Da quando è nata la chassidùt, ebrei e non ebrei, osservanti e non (e talvolta persino gli chassidìm stessi) si pongono la stessa domanda: quale cambiamento sostanziale ha apportato la chassidùt all’ebraismo e al mondo? La Torà infatti è rimasta la stessa Torà, le mitzvòt sono sempre le medesime; persino i cambiamenti a livello delle piccole usanze operati dalla chassidùt sono basati su fonti antichissime. D’altro canto, è indubbio che la nascita della chassidùt sia stata una vera rivoluzione; essa ha infuso un nuovo spirito nella vita ebraica, al punto da influire forse inconsciamente persino su coloro che sono dichiaratamente non chassidìm.

In una lettera scritta in occasione del diciannove kislèv, il Rebbe Rashàb, Rabbi Shalom Ber di Lubavitch, illustra con due sole parole l’essenza della chassidùt. Egli scrive che il diciannove di kislèv, giorno “dell’esplosione” del pensiero e del movimento chassidico “ci sono state date la luce e la vitalità della nostra anima”. Queste due parole – luce e vitalità – riassumono l’intero significato della chassidùt.

Che genere di cambiamento?

Qual è la differenza fra quando una stanza è buia e quando è illuminata? A livello degli oggetti che si trovano in essa tutto rimane invariato. La luce non crea nuove realtà e nulla aggiunge a ciò che si trovava già nella stanza. D’altro canto, non si può negare che la differenza esiste ed è sostanziale: quando la stanza è buia, gli oggetti sono privi di senso, è difficile coglierne il vero valore e anziché farne un uso proprio e utile si rischia di inciamparvi, di danneggiarli e persino di farsi male.

Così è anche per la vitalità: lo spirito vitale non aggiunge nulla all’essenza stessa del corpo: gli arti sono gli stessi arti, gli organi rimangono anch’essi gli stessi. Ma è ovvio che il corpo può giacere come un minerale, senza valore e importanza, e può anche diventare una creatura viva, rigogliosa, piena di energia e forza. Tutto dipende dalla vitalità.

Questi due concetti – luce e vitalità – spiegano come si possa cambiare lo stato delle cose da un estremo all’altro, senza dover aggiungere nulla alla loro essenza. Lo stesso oggetto, lo stesso corpo, può essere quindi vivo e luminoso o al contrario cupo e morto.

Non si può farne a meno

La chassidùt, nella sua vera essenza, è luce ed è vitalità. La sua definizione più diffusa è quella di profondità della Torà, anima della Torà. Essa vi riversa una luce nuova e rende ancor più vive e rigogliose le sue mitzvòt.

La Torà è la stessa Torà, le mitzvòt sono le stesse mitzvòt, ma con la chassidùt esse irradiano luce e vita. Con l’avvento della chassidùt, infatti, molti studiosi iniziarono a concepire in maniera diversa la Torà e a osservarne i precetti con calore, energia e gioia. La routine e l’abitudine hanno così lasciato il posto a un’ondata di vita interiore che ha colmato l’esistenza ebraica.

La chassidùt porta un messaggio che sembra contrastante, contraddittorio. Studiandola, risulta chiaro che le sue radici affondano nel Talmùd, nei midrashìm, nelle opere dei grandi pensatori e filosofi ebraici, nei libri di Cabalà e così via, come se tutto fosse già stato detto e scritto. Ma l’approccio e la maniera di spiegare i concetti rivelano un mondo totalmente nuovo, nuove profondità, nuova chiarezza e nuovi legami fra tutti i campi della Torà. Grazie alle spiegazioni della chassidùt, ogni concetto e ogni tematica, acquisiscono un nuovo status; essa illumina e rende viva la Torà, proiettandone gli insegnamenti in una dimensione totalmente nuova.

Ci si può quindi chiedere che cosa ne fosse dello studio della Torà prima dell’avvento della chassidùt: si brancolava forse nel buio? Non si capivano forse gli insegnamenti della Torà? Si aveva forse una visione distorta della realtà spirituale ebraica?

Si viveva semplicemente come prima che venissero redatte la Mishnà, la Ghemarà e le altre grandi opere di pensiero e legislative: a quel tempo gli studiosi erano in grado di dedurre i medesimi insegnamenti semplicemente dai versetti della Torà. Nel corso delle generazioni però sono sorte nuove necessità, il mondo è cambiato e l’ebreo ha progressivamente perduto la facoltà di trarre le stesse conclusioni dai soli testi studiati dal padre. In risposta alla crescente debolezza spirituale che ha colpito nei secoli il popolo ebraico, sono nate opere “nuove” e pensieri “innovativi”, che nella loro essenza in realtà non hanno nulla di nuovo, giacché tutto fu insegnato a Moshé sul monte Sinày.

Prima della nascita della chassidùt, quindi, gli ebrei sapevano trarre dalla Torà e dalle mitzvòt stesse la loro luce e la loro profondità. Ora, però, che la chassidùt è stata rivelata per volontà divina in risposta alle necessità delle nostre generazioni, non è più possibile raggiungere la stessa perfezione nello studio della Torà e nell’osservanza delle mitzvòt senza la luce e la vitalità che essa ci dona con i suoi insegnamenti. Novità o non novità, di certo comunque oggi non se ne può fare a meno.