La parashà di Haazìnu comincia con le parole di Moshé: Porgete orecchio, o cieli e Io parlerò; ascolta, o terra le parole dalla mia bocca (Devarìm 31, 1).

Il Sifrì osserva che a proposito del cielo Moshé usa un’espressione che denota prossimità, haazìnu ã porgete orecchio, mentre per la terra usa un’espressione che indica distanza, vetishmà ã ascolta, poiché egli era vicino al cielo e distante dalla terra.

La Torà è volta a istruire ogni singolo ebreo; dicendo porgete orecchio, o cieli… e ascolta la terra… è evidente che ci viene richiesto di diventare come Moshé, “vicini al cielo e distanti dalla terra”. Come possiamo raggiungere un livello così elevato?

La parashà di Haazìnu si legge spesso durante lo shabbàt fra Rosh Hashanà e Kippùr: si chiama Shabbàt Teshuvà, ovvero lo Shabbàt del Pentimento.

La ragione di tale denominazione è molto semplice: questo shabbàt cade nei Dieci Giorni di Penitenza. Tuttavia, poiché ogni aspetto della Torà è estremamente preciso, bisogna intendere che il nome Shabbàt Teshuvà vuole indicare che lo shabbàt intensifica il pentimento e quindi la teshuvà di questo sabato è superiore a quella degli altri Dieci Giorni di Penitenza.

Qual è la connessione fra lo shabbàt e una forma superiore di teshuvà?

L’Alter Rebbe spiega che la teshuvà di questi giorni coinvolge l’essenza dell’anima, mentre quella che si fa durante il resto dell’anno ne coinvolge solo i poteri interni. Perciò, la prima forma di teshuvà è di gran lunga superiore alla seconda.

I due tempi della teshuvà corrispondono inoltre ai due livelli generali di pentimento: il livello inferiore, il cui scopo è di rettificare i peccati, e il livello superiore in cui l’anima ritorna e aderisce alla sua Fonte.

In generale, le due forme di teshuvà si rispecchiano nella differenza fra servizio spirituale durante la settimana e servizio spirituale dello shabbàt: durante la settimana l’uomo è impegnato dagli affari terreni e cerca di elevare la sfera fisica verso la santità. Questo sforzo corrisponde al livello inferiore di pentimento, in cui il compito è di congiungere i poteri interni dell’anima con la Divinità.

Di shabbàt, tuttavia, il lavoro è proibito per cui la sacralità del giorno è tale che l’uomo trascende la fisicità; il suo compito in questo giorno comporta il raggiungimento di livelli sempre più elevati di santità.

Perciò la teshuvà dello shabbàt corrisponde al livello più alto di teshuvà, attraverso cui l’anima s’innalza e aderisce alla sua Fonte.

La superiorità relativa alla teshuvà di Shabbàt Teshuvà rispetto al pentimento che avviene durante gli altri Dieci Giorni di Penitenza deve essere intesa di conseguenza.

I sette giorni compresi fra Rosh Hashanà e Kippùr corrispondono ai sette giorni della settimana di tutto l’anno passato; ognuno di questi rettifica le cattive azioni commesse nel giorno della settimana corrispondente dell’anno passato, per cui la domenica rettificherà quelle di tutte le domeniche, il lunedì quelle di tutti i lunedì e così via.

Quindi, anche se l’intero periodo dei Dieci Giorni di Penitenza implica una forma superiore di teshuvà, dal momento in cui i giorni della settimana ivi compresi hanno la prerogativa di riparare ciò che è stato fatto nei giorni corrispettivi dell’anno passato ne consegue che la teshuvà della settimana non è la forma più elevata di teshuvà.

Di Shabbàt invece, avviene la teshuvà per gli shabbatòt passati che sono già intrinsecamente superiori sia rispetto al servizio spirituale sia alla teshuvà. La teshuvà di Shabbàt Teshuvà raggiunge il livello più alto di tutti i Dieci Giorni di Penitenza. È questo livello che mette ogni ebreo nelle condizioni di essere come Moshé: vicino al cielo e distante dalla terra.