Il primo uomo, quello che doveva essere il più perfetto perché più vicino al suo Creatore, cade, e la caduta diventa terribile in suo figlio Caino. Si rialza con Enoch e ancora ricade sino alla catastrofe del Diluvio. Torna a risollevarsi con Noah e comincia il suo cammino di sublimazione spirituale con Abramo simbolo della Fede totale e dell'abbandono a D-o. Cade ancora la parte peggiore dell'uomo per venire annientata con Sodoma e Gomorra, e finalmente c'è Giacobbe, allegoria dell'intelligenza ascetica, che solo da D-o afferma di accettare il suo nutrimento e che per sempre esclude dal suo cammino numenico, Lavan l'idolatra e Esav, il violento, simbolo delle passioni terrene, sul quale si consuma la lotta vittoriosa dello spirito sulla materia.

Ma se la chassidut ci insegna che dal pentimento dell'anima di Caino sono sprizzate scintille tanto sublimi da dare a loro volta origine a anime di grandi Tzaddikim, ecco che allora il rinnovamento totale della nostra anima si fa indispensabile e il cammino della Teshuvà necessario e immanente.

Un Rebbe chassidico non voleva sentire nessuno dei suoi discepoli rispondere alla porta, quando si domandava "Chi è?" con la parola "Io!". "lo" diceva il Santo, "è solo D-o". D-o è l'unico ad avere il diritto di usarla, "lo", Anochi, è solo il Signore.

Noi invece siamo tutti "io", anzi "Io-Io" perché diamo al nostro piccolo, anzi insignificantissimo "ego" un'importanza esagerata. L'Egoismo, anzi l'Egotismo e lo "Psichismo" come ben lo definisce il filosofo E. Levinas, è il nostro più affliggente malanno, perché proprio l'Ego è il nostro più insidioso e malefico avversario. E Esav, è Amalek, è Corach, è quello che di più basso e riduttivo si possa immaginare.

Cos'è l'egoismo? L'egoismo è un cattivo rapporto con l'altro, quando si dà importanza solo a se stessi. Ma per l'Ebreo l'altro è un Altro con l'A maiuscola, è D-o stesso, D-o al quale dobbiamo sacrificare il nostro Ego se vogliamo ritrovare la nostra identità spirituale vera, il nostro sé. L'Ego cioè spirituale, l'Ego che non è visibile lo-lo, ma il Sé dell'annichilimento totale nella Divinità cosi che ci sia consentito di ritrovare la vera essenza di noi stessi.

II cammino è durissimo. Non è concessa all'Ebreo la scelta di una vita di delirante ascesi, di immotivati digiuni, di pratiche estatiche aberranti. Anzi il Baal-Shem Tov considerava questa strada in tutti i sensi pericolosissi ma. Lo Yetzèr Arà è dietro a questo falso e ingannevole itinerario verso la santità, perché esalta l'ego e lo rende ancora più debole e più permeabile all'autoesaltazione e alla superbia. Spesso il Baal-Shem Tov distrusse e ricondusse all'umiltà questi falsi santisolo con l'arma del ridicolo. L'Ebreo deve vivere nel mondo reale, coi piedi bene in terra, sposarsi, avere figli, lavorare.

Ma dentro di lui, creatura umana e divina, deve abitare un asceta consapevole, che riconosce che tutto gli viene da D-o e che nulla in realtà gli appartiene, distaccato da ogni bene e da ogni affetto terreno come se ancora vivesse nel deserto nutrendosi solo di manna caduta dal cielo. Altre religioni offrono il chiostro, l'eremo, il convento. Noi abbiamo un più arduo eremo interiore dove ogni giorno è Yom Kippur, dove ogni giorno si medita sulla frase "Perché si affanna l'uomo se tutto quello che può conseguire è la morte?".

Ecco perché tanti ebrei che nella vita di ogni giorno esercitano professioni umili o normalmente borghesi, quando salgono alla lettura della Torà sembrano autentici Re, perché si intuisce in loro lo sforzo

di tenere accesa la scintilla dei grandi che furono i loro Padri. Giuda, il Patriarca, simbolo del fuoco della Fede in D-o, Aaron il Cohen, simbolo dell'amore per la Torà, Moshe nostro Maestro, simbolo della Pietà senza limiti per tutto il popolo ebreo.

Se diamo un po' più di spazio al Santo che è in noi, perché in tutti noi vive una scintilla di santità, se riusciamo a rompere anche solo per qualche istante il diaframma che ci separa dalla nostra radice celeste, se alla porta non saremo subito pronti a rispondere "Io" a chi chiede "Chi è?" se riusciremo a somigliare anche solo un pochino all'umilismo Reb Sische, che pur avendo provato nella vita solo dolore, povertà e privazione diceva di non aver conosciuto altro che bene, forse anche noi potremo addormentarci alla vigilia di Rosh-Hashanà e risvegliarci rinnovati come le stelle del Baal-Shem Tov.