Ci si potrebbe chiedere come mai la generazione presente dovrebbe meritare la redenzione messianica che venne invece negata ai nostri antenati. Sembrerebbe piuttosto presuntuoso da parte nostra, dato che coloro che ci hanno preceduto erano molto superiori a noi per pietà e giustizia.

Se le generazioni precedenti fossero state come angeli noi saremmo dei semplici esseri umani; se fossero state esseri umani, noi saremmo come asini!… (Talmud Yerushàlmi Sheqalìm 5, 1; Talmud Shabbàt 112b)1.

Comunque sia non è un vero problema, poiché d’altra parte c’è un ovvio progredire del tempo che quindi ci porta più vicini al Mashiach, e che rafforza continuamente il potenziale inerente alla redenzione malgrado la nostra inferiorità2.

In secondo luogo la decadenza dei nostri tempi, che rende più difficile il raggiungimento della perfezione spirituale, attribuisce molto valore e merito perfino alle nostre più piccole virtù, poiché

un merito acquisito in tempo di difficoltà vale più di cento in tempo di benessere (Avòt de Rabbi Nàtan 3, 6).

La grandezza di una generazione non dipende solamente dalla quantità delle conquiste umane, ma è relativa al tempo e alle condizioni: «Una piccola buona azione in questa generazione equivale a molte grandi mitzvòt in altre; poiché nelle ultime generazioni il male è oltremodo potente, come mai è stato prima!» (rabbi Chayìm Vital, Sha'àr Haghilgulìm 28). Inoltre, il male in se stesso non ha realtà. È semplicemente uno stato di nascondimento del bene3.

La bontà e la virtù, d’altra parte, sono realtà che permangono e non passano; esse non svaniscono con il tempo4. Tutte le mitzvòt e le buone azioni del passato, sia le nostre che quelle dei nostri predecessori, rimangono quindi intatte; ne nasce perciò un accumulo continuo dei meriti e dei crediti. La nostra generazione non assomma soltanto la propria bontà e i propri meriti, ma anche tutti quelli delle generazioni precedenti5. Con le parole di un antico proverbio6, noi siamo «come un nano che sta sulle spalle di un gigante»; sebbene il nano sia molto più piccolo, può vedere ancora più lontano di quanto non veda lo stesso gigante, proprio perché si trova sopra le sue spalle. Ecco perché è adesso, più che in ogni altro momento precedente, che possiamo meritare la venuta del Moshiach.

Quindi poniamo la nostra speranza in te, Signore Iddio nostro, affinché possiamo presto vedere lo splendore della tua potenza… per rettificare il mondo tramite il regno dell’Onnipotente. Allora tutta l’umanità invocherà il tuo Nome … e tutti accetteranno il giogo del tuo Regno…

Quel giorno D-o sarà Uno e il suo Nome Uno (preghiera ‘Alenu).

[Sembra rimanere ancora un problema circa l’obbligo di anticipare e di considerare imminente la venuta del Mashiach e circa la persistente richiesta per la redenzione messianica. Tale obbligo è basato su sentimenti personali, sul bisogno intrinseco di redenzione, tenendo sempre presente che questi non possono essere legiferati. Come può dunque esistere tale obbligo, senza parlare del principio secondo il quale ogni cosa dipende dal kivùy? La stessa domanda si pone anche per altri precetti che coinvolgono i sentimenti umani, come quelli di amare e temere D-o. La risposta in tale contesto si applica quindi anche a quanto concerne Mashiach:

Qual è la strada che porta all’amore e al timore di D-o? Quando una persona contempla le sue grandi e meravigliose opere, e attraverso di loro percepisce la sua sapienza che sta al di là di ogni paragone e limite, immediatamente lo ama, lo loda e desidera con profonda nostalgia conoscere il suo grande Nome. Meditando su tali concetti la persona si ritirerà in timore, rendendosi conto di essere una creatura piccolissima, oscura, con una intelligenza debole, posta di fronte a Colui che è perfetto nella sua conoscenza (Rambam, Hilkhòt Yessodé Hatorà 2, 2).

Anche per quanto riguarda Mashiach e la redenzione, meditando su come questa sia una dottrina fondamentale della Torà e studiando il significato delle regole e dei concetti sulla redenzione e sull’era messianica, si deve risvegliare l’appropriato apprezzamento e desiderio verso la piena realizzazione di tutte le promesse. Nello stesso contesto bisogna considerare la regola di Rambam secondo la quale l’uomo deve saper mutare la propria disposizione, atteggiamento e carattere tramite la ripetizione frequente di azioni coerenti con tali disposizioni affinché questi comportamenti diventino una parte costituente dell’anima. Lo studio diligente delle halakhòt e delle idee correlate al Mashiach darà luogo così a un atteggiamento e a sentimenti adeguati, pur se in principio ciò non sarà percepito a livello naturale. N.d.A.]