Su un’alta collina a ridosso del Guadalquivir s’innalzava una villa tutta bianca, immersa nel silenzio dell’abbandono. Ma non fu sempre così. Quando Doña Bella del Torros vi viveva, la casa era frequentata e animata da tutta la nobiltà ebraica sivigliana. Questo era prima della crudele Inquisizione. Doña Bella morì improvvisamente di crepacuore quando ebbe notizia dei suoi nipoti arrestati e torturati a morte nelle catacombe della Cidata, dove padre Paolo ricorreva ad ogni mezzo pur di estorcere segreti e confessioni dalle povere vittime. Nella villa rimasero solo i due domestici, il vecchio Pedro e sua moglie Maria, al servizio della nobildonna per ben trent’anni, che ora si nutrivano dei prodotti dell’orto del giardino della villa e conducevano vita assai solitaria. Prima di morire, Doña Bella affidòloro la dimora fino al giorno in cui si sarebbe presentato un parente con la chiave del portone. Attesero a lungo…

Un cestino a sorpresa. Attesero alcuni anni fino ad una notte di tempesta, quando Maria udì colpi violenti contro le persiane del fabbricato annesso dove abitavano. Svegliò Pedro e questi si diresse con una candela verso il cancello; a causa del vento, dei lucchetti, dei grimaldelli e congegni vari impiegò molto tempo a sbloccare l’inferriata e quando finalmente ci riuscì, non vi trovò nessuno. «Devi aver sognato Maria», disse a sua moglie, «o forse è stato il vento a scaraventare qualcosa contro la porta o le finestre». Maria rispose: «E invece no, sono proprio sicura che qualcuno ha bussato». Pedro fece per richiudere quando un lieve rumore attirò la sua attenzione e vide un cestino nei cespugli vicino all’ingresso. Nel cestino c’era un neonato, una femmina, tremante dal freddo sebbene fosse premurosamente avvolta in spesse coperte. La portarono all’interno. Prendendola dalla cesta per metterla nel letto che avevano appositamente e rapidamente fabbricato per lei, Maria sentì un oggetto rigido nel risvolto del cappuccio del bebè. Era un pezzo di carta arrotolato che conteneva la chiave dell’inferriata della villa accompagnato da un bigliettino firmato da don Jacob, il figlio primogenito di Doña Bella, che la coppia di servitori aveva cresciuto e amato come un figlio. Era in effetti uomo di grande bontà e di rara nobiltà d’animo. «Questa figlia è tutta la mia vita. Non fate domande e che nessuno sappia che sta con voi. Prendete cura di lei come avete fatto con me fino al giorno in cui ella potrà uscire allo scoperto». La letterina era firmata e vi era apposto il sigillo con lo stemma di famiglia, tre grappoli d’uva che ornavano le intestature delle loro lettere. Ripresi da tutte queste emozioni, Pedro e Maria si adattarono ben presto alle nuove abitudini apportate dalla presenza della neonata. Essendo la villa assai distante dalle altre, nessun vicino di casa o i rari passanti notarono movimenti o rumori inconsueti. E così passarono serenamente gli anni nella villa bianca dimenticata.

L’Inquisizione. Fintanto che il celebre erudito e astronomo Rabbi Yehudà Ibn Verga visse a Siviglia, la situazione degli ebrei era accettabile, in quanto egli intratteneva rapporti amichevoli con il governatore dell’Andalusia. Ma gli ebrei che furono costretti ad abbracciare la religione cristiana erano ancora più disprezzati e odiati di coloro che non abiurarono pubblicamente l’ebraismo. Gli ebrei convertiti venivano spregevolmente soprannominati «Marrani», ovvero «porci», dai cristiani che invidiavano le loro ricchezze e le alte posizioni che occupavano; in più li sospettavano di essere rimasti in fondo al cuore legati alla loro fede. Sotto l’influenza del potente e crudele Torquemada, Grande Maestro dell’Inquisizione, la situazione degli ebrei, e quella dei marrani in particolare, peggiorò. Rabbi Ibn Verga stesso fu accusato di aiutare questi ultimi a conservare ed osservare la Torà e le Mitzvòt. Egli scappò in tempo e si rifugiò a Lisbona, in Portogallo. Alcuni altri israeliti pervennero a fuggire ma la maggior parte di essi rimasero in Spagna serbando la speranza che la feroce voragine dell’Inquisizione si sarebbe presto chetata. Nel frattempo, ogni giorno portava la sua parte di tristi notizie riguardanti i roghi, detti autodafé, ai quali venivano condannati i marrani. Ebrei dichiarati e marrani vivevano costantemente nel terrore.

Don Isaac. La bambina era cresciuta, era diventata una cara ragazzina che Pedro e Maria nominarono Doña Bella. Ella ignorava tutto delle angherie subite dai suoi fratelli e sorelle e non sapeva che la maggior parte dei membri della sua famiglia erano morti nelle celle da tortura o sui roghi e che le rimaneva, tra i sopravvissuti, solo un cugino, don Isaac. Questi era un grande studioso e cabalista. Conoscente di rabbi Yehuda Ibn Verga, don Isaac capì subito ciò che si tramava contro il suo popolo e così si rifugiò in una cantina sottostante capienti depositi dove la sua famiglia conservava i suoi preziosi vini. Il vecchio Bernardo servitorefedele di don Jacob, zio del giovane erudito, lo riforniva di provviste in mezzo alla notte. Sebbene non entrasse alcun spiraglio di luce o di sole, don Isaac si trovava bene in quella cantina oscura dove lavorava tenacemente ai suoi manoscritti con il solo aiuto di una candela. Era il vecchio Bernardo che, su richiesta di don Jacob, riuscì grazie al buio e al temporale a salvare la bambina e a portarla fino al portone della villa di Doña Bella. Aveva ricevuto ordine di non andare a trovarla, mai, per evitare di farsi notare da eventuali spie dell’Inquisizione. Ma un giorno i responsabili dell’Inquisizione cominciarono a confiscare i magazzini. Bernardo temeva per l’incolumità del suo padrone poiché non si poteva escludere la possibilità che gli impiegati che vi lavoravano scoprissero anche fortuitamente l’ingresso segreto del nascondiglio. Andò quindi a liberare il prigioniero volontario per condurlo alla villa dimenticata della sua ava. Ma il giovane non intendeva affatto lasciare dietro di lui i suoi preziosi lavori alche li distribuì in diversi pacchi che prese con lui fuggendo in mezzo alla notte fino alla barca che li aspettava sul Guadalquivir. Alle prese coi remi nelle acque agitate del fiume il giovane studioso maldestro e poco pratico di esercizi fisici si fece notare da una delle guardie appostate ad un certo punto della riva. Questi andò ad avvertire i suoi colleghi e tutti e quanti decisero di seguire la barca discretamente a partire dalla riva. Fino a vedere Bernardo e don Isaac lasciare la barca carichi di pacchi ed incamminarsi su una ripida salita che conduceva alla villa dimenticata e poco dopo sparire dietro all’inferriata della dimora. Una delle guardie andò a raccogliere informazioni nel vicinato: sì, tutti conoscevano la villa e i suoi proprietari, ma niente di più, nessuno fu in grado di fornire ulteriori informazioni.

Nella villa. Padre Paolo, capo dell’ufficio di investigazioni dell’Inquisizione a Siviglia fu molto soddisfatto quando ricevette il rapporto su quel viaggio sospetto in piena notte sul fiume. Viaggio che si concludeva nella villa appartenente alla vecchia famiglia ebraica della più alta aristocrazia commerciante di Siviglia. Per quanto ne sapeva lui, tutti i membri di quella famiglia erano o morti o in prigione e i loro immensi magazzini erano stati confiscati. Ma non si sa mai. Forse alcuni marrani, nella cui conversione non aveva nessuna fiducia, si nascondevano lì per praticarvi i loro riti in segreto. Ad ogni modo non perdeva niente a fare un controllo di persona e così vi si recò accompagnato da alcuni uomini discreti e sicuri. Il vecchio Bernardo nutriva timori sulle conseguenze di quel tragitto quindi persuase Pedro e Maria che la villa era il miglior riparo per don Isaac e i suoi manoscritti. Pedro, che conosceva bene Bernardo dai tempi gloriosi in cui erano colleghi in servizio presso i del Torros, acconsentì e suggerì un nascondiglio sicuro per don Isaac: si trattava di una grotta segreta nella montagna sul versante a strapiombo del fiume, alla punta estrema della tenuta. Alberi e cespugli crescevano rigogliosi coprendo abilmente l’ingresso. Bernardo disse a Pedro: «Verrò io personalmente una volta al mese per riapprovvigionarlo di viveri, in tal modo nessun altro sarà in contatto con lui fino al giorno in cui riuscirò a farlo svicolare dal paese». Quanto alla ragazzina, era ora molto cresciuta e diventata graziosa quanto intelligente. Fu emozionata quando Pedro le annunciò che avrebbe avuto la compagnia di un parente e questo fu anche un gran sollievo per la coppia di domestici poiché ritenevano che era abbastanza adulta per ricevere un’istruzione degna del suo rango. La fortuna volle che ella si trovasse nella grotta di don Isaac proprio quando padre Paolo e i suoi uomini irruppero nella villa per perquisirla. Ma non trovarono nulla. Dal canto loro, Pedro e Maria fingendo di essere sordi, non gli furono di alcuna utilità. L’inquisitore, tuttavia, era pieno di sospetti: «Lo troveremo un modo di farvi ritrovare l’udito!» urlò furioso. Ordinò ai suoi uomini di portare via la vecchia coppia,consegnò la sorveglianza della tenuta a due guardie e se ne andò. La ragazza e il giovane erudito udirono le urla e il fracasso del viavai e rimasero a lungo rannicchiati nella loro tana.

Nella grotta. Don Isaac dedicava tutto il suo tempo al suo nuovo ruolo di maestro. Faceva scoprire a Doña Bella, incantata, tutte le bellezze della Torà. «Non si sa mai, forse un giorno sarai l’unica a poter guidare gli altri» le disse. Ma i viveri si stavano esaurendo. Decise quindi di uscire, senza curarsi dei pericoli e ingiunse a Bella di rimanere nascosta. Assolutamente. Poi uscì avvolto in un lenzuolo bianco allo scopo di spaventare le guardie. Vi riuscì oltre ogni aspettativa. Le guardie, terrorizzatissime, scapparono a gambe levate. E molto rapidamente corse voce che la casa dei Del Torres era abitata dagli spiriti dei vecchi proprietari. Così la villa stregata divenne l’unico luogo sicuro dove i marrani di Siviglia potevano riunirsi segretamente. Don Isaac insegnava agli anziani e agli ignoranti mentre il vecchio e leale Bernardo assicurava il contatto con il mondo esterno. Fu solo qualche anno dopo, poco prima dell’infame e disumano decreto di espulsione del 1492, che don Isaac e Doña Bella - diventata ormai leggendaria tra i marrani di Siviglia grazie ai suoi insegnamenti alle ragazze - acconsentirono a lasciare il loro nascondiglio. Dopo un viaggio costellato da peripezie e pericoli vari su una nave catturata e occupata da pirati, gli ostaggi furono liberati grazie all’intervento di don Joseph Nassi [N.d.t: profugo ebreo portoghese], il quale, stabilitosi a Costantinopoli, era diventato un uomo politico fra i più potenti d’Europa.

Il matrimonio. Con il passare degli anni, don Isaac diventò cabalista e eminente saggio in Turchia. Quanto a Doña Bella sposò con il figlio di una delle famiglie più dinamiche della comunità sefardita di Costantinopoli. Nell’ultima parte della sua vita, don Isaac redasse lo strano racconto della Villa Dimenticata (chiamata ormai solo in tal modo), che era stata per lui quanto per sua cugina un nascondiglio utilissimo e sicurissimo durante lunghi anni nonché aula di insegnamento ebraico impartito ai Marrani andalusi e in particolare ai sivigliani. Grazie a Bernardo, don Isaac apprese a suo tempo che la vecchia coppia di domestici, Pedro e Maria, che non tradissero mai i loro padroni, erano tornati alla Villa Dimenticata e vi avevano ripresero le loro abitudini nutrendo la speranza che il legittimo erede sarebbe venuto un giorno a reclamare la proprietà che l’aspettava.