Domanda: Qual è il motivo dell’usanza per cui i parenti stretti strappano un lembo dell'abito dopo la morte di un caro?

Risposta: A livello basilare l’azione di strappare è un modo di esprimere il dolore e la tristezza per la perdita. La Torà infatti incoraggia ed ordina tali manifestazioni come parte del processo di lutto.

Ma c’è anche un significato più profondo. L’ebraismo vede due aspetti nel decesso. Da un lato, quando una persona lascia questo mondo è una tragedia, la famiglia e gli amici perdono questa persona e c’è una sensazione di separazione e distacco che sembrano essere irreparabili ed incolmabili. È per questo che si osservano i sette giorni di lutto intenso - la shivà - durante i quali la famiglia stretta resta in casa, sentendo il dolore e la perdita acutamente, seguiti poi dal periodo dei trenta giorni e dell’anno intero di lutto.

Tuttavia, spesso questo dolore fa sorgere in coloro che sono in lutto la percezione che ‘non è vero’ che il loro caro non c’è più. Questa reazione non va vista soltanto come una forma di rifiuto o diniego della realtà, ma in un certo senso hanno ragione. Infatti, la morte non è una realtà assoluta, poiché le nostre anime esistevano prima della nascita fisica e continueranno ad esistere dopo la morte. Le anime delle persone che hanno lasciato questo mondo sono ancora con noi; non le possiamo vedere, ma possiamo percepirne la presenza. Non le possiamo sentire, ma sappiamo che esse ci sentono. In apparenza siamo separati, ma in realtà nulla ci può separare.

Si strappano quindi i vestiti per simboleggiare due cose. Si riconosce la perdita e il fatto che i nostri cuori sono a pezzi ma, in definitiva il corpo è soltanto un vestito che l’anima indossa. Dopo la morte ci si spoglia di un'uniforme per indossare un'altra veste. Il vestito può anche essere strappato, ma l’essenza della persona rimane intatta.

Dalla nostra prospettiva terrena, la morte è una tragedia e la tristezza sentita da chi è in lutto, reale. Mentre coloro che sono in lutto però strappano i vestiti, ci auguriamo che interiormente, dal loro immenso dolore, essi possano percepire un barlume di una profonda verità – ovvero che l’anima non muore mai.

Di Rav Aron Moss, per gentile concessione di Chabad.org