Ogni ebreo è obbligato a leggere la Meghillà due volte al giorno, una di notte, e una durante la giornata. La Meghillà può essere letta di sera dall’uscita delle tre stelle fino all’alba. Di giorno invece dall’alba al tramonto.
Sia gli uomini sia le donne sono obbligati a leggere la Meghlillà, o ad ascoltarne la lettura. Il miglior modo di adempiere alla mitzvà è quello di leggere la Meghillà pubblicamente e in sinagoga (piuttosto che in casa, anche se ha un minyàn di dieciuomini a casa, perché così il miracolo è reso noto in modo più ampio).
L’adempimento di qualsiasi mitzvà prescritta dalla Torà va posticipato rispetto alla lettura della Meghillà, incluso lo stesso studio della Torà. L’unica mitzvà che può precederla è il provvedere alla sepoltura di una persona trovata morta che non abbia nessun altro conoscente che possa farlo.
Se qualcuno sente leggere la Meghillà adempie al suo obbligo esattamente come se l’avesse letta egli stesso. In ogni caso è necessario prestare attenzione a tutta la lettura, parola per parola, perché se non si ascolta la Meghillà per intero non si assolve al proprio obbligo.
Ognuno dovrebbe avere davanti a sé una Meghillà (meglio se in pergamena ma è accettabile anche un testo stampato) in modo da poter leggere a bassa voce insieme al lettore. Se non sente bene una parola può rileggerla da solo dalla Meghillà.
I versi di redenzione
È uso del lettore fermarsi quando arriva ai quattro “versi di redenzione” che si trovano nella Meghillà. Quando si ferma, il pubblico legge il verso ad alta voce, e poi il lettore lo ripete leggendolo dalla sua Meghillà, perché chi compie il proprio obbligo sentendo leggere la Meghillà deve ascoltarla interamente. I quattro versi di redenzione sono i seguenti:
“C’era un ebreo a Shushàn...”;
“E Mordechài camminò davanti al re in abiti regali...”;
“Per gli ebrei ci fu luce..”;
“Perché Mordechài l’ebreo era secondo al re...”.
Lo scopo di quest’uso è quello di tenere i bambini svegli, in modo che il ricordo del grande miracolo avvenuto in quei giorni al popolo di Israele possa penetrare nei loro cuori.
Tratto dal libro Sèfer Hatoda’à
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