Il termine Purìm in persiano significa “sorti”. La sorte funziona in modo completamente indipendente dalla razionalità. Si consideri ad esempio il servizio del Tempio di Yom Kippùr: si tirava a sorte per scegliere quale delle due capre si dovesse spingere nel burrone, verso una morte sicura, e quale sarebbe stata scelta per l’offerta sull’altare. Prima dell’estrazione nessuna capra era, a rigor di logica, più adatta per un destino o per l’altro. La decisione era affidata unicamente alla sorte; tutta la questione trascendeva completamente il campo dell’intelletto.
Il rapporto che lega un ebreo a D-o è della stessa irrazionale natura. Seppure possano insorgere difficoltà nella relazione conscia e razionale tra l’uomo e D-o, esiste tra di loro un legame essenziale, intrinseco, irrazionale, al quale ci si può sempre appellare. Attingendo a esso, tutte le mancanze dell’uomo possono essere trascurate e perdonate.
Tuttavia, se esiste un livello della relazione che vede trascurato e non considerato il male, ne consegue che, almeno apparentemente, anche le forze del male, una volta che le vie della forza vitale sono state aperte, possono muoversi su questo livello e sfruttare questa profondità della relazione. Hamàn sapeva che esiste un rapporto con D-o di natura irrazionale, a cui possono attingere in uguale misura il bene e il male. Per questo tirò a sorte quando programmò di sterminare il popolo ebraico: voleva “imitare” il rapporto tra gli ebrei e D-o, “elevandosi” al livello in cui l’intelletto non ha spazio e non può dunque negargli il potere che lui cerca.
Estèr, tuttavia, comprese ciò che non comprendeva Hamàn. Sapeva che esistono due aspetti del superconscio: è vero che D-o è al di sopra del bene e del male. La sua essenza esiste al di fuori del contesto della creazione: “E i vostri molti peccati possono nuocergli?… E se agiste rettamente, ne trarrebbe vantaggio?” (Iyòv 35, 6-7).
Questa, tuttavia, è la realtà considerata dall’esterno; vediamo che D-o dà vita a tutta la creazione, senza aggiungere considerazioni di tipo morale. Il bene e il male sembrano avere uguale forza, né sembra che si possa trarre vantaggio dall’alleanza stipulata con l’uno o con l’altro.
Oltre il costume
Un ebreo, tuttavia, sa guardare oltre alla facciata, oltre alla “maschera” e al “costume” indossati dal mondo. Un ebreo sa che D-o ha creato il mondo con lo scopo definitivo di rivelarsi in esso e che qualsiasi forza creativa Egli investa nel mondo ha la sola funzione di servire uno scopo superiore. A D-o occorre un mondo funzionante come sfondo delle vicende della storia umana, a cui conferisce forza vitale a prescindere dal suo livello morale. Questa forza vitale, tuttavia, costituisce solamente la manifestazione esterna della Sua energia e del Suo interesse nei confronti del mondo. La vera intenzione di D-o è quella di rivelare la propria presenza nel mondo, e ciò può avvenire solamente attraverso la santità, la Torà, le mitzvòt e il popolo ebraico. A questo livello, che è superiore a tutti, il male non ha “uguali diritti”. Un cane può mangiare alla tavola di un re, ma soltanto ciò che gli viene gettato “dietro le spalle”, soltanto gli avanzi. Per sedersi veramente e cenare a un banchetto regale, bisogna essere raffinati, bisogna esserne degni. Estèr lo sapeva, e approfittò del fatto che Hamàn avesse raggiunto il punto di vista secondo il quale la razionalità non ha il potere di rivelare i suoi veri colori. Per impedire il successo di Hamàn, Estèr agì in due modi. Innanzitutto, insieme a Mordechài, ispirò il popolo ebraico a fare teshuvà: “Poi Estèr disse loro di dire a Mordechai: ‘Vai a radunare tutti gli ebrei di Shushàn e digiunate per me, non mangiate né bevete per tre giorni, notte e giorno: anche io e le mie ancelle digiuneremo…’ ” (Meghillà di Estèr 4, 15-16). Era necessario che il popolo ebraico si ripiegasse su sé stesso, rivelando un rapporto con D-o più profondo di quello intrattenuto normalmente; dovevano elevarsi al livello della Sua volontà più intima. Questo è il significato più profondo delle parole con cui il verso prosegue: “… e allora andrò dal re, sebbene sia contro la legge”. L’anima si eleva al livello più intimo della comunione con il Re, superiore alla razionalità “contro la legge”.
Una volta fatto questo, Estèr invitò Hamàn a un banchetto con il re (Meghillà di Estèr 5, 4). Concedendogli l’onore di cenare con la coppia reale, gli fece credere che si trovasse al loro livello. Ora che lei e il suo popolo si attenevano alla dimensione interiore della volontà di D-o, ella riuscì a elevare a quel livello anche Hamàn. A questo drammatico punto, il re comprese che la vera intenzione di Hamàn era quella di distruggere la regina e di violentarla davanti a lui. Quando la sua ignominia fu resa manifesta, Hamàn fu gettato in prigione. È interessante notare che il nome di D-o, che non viene citato esplicitamente in tutto il libro di Estèr, è composto dalle le iniziali delle parole di questo versetto: “Che il re e Hamàn vengano oggi…”.
Prendendo coscienza del legame assoluto e essenziale che ha con D-o, l’ebreo cancella la possibilità che il male si sottragga al suo controllo. Il messaggio di Purìm è questo: prendendo ogni cosa alla radice, un ebreo sradica automaticamente il male da sé.
di Moshè Wisnefsky, basato su Ma’amarè Admor Hazakèn p 381
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