, fino a quel momento ignoravano l’esistenza l’uno dell’altra, si incontravano per la prima volta a Crown Heights.
Entrambi erano concordi nel pensare che questo bisticcio durava già da troppo tempo e quindi decisero di agire. Matt informò la cugina che suo fratello si sarebbe sposato fra qualche mese. ”È il momento più propizio per riconciliare le due parti, vieni al matrimonio, ti invito io!” Per lo Shabbat che precedeva il matrimonio, il medico e sua moglie avevano invitato parenti ed amici a trascorrerlo insieme nel Bet-Chabad. Qualche istante prima della preghiera di Arvit, la diciannovenne studentessa fece ingresso nel locale, si diresse verso una signora di una certa età, seduta su una sedia a rotelle e le disse: “Nonna, sono tua nipotina Sasha!” All’improvviso, dall’altra parte della Mechitzà – il paravento che separa la sezione delle donne da qualla degli uomini- sentii dei singhiozzi. Era un pianto convulso che strapazzava il cuore. Un’anziana donna vedeva per la prima volta della sua vita la propria nipotina. Era un momento di indescrivibile emozione. Nel corso dei sei mesi che seguirono questo memorabile ricongiungimento, i due rami della famiglia riallacciarono i naturali legami: madre e figlio, fratello e fratello. Grazie al Cielo l’ordine e la pace sono tornati a regnare fra loro.
Un Shaliach in Carolina del Nord, uno in Arizona, un’altro in California, un Shabbat a Crown Heights. Insomma, una catena in azione. Il Rebbe ci chiede di uscire e di apportare ad altri Ebrei un poco di ispirazione spirituale e di avvicinarli alle loro radici. Spesso operiamo senza neanche immaginare le conseguenze delle nostre iniziative. Tutto ciò che sappiamo è che è nostro dovere contribuire al grande Hakhel e mettersi alla ricerca di altri correligionari. Le benedizioni e i miracoli li vedremo di sicuro!"
Rav Moshe Bryski
Tratto dal suo discorso pronunciato quest’anno durante il Congresso dei Shluchim a Crown Heights
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