Di tutte le ricorrenti immagini dell'Olocausto, le più indimenticabili sono quelle di bambini dagli occhi infossati e dalle pance gonfie che guardano attraverso i fili spinati. Le immagini di mani e piedi piccoli, mescolati in un mucchio di cadaveri infantili strazia il cuore anche ai visitatori più emozionalmente estranei di Yad Vashem.
Pochi bambini sono sopravvissuti all'Olocausto. Meno ancora sono sopravvissuti ad Auschwitz. Quei pochi sono stati un raggio di speranza per la posterità di un popolo annientato e un ricordo per le madri deì bambini da loro un tempo nutrito, ora ceneri gettate fuori dalle viscere dei forni.
Rabbi Nissen Mangel, un energico chassid, autore e traduttore di opere sull'Halachà e sulla storia e la filosofia ebraica, era una rarità del genere nel 1945. Mangiava il pane raffermo o la carne ammuffita con cui le madri ebree nel campo di concentramento riempivano le sue piccole mani. “Le madri mi baciavano e piangevano” dice Rabbi Mangel. “Frugavano la mia faccia vedendo in me i loro figli perduti”.
Rabbi Mangel, che oggi è padre di diversi figli, parla con fervore ma senza amarezza dei suoi 14 mesi di permanenza in sette campi di concentramento, tra cui Auschwitz, Mathausen e Gunzkirchen sono stati notorialmente i più crudeli. Il suo racconto, talvolta infiammato, non è mai segnato dal cinismo o dallo scetticismo che mi sarei aspettata da un sopravvissuto all'Olocausto. “Forse è un miracolo” dice “che anche se ho fatto l'esperienza dell'Olocausto nella mia giovinezza, esso non mi ha rovinato dal punto di vista emotivo o psicologico”.
Se l'Olocausto ha gettato un'ombra di dubbio sulla fede di alcuni sopravvissuti, ha fatto invece di Rabbi Mangel un intrepido credente della Provvidenza Divina. L'Olocausto,
dice, lo ha reso sensibile alle manifestazioni della Divina Provvidenza nella vita di ogni giorno. Mentre la nostra conversazione procede in diverse direzioni, Rabbi Mangel ritorna più volte sulla stessa idea. Nessuno è sopravvissuto senza qualche miracolo, qualche interferenza divina nel corso degli eventi. La sua stessa sopravvivenza, sostiene, è stata il risultato di una serie di miracoli (che al momento sembravano insignificanti) dal giorno in cui la sua città di Kosice in Cecoslovacchia fu evacuata, fino alla liberazione.
Mangel: Appena arrivai ad Auschwitz mi venne la scarlattina. Fui messo nel Lager F, dove stavano i gemelli ed i nani su cui l'abominevole Dr. Mengele stava facendo esperimenti medici. Un giorno, mentre stava facendo il suo giro con un gruppo di medici, Mengele mi notò, disteso nella mia cuccetta. Mi ordinò di uscire dal letto e mi fece mettere su una barella.
Continuò poi a spiegare ai suoi colleghi il genere di esperimento che avrebbe compiuto su di me. Dal momento che il tedesco è la mia lingua materna, afferai presto il succo di ciò che stava dicendo. Proponeva di iniettarmi nelle vene del collo una sostanza chimica e di osservare se l'effetto sarebbe stato un danno al cervello o la morte. Sconvolto, saltai su e gridai: “Gli esperimenti li farete sulle scimmie, non su di me!” e mi arrampicai di nuovo nella mia cuccetta. Stupito dalla mia chutzpà, arroganza, Mengele che veniva contradetto soltanto sotto pena di morte, si allontanò lasciandomi solo. Quando si pensa alla completa, disinibita bestialità di Mengele e al suo potere assoluto di agire a suo piacere, questo non fu un miracolo inferiore a quello di Daniele nella fossa dei leoni.
Olidort: Se cerco di immaginare cosa sarebbe potuto accaderle se non avesse reagito in questo modo, potrei domandarmi se forse c'è qualche verità nell'affermazione che gli ebrei andarono come pecore al macello.
Mangel: Oh, no! l'unico motivo per cui reagii così, era perchè a questo punto non correvo più alcun rischio. Mengele si stava preparando ad uccidermi, io ero letteralmente nelle sue mani. Qualunque cosa potessi tentare, sarebbe valsa la pena di rischiare, perchè non avevo più nulla da perdere. È impossibile immaginare l'effetto psicologico di avere una pistola puntata alla testa.
Come regola generale, tuttavia una reazione del genere sarebbe stata un rischio terribile da correre, se fosse rimasto un barlume di speranza di sopravvivenza. Quando gli ebrei erano nei campi di concentramento, c'era sempre la speranza che fra breve la guerra sarebbe finita e saremmo stati liberati. È nella natura umana sperare, contro ogni pronostico, che accada un miracolo. Così, finchè c'era quella speranza, rischiare la vita opponendosi ai nazisti sarebbe stato sciocco. Le SS uccidevano gli ebrei senza riflettere, senza il minimo rimorso. Non posso ripetere a sufficienza come per i nazisti uccidere un ebreo era forse più facile che per noi uccidere una formica. E questo era un rischio che pochi ebrei potevano affrontare.
Nella marcia della morte verso la Germania, corsi quel rischio una seconda volta, ma di nuovo, quando non avevo più la forza di continuare a vivere. Quando i russi cominciarono ad avanzare nell'area, i tedeschi decisero di evacuare i prigionieri di Aushwitz. lo presi con me tutti gli abiti che mi erano stati dati dalle madri nei campi. Avevo preso degli stivali di un SS che erano troppo grandi per me, così mi infilai quindici paia di calze e potei indossare gli stivali nella neve. Le SS ci fecero marciare in mezzo alla neve profonda, sulle montagne, verso la Germania. Decine di migliaia di ebrei morirono durante la marcia della morte. Camminavamo faticosamente per giorni e giorni di seguito. Gli abiti divennero pesanti per me. Poco a poco mi tolsi le giacchette, le paie di pantaloni in più e le calze. Ma non avevo altra scelta che tenere gli enormi stivali che dovevo letteralmente trascinare con i piedi. Essi affondavano nella mia caviglia ed infine mi fecero un buco nella carne, fino all'osso.
Dopo aver marciato in queste condizioni per una settimana soffrendo pene atroci, senza aver altro da mangiare che la neve fangosa sotto i nostri piedi, non riuscivo più a camminare. La mia gamba era seriamente infetta e camminavo trascinandola. Sapevo che uscire dalla fila significava morte istantanea, ma non potevo continuare ad andare. Appena mi mossi fuori della fila un compagno mi afferò e mi tirò indietro. Gli dissi che avevo tali dolori che non potevo più camminare. Egli mi suggerì di mettere il mio braccio intorno al suo collo e di saltare sul mio piede sano.
Pochi giorni dopo, non avendo mangiato così a lungo, non potei continuare neanche con il suo aiuto. Di nuovo, decisi di uscire dalla fila e di finire la mia agonia. Un nazista mi si avvicinò e mi chiese perchè ero uscito dalla fila. Io gli dissi che stavo morendo di fame. Egli prese la sua borraccia e la diede a me perchè la bevessi. Dentro, c’era del caffè dolce, caldo. Regolarmente, tre o quattro volte al giorno, l'ufficiale delle SS mi dava da bere un pò del suo caffè. Con questo povero sostentamento fui in grado di andare avanti. A un certo punto dissi all'ufficiale che le mie orecchie stavano gelando. Egli si tolse il berretto da SS e me lo mise in testa. Lo portai finchè giungemmo in una città, quando mi disse che dovevo restituirgli il berretto. Dopo questo, non lo vidi più di nuovo.
Chi era quel nazista? Nella mia immaginazione infantile credevo che fosse un angelo mandato da D-o. Forse questo non è così infantile. Si dice che in periodi di terribili difficoltà D-o, manda un angelo per aiutarci. Ma anche se egli era veramente un ufficiale delle SS, è ugualmente un miracolo. Perchè un nazista che mostrava simpatia e pietà per gli ebrei, considerati da loro come non-entità, è per se stesso un miracolo. Ogni sopravvissuto, riflettendo, troverebbe che anche egli è stato salvato da miracoli.
Olidort: La sua visione dell'Olocausto è quella di un ottimista che vede il suo bicchiere mezzo pieno. La sua sopravvivenza la spinge a riflettere sulle strade miracolose di D-o. La sua fede nella Divina Provvidenza è aumentata. Che dire di quei sopravvissuti che vedono le cose proprio nel modo opposto di quelli che hanno perso la fede come conseguenza degli orrori a cui hanno assistito? Di quelli che concludono che se l'Olocausto è potuto accadere, non è possibile che in questo mondo ci sia un D-o che è coinvolto in tutti i suoi particolari?
Mangel: Non è facile scacciare subito l'angoscia di un sopravvissuto che ha perso moglie, figli, genitori e numerosi parenti e non può trovare alcun significato in tutto questo e quindi mette in dubbio la Divina Provvidenza e l'interesse di D-o per il suo popolo eletto. Giobbe ebbe dubbi sulla Provvidenza Divina come conseguenza di tutte le sventure che gli capitarono. Eppure D-o condannò gli amici di Giobbe perchè erano stati ingiusti con lui e non comprensivi nel criticarlo.
Fare domande è parte integrale della Torà e dell'ebraismo. Ma la premessa di tutte le nostre domande deve essere credere in D-o e riconoscere che la nostra comprensione di D-o e delle sue azioni è limitata. Quando abbiamo accettato che non possiamo mai aspettarci di comprendere completamente D-o a causa delle nostre umane limitazioni, possiamo porci domande. Si può contestare l'Olocausto e cercare risposte per mezzo della Torà ai dilemmi che ci turbano. Fare domande implica credere. Altrimenti, contro chi protestiamo?
Abramo, il primo e il più grande credente, protestò contro D-o quando Egli stava per distruggere la città di Sodoma, ma non negò mai D-o. Il pericolo è quando la gente arriva a false conclusioni che la spingono a perdere la fede. Tali conclusioni sono false, perchè la visione dell'uomo dell'intero succedersi degli eventi è così limitata. Noi possiamo vedere solo una minuscola parte del quadro. Al punto che io credo fermamente che in qualche modo, oltre la nostra comprensione, c'è qualche aspetto positivo che riscatta l'Olocausto. Olam chessed yibanè, il mondo è costruito sulla benevolenza, dice il Salmista.
Olidort: Crede che l'Olocausto potrebbe accadere di nuovo?
Mangel: Da un punto di vista umano, non c'è nessuna ragione perchè non possa accadere di nuovo. Non c'è nessun miglioramento nella sfera sociale e interpersonale, ma piuttosto una regressione. L'umanità ha imparato qualcosa dall'Olocausto? La gente non è migliore oggi di 40 anni fa. La tecnologia e la scienza hanno fatto passi avanti, ma non l'umanità. Oggi, superficialmente, la gente è più tollerante. Ma quando le cose vanno male, quando c'è una prolungata crisi economica, come era in Germania. e c'è bisogno di un capro espiatorio, possono essere di nuovo gli ebrei. Tuttavia, basandoci sulle parole dei nostri saggi, D-o non permetterà che questo accada di nuovo.
Olidort: Perchè sempre gli Ebrei?
Mangel: L'ebraico è l'unica lingua in cui le parole comunicano l'essenza di ciò che esse significano. Sinai è dalla stessa radice etimologica di sinà la parola ebraica per odio. Il Talmùd dice che da quando fu data la Torà sul Sinai, si è sviluppato un odio per gli ebrei.
I sociologi dicono che la gelosia è una base per l'odio. Il fatto è che gli ebrei sono sempre stati moralmente e intellettualmente superiori nel mondo. Il popolo ebraico era sparso in tutto il mondo per diffondere bontà, decenza, moralità e responsabilità sociale verso il genere umano, perchè in definitiva tutto è derivato dalla Torà. Per tutti i contributi che gli ebrei hanno dato alla società la reazione, invece che di apprezzamento, è quella di invidia che genera odio.
Olidort: In che modo l'Olocausto ha modificato la sua percezione della natura umana?
Mangel: Se la vita fosse basata soltanto sulla concezione umana dell'uomo, separato da D-o, allora dovremmo essere pessimisti. L'umanità priva di valori spirituali conduce a una società della giungla; l'uomo diventa peggiore di un animale. La moralità universale deve essere basata sulle Sette Leggi di Noè che elenca la Torà. Se non si accettano queste leggi divine, nessuna moralità umana, nessuna religione potranno impedire il ripetersi di simili atrocità. Il capo della Chiesa cattolica, il papa, non alzò la sua voce per protestare contro l'Olocausto. Di tutti gli altri paesi impegnati nella guerra, l'unico a offrire di pagare una tassa a persona per ogni ebreo che Hitler aveva preso fu la Slovacchia, il cui presidente e primo ministro erano ecclesiastici. Così anche la religione in sè non è una risposta se l'etica che essa difende non è ispirata dalla Torà, dalle Sette Leggi di Noè. La bontà della natura umana deve essere nutrita da valori spirituali.
Olidort: Quali sono i suoi sentimenti circa la recente ripresa delle indagini sui crimini di guerra nazisti ?
Mangel: Secondo la Torà, gli assassini devono essere consegnati alla giustizia. Non necessariamente come vendetta, ma per la sopravvivenza della società. Altrimenti la società si disgregherebbe. I processi nazisti servono anche come testimonianza per coloro che cercano di negare la verità dell'Olocausto.
Olidort: È preoccupato per il fatto che la sua è l'ultima generazione di testimoni oculari sopravvissuti all'Olocausto?
Mangel: Non sono veramente preoccupato di questo, dal momento che non credo che staremo ancora a lungo in esilio. L'Olocausto è stato la pietra miliare che abbiamo dovuto raggiungere prima del Messia.
Olidort: Adesso lei ha dei figli che hanno circa la stessa età che aveva lei al tempo dell'Olocausto. Come paragonare la sua capacità di resistenza e perseveranza a quell'età, con quella dei ragazzi del 1989?
Mangel: Oggi si danno ai ragazzi responsabilità così limitate. Io, ragazzo di 10 anni, fui costretto a superare in astuzia i nazisti e a sfuggire ripetutamente alle loro grinfie. Quando arrivammo ad Auschwitz nell'inverno del 1944, fui immediatamente separato dalla mia famiglia. Ero ossessionato dall'idea di ritrovarla. Compresi presto che per me l'unico modo per cercarla era di procurarmi un lavoro che mi permettesse di andare da un campo all'altro, che altrimenti erano separati da fili elettrici. Mi ofrii di fare un lavoro che letteralmente mi spezzava la schiena; un carro carico di mattoni era attaccato con fili metallici alle mie spalle; insieme a parecchi altri uomini, dovevamo tirare questi carri da un campo all'altro per caricare e scaricare. Il lavoro era atroce, i fili segnavano la mia carne, ma io continuai perchè ero deciso a trovare la mia famiglia. Alla fine individuai mia sorella.
Le capacità dei bambini sono infinite ed inesauribili. Quando fummo liberati, gli americani misero ognuno in campi profughi. Io rifiutai di andare. Ero appena uscito da Gunzkirchen, che era di gran lunga il campo peggiore. Stetti a Gunzkirchen per circa quattro mesi, vivendo in tende con cadaveri in decomposizione. Pioveva continuamente dentro le tende. Non c'era cibo. Un uomo che non poteva sopportare più a lungo la fame, cominciò a mangiare carne da un cadavere. Questa era la vita a Gunzkirchen. Così quando finalmente fummo liberati, l'idea di andare ancora in un altro campo, sia pure un campo di profughi americano, era inconcepibile. Con un altro amico, più grande, mi diressi verso casa attraverso l'Europa ostile. Viagiammo in treno dall'Austria alla Cecoslovacchia, indossando gli unici abiti che potevamo trovare, uniformi di SS. Al confine tra la Cecoslovacchia e l'Austria i russi volevano deportarci in Siberia con un treno carico di ebrei. Cominciai a gridare che ero ebreo, non tedesco e finalmente persuasi i russi a lasciar andare noi e il resto di quella gente. Lo facero, e raggiunsi casa. Oggi sono stupito di questo, ma ovviamente i bambini possono compiere molto di più di quanto è loro normalmente richiesto. Ma, grazie a D-o i nostri ragazzi non sono posti di fronte a simili difficoltà.
Olidort: Le riesce difficile avere rapporti con i suoi simili che non hanno condiviso la sua esperienza nell'Olocausto?
Mangel: Niente affatto. Io non sono perseguitato dall'idea dell'Olocausto e non ho il bisogno di insistere su di esso. Grazie a D-o, esso non ossessiona la mia vita. Mi posso liberare di esso completamente, perchè non sono amareggiato. Vede, per quanto esso sia stato penoso, ora che è superato, mi considero privilegiato di averlo vissuto. Tutti gli ebrei dell'Olocausto sono stati degni di sacrificarsi per l'ebraismo. Abbiamo sofferto soltanto per un motivo. Perchè eravamo ebrei. Questo è l'ultimo sacrificio per l'Ebraismo.
Rabbi Mangel ha perso suo padre nell'Olocausto. Sua madre e sua sorella furono miracolosamente risparmiate. Rav Mangel parla spesso pubblicamente delle sue esperienze durante la Shoà. Che D-o lo benedica con una lunga vita.
Di Baila Olidort. Tradotto da GiPi
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